A due settimane dall’inizio del 2023 rendo noto questo contributo a cui ho lavorato negli ultimi mesi del 2022 con l’obiettivo di continuare la riflessione sul curricolo verticale. Non amo gli anniversari, ma poiché la scuola vive una fase difficile, in affanno, mi sembra di poter dire che può essere utile ri-andare al testo delle Indicazioni nazionali 2012, dieci anni dopo.
Riprendo fra le mani il parere del CNPI dell’epoca che ho contributo a costruire e il libro PASSA …PAROLE chiavi di lettura delle Indicazioni 2012, curato da Giancarlo Cerini, per il quale ho scritto alcuni contributi, per condividere le preoccupazioni della scuola che ricerca, sperimenta e riflette, in una stagione in cui si torna a pensare di poter praticare la scuola degli anni 50/60.
Sono trascorsi 10 anni da quella stagione di confronto eppure ricordo ancora l’emozione durante la lettura in aula del testo del parere e il difficile lavoro di mediazione che precedette e seguì quel parere (audizioni, gruppi di lavoro, incontri istituzionali, iniziative e attività di formazione nei territori e nelle scuole, seminari).
Non partivamo da zero. Già negli anni precedenti avevamo seguito l’iter che portò al Documento della Commissione dei Saggi voluta da Berlinguer, agli Indirizzi per l’attuazione del curricolo (esito della Commissione De Mauro 2000), ai Piani di studio personalizzati (esito dei gruppi di lavoro coordinati dal prof. Bretagna al tempo del ministro Moratti 2003-2004), alle Indicazioni nazionali del 2007 ( esito del lavoro del gruppo di lavoro coordinato dal prof. Ceruti istituito dal ministro Fioroni). Un percorso accidentato e complesso per la scuola di base, alle prese, per l’alternanza di governi di centro – destra e di centro – sinistra, con testi diversi per impostazione pedagogica, nondimeno un percorso significativo per il contributo che seppe dare all’elaborazione di un progetto culturale per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione.
La stesura delle Indicazioni nazionali 2012 e l’emanazione del regolamento attuativo, il percorso di approfondimento successivo videro Giancarlo Cerini protagonista, in ascolto della scuola, instancabile nella stesura di report e di articoli capaci di rappresentare il senso della formazione di base e il diritto all’apprendimento di tutti bambini e dei preadolescenti, dai 3 ai 14 anni.
Un tempo di dialogo e di ricerca di una proposta condivisa, nonostante ci fossero anche allora pareri diversi su cosa si intendesse per contenuti essenziali, per traguardi per lo sviluppo delle competenze, per valutazione dei processi e degli esiti…
Sono convinta anche ora, dieci anni dopo, che le Indicazioni nazionali fossero un testo “aperto”, ma come sempre accade ai testi aperti alimentò le insicurezze degli insegnanti, ancora evidenti nelle domande ricorrenti: cosa dobbiamo intendere per contenuti essenziali? cosa si intende per competenze? quali sono le metodologie più efficaci? e quale valutazione? Cosa è prescrittivo?
A proposito delle Indicazioni, condivido il pensiero di Giancarlo: “ la pubblicazione di nuove Indicazioni rappresenta sempre un’occasione per reinterrogarsi sul significato dell’istruzione in una società che sembra distratta da altre ben più gravi questioni, invita gli insegnanti a ridefinire il “senso” del proprio lavoro educativo a scuola ”.
Una occasione e un invito da cui ripartire oggi come ieri. Non è inopportuno, infatti, ritornare a interrogarsi sul senso della scuola, sul lavoro di chi insegna, sulla centralità del soggetto che apprende. Non siamo in pochi a condividere le ragioni della ricerca didattica sul curricolo verticale e a vedere con preoccupazione l’attacco al sapere della scuola e ai principi della scuola democratica.
Riprendo allora il confronto ripartendo da alcuni punti di forza del testo che Giancarlo individuava nella ricerca dell’essenziale, il curricolo verticale, le competenze, la valutazione, il dilemma processi/risultati. Rileggere quei punti di forza, per certi versi negli anni punti di debolezza, alla luce dei cambiamenti intervenuti negli ultimi dieci anni, mi sembra necessario prima che nuovi atti governativi ne compromettano il significato originario.
