A più di un anno dall’invasione dell’Ucraina si fanno sempre più pressanti le voci Istituzionali che chiedono un suo ingresso all’interno dell’U.E. Il Presidente Mattarella non ne fa un mistero e più volte si è espresso in tal senso. Ovviamente se si parla di Ucraina non si possono dimenticare le richieste della Moldavia, della Bosnia e della Georgia. Siamo in vista di un nuovo allargamento a est dell’U.E? Probabilmente si.
Si tratta di una prospettiva, reale, che porta con sé diversi interrogativi. A mio parere per cercare di impostare un ragionamento corretto, non possiamo prescindere da un’analisi di ciò che è stata l’adesione dei paesi dell’Europa centrale e dei baltici nel 2004 – 2007. Partirei dal fatto che i paesi promotori dell’Unione corrispondono alla vecchia Europa Carolingia erede del Sacro Romano Impero. Sembrerà una considerazione banale, ma significa che esiste un vissuto se vogliamo storico e culturale che li ha accomunati. Discorso diverso per i nuovi entrati. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, possiamo dire che gli ultimi sessant’anni di questi paesi hanno avuto in comune o l’essere all’interno dell’Unione Sovietica, i paesi baltici, o comunque essere sotto la sfera di influenza sovietica. Un’impostazione di mondo opposta all’Europa occidentale che ha visto, invece, il consolidamento di democrazie liberali e soprattutto l’affermarsi al suo interno dell’economia di mercato. L’implosione dell’Unione Sovietica ha comportato grande euforia e aspettative di un futuro di pace e di benessere economico, soprattutto nei paesi ex comunisti. Tutto questo è avvenuto? Non sempre e sicuramente non nelle attese createsi.
Si è sottovalutato che nei paesi ex patto di Varsavia l’economia di mercato e la democrazia, perlomeno per come la conosciamo nella “vecchia Europa”, erano sconosciuti. Che cosa comporterà questo? La transizione a un’economia di libero mercato avverrà sotto due elementi condizionanti per lo sviluppo futuro. Il primo è che la fase espansiva del ciclo economico conosciuta nel dopoguerra è ormai alle spalle. Il secondo è che, nel 2004, l’economia è guidata dalle idee neoliberiste che relegano lo Stato a un ruolo secondario. Risultato: le attese di benessere economico create nei paesi dell’est Europa saranno tradite. Privatizzazioni selvagge, aumento della disoccupazione, povertà crescente saranno la dura realtà che dovranno affrontare. Il paradosso è che lo Stato, nonostante tutto, nel passato garantiva un minimo di sussistenza ma ora anche questo viene a mancare. La fiducia nel primato del mercato porterà a ignorare completamente le strutture economiche e le diverse storie dei paesi che entreranno all’interno dell’Unione.
I risultati sono sotto i nostri occhi, i nazionalismi, che si ritenevano sconfitti, hanno fatto di nuovo capolino e guarda caso Polonia, Ungheria, repubblica Ceca e Slovacchia, il cosiddetto blocco Visegrad, rimettono in discussione i principi fondanti della stessa Unione. I richiami per la messa in pericolo dello Stato di diritto da parte della Commissione non si contano più e sorvegliati speciali sono spesso e volentieri Polonia e Ungheria.
Per la verità le contraddizioni emergono anche all’interno di Polonia e Ungheria. Cosi se la Polonia è in prima fila per invio di armi in Ucraina, l’Ungheria ha difficoltà a prendere le distanze dal Cremlino.
Si è stati troppo frettolosi? Probabilmente sì. Si è sottovalutato il processo democratico di transizione, ma soprattutto è mancato e manca un modello di governance Europeo che possa dare poteri chiari ed effettivi per intervenire e consolidare la democrazia all’interno dell’U.E.
E’ stato un errore aprire? Io credo di no, soprattutto visto ciò che è successo nel 2022. Se è stato contorto il processo democratico nei paesi Visegrad, in Russia non si è mai sviluppato, ed è innegabile che la visione di Mosca sia incentrata su una prospettiva imperialista che guarda con nostalgia al suo passato.
Che cosa fare con le nuove richieste d’ingresso? Dobbiamo essere consapevoli che non ci troviamo di fronte a democrazie consolidate. Dal 1991 a oggi Ucraina, Georgia e Bosnia hanno avuto storie a dir poco controverse con episodi di violenza che hanno messo in discussione la loro stabilità. L’Ucraina ha conosciuto la rivoluzione arancione, ma ha dovuto fare i conti con l’ingerenza della Russia culminata poi nella presidenza Yanukovich. La Georgia ha visto nel suo suolo l’evolversi di ben due guerre con i problemi in Abkhazia e Ossezia del nord. A dire il vero si è trattato di due sconfinamenti della federazione Russa che hanno poi portato alla proclamazione delle nuove repubbliche sopra citate. In Bosnia le mire secessioniste dei serbo-bosniaci non si sono mai placate, con tutto ciò che ne comporta.
Tutto questo ha comportato che i nazionalismi al loro interno non si sono mai del tutto estinti.
Che fare dunque? E’ chiaro che con la guerra in corso questi discorsi non possono essere presi in considerazione e necessariamente bisognerà attendere non solo la fine della guerra ma vedere come terminerà. Detto questo, se si vuole aprire, lo si deve fare in previsione di una pace duratura con la Russia perché l’inclusione di questi paesi all’interno dell’U.E. sposterebbe i suoi confini a est. E’ anche vero, che tenendo conto delle problematiche elencate, non possiamo prescindere da una governance europea che sovrintenda e tuteli la democraticità di chi entra.
