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Sovranità o asservimento energetico? Una scelta decisiva per la Sardegna (di Ignazio Carta)

Chiedete al Presidente della Regione Solinas cosa ne pensa del pericolo di invasione delle pale eoliche in Sardegna. Sicuramente vi dirà: Bohh!!?

Finora ha dimostrato di non saperne molto, o forse non gliene importa proprio, altrimenti avrebbe alzato almeno un sopracciglio o preso qualche provvedimento per impedirlo.

Ma come, non è questo il problema più grosso all’ordine del giorno, il pericolo che spinge l’editore del maggior quotidiano isolano e il suo maggior editorialista a mobilitare il popolo sardo un giorno sì e uno no, per respingere il peggior tentativo di occupazione colonialista dai tempi che furono?

Ogni giorno qualche società esterna propone di collocare pale eoliche alte 300 metri vicino ai maggiori monumenti sardi, o di fronte alle più belle coste, con l’intento di rovinare il nostro paesaggio e di fregarci prendendosi i miliardi che l’Unione Europea eroga per la produzione delle energie rinnovabili.

Ma il nostro governo regionale, a trazione sardista ma con spinta da dietro a stantuffo leghista, non sembra preoccuparsene minimamente.

Non c’è qualcosa di strano in tutto questo? È in atto un’invasione della Sardegna con oltre 1.500 pale eoliche, una colonizzazione ancora più spinta di quella che abbiamo avuto con le miniere e le petrolchimiche, e i partiti della coalizione di destra che regge la Regione (e che il prossimo anno dovrà sottoporsi al giudizio degli elettori) protestano a parole ma poi non muovono un dito.

La verità è che gongolano, l’opinione pubblica è sempre più schierata contro la transizione energetica e vede gli ambientalisti come il fumo negli occhi, e loro pensano di trarne vantaggio sponsorizzando il gas, il gasdotto e tutto ciò che è legato alle energie fossili.

Ci sono molti modi per affrontare le questioni dell’energia. Il modo peggiore è affrontarle in modo superficiale e parziale, ingigantendo alcuni aspetti e nascondendone altri, disinformando per interessi nascosti o anche troppo evidenti, quelli dei grossi interessi economici.

Rischiano così di diffondersi false narrazioni, come quella secondo cui la Sardegna produce già troppa energia, è stata invasa da migliaia di pale eoliche, e secondo cui è destinata a diventare un Hub asservito alle altre regioni italiane, che sfrutteranno la nostra ricchezza a spese nostre.

Molti credono a tutto ciò come se fosse oro colato: È tutto falso.

Chi le diffonde omette coscientemente di dire che nessuna delle decine di progetti di parchi eolici presentati negli ultimi anni è stato finora approvato o ne è stata avviata l’installazione, e il motivo è molto semplice: la quota complessiva di incremento di potenza delle fonti rinnovabili assegnata dal Piano nazionale sul clima alla Sardegna, da raggiungere entro il 2030 è di 6,24 GW, fra fotovoltaico (quasi 4 GW), eolico (1,7 GW tra onshore e offshore), idrogeno, pompaggi idroelettrici, batterie.

I nuovi progetti presentati per il solo eolico ammontano invece per ora a 59 GW, ovvero 40 volte più della soglia prevista: con quali criteri si approveranno il 2,5% dei progetti presentati, e si bocceranno il 97,5% di questi? Immaginiamo la miriade di ricorsi e contenziosi: senza criteri certi e chiari di selezione non è possibile scegliere fra l’uno e l’altro.

Si spiega quindi perché da anni non viene più approvato nessun impianto eolico di media o grande taglia, e perché questi progetti presumibilmente non vedranno mai la luce, salvo che vengano messi a gara fra loro una volta individuate le – pochissime – dislocazioni ammissibili e non impattanti sul paesaggio.

I 6,24 GW assegnati sono pari al fabbisogno di sostituzione delle energie fossili che attualmente costituiscono ancora circa il 70% dell’energia totale prodotta in Sardegna (33% da carbone, 34% gas naturale, mentre l’eolico è al 13%, il fotovoltaico al 9% e l’idroelettrico al 3%). È anche vero che il 24% dell’energia prodotta in Sardegna viene esportata, ma perché incolpare di questo le energie rinnovabili? Basta chiudere una centrale a carbone e siamo pari.

La Sardegna al momento produce di base esattamente l’energia che le occorre, con dei picchi di vento e di sole dai quali si forma un surplus che può scambiare con vantaggio nel mercato nazionale dell’energia elettrica.

Finché non sarà collegato il Thyrrenian Link (1 GW di capacità di scambio), anche producendone di più non riuscirebbe né a consumarla né ad esportarla se non in minima parte; ma solo in pochi ricordano che l’aumento di energia rinnovabile previsto nei prossimi anni dovrà essere compensato dalla diminuzione dell’uso del carbone e degli idrocarburi.

Detto questo, siamo tutti d’accordo nel combattere la speculazione privata sull’energia, ma dobbiamo anche essere d’accordo sul fatto che dobbiamo sostituire le energie fossili con le energie pulite per l’elettricità, e sostituire progressivamente il gas con l’idrogeno per l’energia termica; altrimenti non saremmo ambientalisti, saremmo speculatori anche noi, come quelli che alzano polveroni sulle rinnovabili per difendere e conservare la speculazione già esistente, quella delle raffinerie, delle centrali a carbone e ad olio combustibile, quella del gasdotti che fisserebbe all’infinito la dipendenza della Sardegna dalle maggiori fonti di inquinanti CO2 e NOX, di cui abbiamo la maggior quota pro capite in Italia.