Considero la ricerca dell’essenziale un aspetto fondamentale. In tanti vedono nell’essenziale un attacco alle nozioni e all’enciclopedia dei saperi. Richiamare qui nel titolo il documento I contenuti essenziali per la formazione di base (1998) a firma Maragliano et alii può essere l’occasione per fare definitivamente (spero) chiarezza. Qui l’insieme dei saperi essenziali sono ritenuti i saperi irrinunciabili a garanzia delle competenze culturali di cittadinanza. Una scelta condivisa nel mondo della cultura allora, a cui hanno corrisposto resistenze, scorciatoie, contraddizioni che hanno impoverito il dibattito, imponendo continui ripensamenti e cambi di direzione. Rimane dal mio punto di vista una certezza: ricercare l’essenziale è un approccio culturale necessario per un adulto che intenda accompagnare chi apprende; la ricerca dell’essenziale è alimentata dall’analisi disciplinare, dai suoi fondamenti, dalle relazioni fra i saperi. Non ci sono tagli da operare, né obiettivi minimi per chi non ce la fa… è un problema di scelte culturali significative che possano orientare gli apprendimenti, le conoscenze, le abilità e gli atteggiamenti su cui costruire le competenze, per ciascuno e per tutti la conoscenza del mondo.
Una scelta rigorosa a sostegno della mediazione culturale e didattica, che sconta pesanti interferenze, esterne e interne al mondo della scuola. La cultura della scuola è da sempre sotto attacco, oggi di più, fra tradizione e innovazione. Mentre, invece, si tratta di ricomporre le più recenti acquisizioni degli esperti disciplinari e degli studiosi dell’apprendimento.
Scrive Giancarlo Cerini :” altre forze condizionano il lavoro dei docenti: non solo i programmi ma, ad esempio, i libri di testo, le aspettative dei genitori, i rapporti con i colleghi, il sistema di valutazione (pensiamo alle prove Invalsi), le abitudini o le sicurezze personali, le sollecitazioni del dirigente e, soprattutto, le concrete condizioni in cui si svolge l’insegnamento”. Criticità, consuetudini, stress da prestazione, non riconoscimento del lavoro a scuola per l’apprendimento!
Concentro l’attenzione su Cultura Scuola Persona, il testo introduttivo delle Indicazioni, rimasto nel 2012 sostanzialmente lo stesso del 2007. Faccio mie con le parole di Edgar Morin al seminario di presentazione del testo: “Cultura , scuola e persona sono inscindibili … avvertono l’urgenza del dialogo culturale fra i saperi…In una stella possiamo analizzare le particelle, possiamo conoscere delle cose estremamente interessanti sul suo essere fisico ma, senza la soggettività umana che si esprime nella letteratura e nell’arte, rimarrebbe sterile. E’ necessario, allora, utilizzare i saperi per limitare la dispersione della conoscenza. Questo è un problema da affrontare nei primi anni di scuola e deve proseguire lungo tutto il percorso degli studi”.
Il curricolo verticale continua a rappresentare un spazio – tempo di riflessione e di azione. Scrive Carlo Fiorentini: “ La costruzione del curricolo non è un adempimento formale … è un cammino di costante miglioramento dell’aspetto centrale della scuola, il processo di insegnamento – apprendimento”. Per questa via occorre superare i riti della programmazione, dove riconosciuti. Non servono luoghi di confronto che si muovono esclusivamente su aspetti formali. Garantire scelte e decisioni verso i traguardi per lo sviluppo delle competenze e, nel secondo ciclo, verso i risultati di apprendimento è un lungo lavoro di negoziazione e di condivisione. Scrive Giancarlo: “il termine sviluppo ci ricorda che è fondamentale nella scuola di base incentivare partecipazione, motivazione, tensione verso l’apprendimento permanente … la prospettiva è dunque quella delle competenze, come progressiva capacità di affrontare situazioni, consapevolezza delle proprie azioni cognitive, spirito di iniziativa”. Un termine (sviluppo) che non possiamo riferire solo alla scuola dei più piccoli, che ci accompagna a riconoscere le competenze, quel mix di conoscenze, abilità e atteggiamenti… ben oltre una scelta che, secondo molti, ignora le conoscenze. Come si fa a pensare alle competenze senza le conoscenze? Eppure in realtà molta didattica per competenze ne fraintende il significato. Separati in casa, si è detto molte volte parlando degli istituti comprensivi …, un’ammissione di difficoltà professionale nella comprensione del senso della verticalità, della progressività nel curricolo, dei traguardi per lo sviluppo delle competenze. Considero utile in proposito tornare al testo delle Indicazioni per condividere alcune preoccupazioni e una prospettiva.