Quale futuro per l’Unione Europea? Tra Stati membri e nuovi richiedenti (di Roberto Mirasola)
A più di un anno dall’invasione dell’Ucraina si fanno sempre più pressanti le voci Istituzionali che chiedono un suo ingresso all’interno dell’U.E. Il Presidente Mattarella non ne fa un mistero e più volte si è espresso in tal senso. Ovviamente se si parla di Ucraina non si possono dimenticare le richieste della Moldavia, della Bosnia e della Georgia. Siamo in vista di un nuovo allargamento a est dell’U.E? Probabilmente si.
Si tratta di una prospettiva, reale, che porta con sé diversi interrogativi. A mio parere per cercare di impostare un ragionamento corretto, non possiamo prescindere da un’analisi di ciò che è stata l’adesione dei paesi dell’Europa centrale e dei baltici nel 2004 – 2007. Partirei dal fatto che i paesi promotori dell’Unione corrispondono alla vecchia Europa Carolingia erede del Sacro Romano Impero. Sembrerà una considerazione banale, ma significa che esiste un vissuto se vogliamo storico e culturale che li ha accomunati. Discorso diverso per i nuovi entrati. Senza andare troppo a ritroso nel tempo, possiamo dire che gli ultimi sessant’anni di questi paesi hanno avuto in comune o l’essere all’interno dell’Unione Sovietica, i paesi baltici, o comunque essere sotto la sfera di influenza sovietica. Un’impostazione di mondo opposta all’Europa occidentale che ha visto, invece, il consolidamento di democrazie liberali e soprattutto l’affermarsi al suo interno dell’economia di mercato. L’implosione dell’Unione Sovietica ha comportato grande euforia e aspettative di un futuro di pace e di benessere economico, soprattutto nei paesi ex comunisti. Tutto questo è avvenuto? Non sempre e sicuramente non nelle attese createsi.
Si è sottovalutato che nei paesi ex patto di Varsavia l’economia di mercato e la democrazia, perlomeno per come la conosciamo nella “vecchia Europa”, erano sconosciuti. Che cosa comporterà questo? La transizione a un’economia di libero mercato avverrà sotto due elementi condizionanti per lo sviluppo futuro. Il primo è che la fase espansiva del ciclo economico conosciuta nel dopoguerra è ormai alle spalle. Il secondo è che, nel 2004, l’economia è guidata dalle idee neoliberiste che relegano lo Stato a un ruolo secondario. Risultato: le attese di benessere economico create nei paesi dell’est Europa saranno tradite. Privatizzazioni selvagge, aumento della disoccupazione, povertà crescente saranno la dura realtà che dovranno affrontare. Il paradosso è che lo Stato, nonostante tutto, nel passato garantiva un minimo di sussistenza ma ora anche questo viene a mancare. La fiducia nel primato del mercato porterà a ignorare completamente le strutture economiche e le diverse storie dei paesi che entreranno all’interno dell’Unione.
I risultati sono sotto i nostri occhi, i nazionalismi, che si ritenevano sconfitti, hanno fatto di nuovo capolino e guarda caso Polonia, Ungheria, repubblica Ceca e Slovacchia, il cosiddetto blocco Visegrad, rimettono in discussione i principi fondanti della stessa Unione. I richiami per la messa in pericolo dello Stato di diritto da parte della Commissione non si contano più e sorvegliati speciali sono spesso e volentieri Polonia e Ungheria.
Per la verità le contraddizioni emergono anche all’interno di Polonia e Ungheria. Cosi se la Polonia è in prima fila per invio di armi in Ucraina, l’Ungheria ha difficoltà a prendere le distanze dal Cremlino.
Si è stati troppo frettolosi? Probabilmente sì. Si è sottovalutato il processo democratico di transizione, ma soprattutto è mancato e manca un modello di governance Europeo che possa dare poteri chiari ed effettivi per intervenire e consolidare la democrazia all’interno dell’U.E.
E’ stato un errore aprire? Io credo di no, soprattutto visto ciò che è successo nel 2022. Se è stato contorto il processo democratico nei paesi Visegrad, in Russia non si è mai sviluppato, ed è innegabile che la visione di Mosca sia incentrata su una prospettiva imperialista che guarda con nostalgia al suo passato.
Che cosa fare con le nuove richieste d’ingresso? Dobbiamo essere consapevoli che non ci troviamo di fronte a democrazie consolidate. Dal 1991 a oggi Ucraina, Georgia e Bosnia hanno avuto storie a dir poco controverse con episodi di violenza che hanno messo in discussione la loro stabilità. L’Ucraina ha conosciuto la rivoluzione arancione, ma ha dovuto fare i conti con l’ingerenza della Russia culminata poi nella presidenza Yanukovich. La Georgia ha visto nel suo suolo l’evolversi di ben due guerre con i problemi in Abkhazia e Ossezia del nord. A dire il vero si è trattato di due sconfinamenti della federazione Russa che hanno poi portato alla proclamazione delle nuove repubbliche sopra citate. In Bosnia le mire secessioniste dei serbo-bosniaci non si sono mai placate, con tutto ciò che ne comporta.
Tutto questo ha comportato che i nazionalismi al loro interno non si sono mai del tutto estinti.
Che fare dunque? E’ chiaro che con la guerra in corso questi discorsi non possono essere presi in considerazione e necessariamente bisognerà attendere non solo la fine della guerra ma vedere come terminerà. Detto questo, se si vuole aprire, lo si deve fare in previsione di una pace duratura con la Russia perché l’inclusione di questi paesi all’interno dell’U.E. sposterebbe i suoi confini a est. E’ anche vero, che tenendo conto delle problematiche elencate, non possiamo prescindere da una governance europea che sovrintenda e tuteli la democraticità di chi entra.
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Redazione Scuola