Riparto dai campi di esperienza, dalle discipline e dagli ambienti di apprendimento riconsiderando quanto è scritto in proposito per la scuola dell’infanzia e a seguire per il primo ciclo nelle Indicazioni nazionali 2012… un insieme di oggetti, situazioni, immagini e linguaggi riferiti ai sistemi simbolici della nostra cultura , capaci di evocare, stimolare accompagnare apprendimenti progressivamente più sicuri… l’attività didattica è orientata alla qualità dell’apprendimento di ciascun alunno è non ad una sequenza lineare di contenuti disciplinari ……attività significative nelle quali strumenti e metodologie si confrontano e si intrecciano tra loro. Una impostazione che mi piace non separare nella scuola per l’apprendimento alle diverse età perché possa davvero rappresentare quello che gli studiosi hanno inteso chiamare riflessione e decisione circa gli obiettivi da raggiungere oltre il primo ciclo, in una prospettiva che guardi almeno alle zero – tre e al quattordici – sedici, ovvero all’obbligo di istruzione.
Alcune osservazioni sul dilemma processi/esiti che continua a rappresentare nella scuola un problema non risolto, e non solo sul terreno della valutazione. L’antica questione sulla scuola che seleziona i migliori o promuove capacità si è trasformata negli anni in scelte burocratiche che nulla hanno a che fare con la cultura della valutazione, che è parte integrante della progettazione. I più continuano a ritenere il voto uno strumento necessario per dividere chi ce la fa da chi non ce la fa; si sostiene che è più chiaro per gli studenti e le famiglie. Altro che giudizio descrittivo!
Anche in questo caso potrebbe essere utile rileggere i paragrafi destinati alla valutazione nelle indicazioni 2012. “L’attività di valutazione nella scuola dell’infanzia risponde a una funzione di carattere formativo che riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di crescita, evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini, perché orientata a esplorare e incoraggiare lo sviluppo di tutte le loro potenzialità. Le pratiche della valutazione sono volte al miglioramento continuo della qualità educativa”. Una prospettiva che potrebbe accompagnare chi apprende in tutto il percorso scolastico, invece… Da più parte si segnala che i cambiamenti introdotti nella scuola primaria non hanno prodotto i comportamenti professionali attesi dalla sostituzione del voto con il giudizio descrittivo e che avere lasciato fuori da questo processo la scuola secondaria di primo grado, determina affanni e fraintendimenti su misurazione, valutazione, certificazione. Eppure con riferimento al primo ciclo nelle Indicazioni nazionali si legge legge: “ Agli insegnanti competono la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione, nonché la scelta dei relativi strumenti, nel quadro dei criteri deliberati dagli organi collegiali. Le verifiche e le valutazioni periodiche e finali devono essere coerenti con gli obiettivi e i traguardi previsti dalle Indicazioni e declinati nel curricolo. La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari …assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo. Occorre assicurare ….”. Cosa c’è di diverso? Perché appare impossibile accompagnare i processi per garantire i risultati, gli esiti?
Un cantiere aperto mi permetto di osservare, che meriterebbe azioni di accompagnamento che, invece, sono state dismesse.
Una scuola, un sapere, un insegnante a misura di apprendimento rimane la direzione a cui tendere per ritrovare il senso di una scuola democratica che non perde nessuno.
2012 – 2022 PASSA … PAROLE – “Dedicato a Giancarlo Cerini e a quanti di noi continuano a credere in una scuola di base per tutti e per ciascuno” (dalla pagina facebook di Caterina Gammaldi)
A due settimane dall’inizio del 2023 rendo noto questo contributo a cui ho lavorato negli ultimi mesi del 2022 con l’obiettivo di continuare la riflessione sul curricolo verticale. Non amo gli anniversari, ma poiché la scuola vive una fase difficile, in affanno, mi sembra di poter dire che può essere utile ri-andare al testo delle Indicazioni nazionali 2012, dieci anni dopo.
Riprendo fra le mani il parere del CNPI dell’epoca che ho contributo a costruire e il libro PASSA …PAROLE chiavi di lettura delle Indicazioni 2012, curato da Giancarlo Cerini, per il quale ho scritto alcuni contributi, per condividere le preoccupazioni della scuola che ricerca, sperimenta e riflette, in una stagione in cui si torna a pensare di poter praticare la scuola degli anni 50/60.
Sono trascorsi 10 anni da quella stagione di confronto eppure ricordo ancora l’emozione durante la lettura in aula del testo del parere e il difficile lavoro di mediazione che precedette e seguì quel parere (audizioni, gruppi di lavoro, incontri istituzionali, iniziative e attività di formazione nei territori e nelle scuole, seminari).
Non partivamo da zero. Già negli anni precedenti avevamo seguito l’iter che portò al Documento della Commissione dei Saggi voluta da Berlinguer, agli Indirizzi per l’attuazione del curricolo (esito della Commissione De Mauro 2000), ai Piani di studio personalizzati (esito dei gruppi di lavoro coordinati dal prof. Bretagna al tempo del ministro Moratti 2003-2004), alle Indicazioni nazionali del 2007 ( esito del lavoro del gruppo di lavoro coordinato dal prof. Ceruti istituito dal ministro Fioroni). Un percorso accidentato e complesso per la scuola di base, alle prese, per l’alternanza di governi di centro – destra e di centro – sinistra, con testi diversi per impostazione pedagogica, nondimeno un percorso significativo per il contributo che seppe dare all’elaborazione di un progetto culturale per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione.
La stesura delle Indicazioni nazionali 2012 e l’emanazione del regolamento attuativo, il percorso di approfondimento successivo videro Giancarlo Cerini protagonista, in ascolto della scuola, instancabile nella stesura di report e di articoli capaci di rappresentare il senso della formazione di base e il diritto all’apprendimento di tutti bambini e dei preadolescenti, dai 3 ai 14 anni.
Un tempo di dialogo e di ricerca di una proposta condivisa, nonostante ci fossero anche allora pareri diversi su cosa si intendesse per contenuti essenziali, per traguardi per lo sviluppo delle competenze, per valutazione dei processi e degli esiti…
Sono convinta anche ora, dieci anni dopo, che le Indicazioni nazionali fossero un testo “aperto”, ma come sempre accade ai testi aperti alimentò le insicurezze degli insegnanti, ancora evidenti nelle domande ricorrenti: cosa dobbiamo intendere per contenuti essenziali? cosa si intende per competenze? quali sono le metodologie più efficaci? e quale valutazione? Cosa è prescrittivo?
A proposito delle Indicazioni, condivido il pensiero di Giancarlo: “ la pubblicazione di nuove Indicazioni rappresenta sempre un’occasione per reinterrogarsi sul significato dell’istruzione in una società che sembra distratta da altre ben più gravi questioni, invita gli insegnanti a ridefinire il “senso” del proprio lavoro educativo a scuola ”.
Una occasione e un invito da cui ripartire oggi come ieri. Non è inopportuno, infatti, ritornare a interrogarsi sul senso della scuola, sul lavoro di chi insegna, sulla centralità del soggetto che apprende. Non siamo in pochi a condividere le ragioni della ricerca didattica sul curricolo verticale e a vedere con preoccupazione l’attacco al sapere della scuola e ai principi della scuola democratica.
Riprendo allora il confronto ripartendo da alcuni punti di forza del testo che Giancarlo individuava nella ricerca dell’essenziale, il curricolo verticale, le competenze, la valutazione, il dilemma processi/risultati. Rileggere quei punti di forza, per certi versi negli anni punti di debolezza, alla luce dei cambiamenti intervenuti negli ultimi dieci anni, mi sembra necessario prima che nuovi atti governativi ne compromettano il significato originario.
Considero la ricerca dell’essenziale un aspetto fondamentale. In tanti vedono nell’essenziale un attacco alle nozioni e all’enciclopedia dei saperi. Richiamare qui nel titolo il documento I contenuti essenziali per la formazione di base (1998) a firma Maragliano et alii può essere l’occasione per fare definitivamente (spero) chiarezza. Qui l’insieme dei saperi essenziali sono ritenuti i saperi irrinunciabili a garanzia delle competenze culturali di cittadinanza. Una scelta condivisa nel mondo della cultura allora, a cui hanno corrisposto resistenze, scorciatoie, contraddizioni che hanno impoverito il dibattito, imponendo continui ripensamenti e cambi di direzione. Rimane dal mio punto di vista una certezza: ricercare l’essenziale è un approccio culturale necessario per un adulto che intenda accompagnare chi apprende; la ricerca dell’essenziale è alimentata dall’analisi disciplinare, dai suoi fondamenti, dalle relazioni fra i saperi. Non ci sono tagli da operare, né obiettivi minimi per chi non ce la fa… è un problema di scelte culturali significative che possano orientare gli apprendimenti, le conoscenze, le abilità e gli atteggiamenti su cui costruire le competenze, per ciascuno e per tutti la conoscenza del mondo.
Una scelta rigorosa a sostegno della mediazione culturale e didattica, che sconta pesanti interferenze, esterne e interne al mondo della scuola. La cultura della scuola è da sempre sotto attacco, oggi di più, fra tradizione e innovazione. Mentre, invece, si tratta di ricomporre le più recenti acquisizioni degli esperti disciplinari e degli studiosi dell’apprendimento.
Scrive Giancarlo Cerini :” altre forze condizionano il lavoro dei docenti: non solo i programmi ma, ad esempio, i libri di testo, le aspettative dei genitori, i rapporti con i colleghi, il sistema di valutazione (pensiamo alle prove Invalsi), le abitudini o le sicurezze personali, le sollecitazioni del dirigente e, soprattutto, le concrete condizioni in cui si svolge l’insegnamento”. Criticità, consuetudini, stress da prestazione, non riconoscimento del lavoro a scuola per l’apprendimento!
Concentro l’attenzione su Cultura Scuola Persona, il testo introduttivo delle Indicazioni, rimasto nel 2012 sostanzialmente lo stesso del 2007. Faccio mie con le parole di Edgar Morin al seminario di presentazione del testo: “Cultura , scuola e persona sono inscindibili … avvertono l’urgenza del dialogo culturale fra i saperi…In una stella possiamo analizzare le particelle, possiamo conoscere delle cose estremamente interessanti sul suo essere fisico ma, senza la soggettività umana che si esprime nella letteratura e nell’arte, rimarrebbe sterile. E’ necessario, allora, utilizzare i saperi per limitare la dispersione della conoscenza. Questo è un problema da affrontare nei primi anni di scuola e deve proseguire lungo tutto il percorso degli studi”.
Il curricolo verticale continua a rappresentare un spazio – tempo di riflessione e di azione. Scrive Carlo Fiorentini: “ La costruzione del curricolo non è un adempimento formale … è un cammino di costante miglioramento dell’aspetto centrale della scuola, il processo di insegnamento – apprendimento”. Per questa via occorre superare i riti della programmazione, dove riconosciuti. Non servono luoghi di confronto che si muovono esclusivamente su aspetti formali. Garantire scelte e decisioni verso i traguardi per lo sviluppo delle competenze e, nel secondo ciclo, verso i risultati di apprendimento è un lungo lavoro di negoziazione e di condivisione. Scrive Giancarlo: “il termine sviluppo ci ricorda che è fondamentale nella scuola di base incentivare partecipazione, motivazione, tensione verso l’apprendimento permanente … la prospettiva è dunque quella delle competenze, come progressiva capacità di affrontare situazioni, consapevolezza delle proprie azioni cognitive, spirito di iniziativa”. Un termine (sviluppo) che non possiamo riferire solo alla scuola dei più piccoli, che ci accompagna a riconoscere le competenze, quel mix di conoscenze, abilità e atteggiamenti… ben oltre una scelta che, secondo molti, ignora le conoscenze. Come si fa a pensare alle competenze senza le conoscenze? Eppure in realtà molta didattica per competenze ne fraintende il significato. Separati in casa, si è detto molte volte parlando degli istituti comprensivi …, un’ammissione di difficoltà professionale nella comprensione del senso della verticalità, della progressività nel curricolo, dei traguardi per lo sviluppo delle competenze. Considero utile in proposito tornare al testo delle Indicazioni per condividere alcune preoccupazioni e una prospettiva.
Riparto dai campi di esperienza, dalle discipline e dagli ambienti di apprendimento riconsiderando quanto è scritto in proposito per la scuola dell’infanzia e a seguire per il primo ciclo nelle Indicazioni nazionali 2012… un insieme di oggetti, situazioni, immagini e linguaggi riferiti ai sistemi simbolici della nostra cultura , capaci di evocare, stimolare accompagnare apprendimenti progressivamente più sicuri… l’attività didattica è orientata alla qualità dell’apprendimento di ciascun alunno è non ad una sequenza lineare di contenuti disciplinari ……attività significative nelle quali strumenti e metodologie si confrontano e si intrecciano tra loro. Una impostazione che mi piace non separare nella scuola per l’apprendimento alle diverse età perché possa davvero rappresentare quello che gli studiosi hanno inteso chiamare riflessione e decisione circa gli obiettivi da raggiungere oltre il primo ciclo, in una prospettiva che guardi almeno alle zero – tre e al quattordici – sedici, ovvero all’obbligo di istruzione.
Alcune osservazioni sul dilemma processi/esiti che continua a rappresentare nella scuola un problema non risolto, e non solo sul terreno della valutazione. L’antica questione sulla scuola che seleziona i migliori o promuove capacità si è trasformata negli anni in scelte burocratiche che nulla hanno a che fare con la cultura della valutazione, che è parte integrante della progettazione. I più continuano a ritenere il voto uno strumento necessario per dividere chi ce la fa da chi non ce la fa; si sostiene che è più chiaro per gli studenti e le famiglie. Altro che giudizio descrittivo!
Anche in questo caso potrebbe essere utile rileggere i paragrafi destinati alla valutazione nelle indicazioni 2012. “L’attività di valutazione nella scuola dell’infanzia risponde a una funzione di carattere formativo che riconosce, accompagna, descrive e documenta i processi di crescita, evita di classificare e giudicare le prestazioni dei bambini, perché orientata a esplorare e incoraggiare lo sviluppo di tutte le loro potenzialità. Le pratiche della valutazione sono volte al miglioramento continuo della qualità educativa”. Una prospettiva che potrebbe accompagnare chi apprende in tutto il percorso scolastico, invece… Da più parte si segnala che i cambiamenti introdotti nella scuola primaria non hanno prodotto i comportamenti professionali attesi dalla sostituzione del voto con il giudizio descrittivo e che avere lasciato fuori da questo processo la scuola secondaria di primo grado, determina affanni e fraintendimenti su misurazione, valutazione, certificazione. Eppure con riferimento al primo ciclo nelle Indicazioni nazionali si legge legge: “ Agli insegnanti competono la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione, nonché la scelta dei relativi strumenti, nel quadro dei criteri deliberati dagli organi collegiali. Le verifiche e le valutazioni periodiche e finali devono essere coerenti con gli obiettivi e i traguardi previsti dalle Indicazioni e declinati nel curricolo. La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari …assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo. Occorre assicurare ….”. Cosa c’è di diverso? Perché appare impossibile accompagnare i processi per garantire i risultati, gli esiti?
Un cantiere aperto mi permetto di osservare, che meriterebbe azioni di accompagnamento che, invece, sono state dismesse.
Una scuola, un sapere, un insegnante a misura di apprendimento rimane la direzione a cui tendere per ritrovare il senso di una scuola democratica che non perde nessuno.
Puoi condividere con i tuoi gruppi, i tuoi amici, .....
Redazione Scuola