D’altra parte, qualcuno conosce qual è la politica dell’attuale governo della Regione Sardegna in materia di energia? E più in generale, la politica sulla transizione ecologica, per attuazione delle direttive europee e degli accordi su decarbonizzazione, la neutralità carbonica, la mitigazione del riscaldamento globale?

Credo che nessuno lo sappia. L’attuale Giunta regionale fa una politica del tutto incoerente e contraddittoria. Ha contestato i provvedimenti del governo ma non ha fatto niente per sostituirli con misure di autogoverno. Ha addirittura fermato il gioco dal marzo 2022 (Dpcm Draghi) a novembre 2023, quando la Corte costituzionale dovrà decidere in merito al decreto del governo. Tutto è bloccato e coperto da una tenebra silenziosa, come il bosco incantato dove era prigioniera la bella addormentata nel bosco.

Con la scusa dell’opposizione all’asservimento energetico da parte del governo di Roma, e della rivendicazione del gasdotto, questa Giunta è rimasta inerte, non ha fatto un passo in avanti.

Teoricamente le politiche energetiche dovrebbero svilupparsi lungo diverse direttrici: stabilire regole per l’approvazione dei progetti, sulla base delle direttive fissate dal governo nazionale; o approvare proprie norme di indirizzo e governo dell’energia, per garantire il controllo se non la proprietà della infrastruttura elettrica regionale.

La Regione non ha pensato a nessuna delle due; o meglio, ha pensato di mantenere le cose come stanno, puntando a potenziare gas e biomasse con la prospettiva – sbagliata – di fornire ai sardi energia abbondante a basso costo.

I sindacati CGIL, CISL e UIL hanno presentato i giorni scorsi un piano in otto punti dove criticano l’inerzia della Regione e la stimolano ad agire, mettendo di tutto e di più nel calderone, sia fonti fossili che rinnovabili. Tra le prime metano, biometano e biomasse, oltre allo stoccaggio della CO2 che si presuppone di continuare a produrre bruciando carbone, gas, gasolio e residui vegetali e organici. Anche loro, quindi, pensano che si possa continuare allegramente a consumare come prima combustibili estratti dal sottosuolo e per gran parte importati, senza accorgersi che il sistema produttivo ha saltato ormai il fosso, e che le nuove iniziative industriali chiedono una stabilità energetica che può essere data solo dalle nuove tecnologie a zero emissioni, i cui prezzi sono in costante calo e garantiscono una sostenibilità per decenni.

I sindacati non dicono quanta energia dovrebbe essere prodotta da ogni fonte, con quali modalità e con quali tempi. Certo, non è compito loro deciderlo, ma dovrebbero assumersi anche loro qualche responsabilità per le scelte del futuro, non possono limitarsi a protestare perché il sistema industriale sta andando completamente in fumo, o rivendicare la ripresa di produzioni ormai obsolete con la tiritera del mantenimento dei livelli produttivi, rimandando la palla al campo imprenditoriale e politico, ripetendo che non si possono abbandonare al proprio destino migliaia di lavoratori diretti e indiretti dell’indotto.

E’ ormai chiaro che questa Giunta regionale non muoverà un passo verso una nuova politica energetica che attui una rapida trasformazione e produttiva e un cambio completo di paradigma.

Dopo l’impugnazione del Dpcm Sardegna (marzo 2022) e il proposito disatteso di arrivare a un nuovo decreto concertato con il governo nazionale (che non potrebbe in ogni caso stravolgere le scelte già fatte) è chiaro che si arriverà al prossimo anno elettorale, il 2024, senza fare scelte che questa coalizione di destra non può compiere, bloccata dalle proprie contraddizioni interne.

Arrivando al dunque, che fare? Sarà meglio consentire l’installazione di una parte degli impianti eolici progettati o bloccare tutto?

Qui torniamo necessariamente alla politica, che è l’arte e la responsabilità delle scelte. Non parliamo dell’attuale Giunta regionale, che la politica ha dimostrato di non sapere nemmeno cosa sia. Un programma serio di governo della Sardegna deve partire da una scelta seria e decisa a favore della riconversione ecologica, e insieme della sovranità energetica. Non può continuare a essere un pastrocchio senza arte né parte, alla mercé degli interessi più oscuri.

Fatte queste scelte strategiche, occorre mettere in atto le azioni conseguenti:

– adottare o adeguare il piano paesaggistico regionale riferito alla materia energia, che protegga il paesaggio dalla Sardegna, indicando le quantità e le tipologie di impianti ammissibili;

– adottare un piano energetico regionale, mirando alla sovranità dei sardi, a mantenere per intero il governo dell’infrastruttura, al coinvolgimento anche economico dei cittadini.

Ci sono diversi modi per realizzare una nuova infrastruttura energetica, alternativi fra loro:

1 – lasciar fare al mercato, che però come vediamo è capace di ingolfarsi da solo, se lasciato al liberismo selvaggio;

2 – governare il processo con bandi da aggiudicare al miglior offerente, cosa che rappresenta sicuramente un passo avanti ma comporta sempre affidarsi al mercato privato per una infrastruttura che è pubblica, e ottenere un calmieramento dei prezzi ma non una decisa riduzione;

3 – intervenire con massicci investimenti pubblici, con un’ottica di lungo periodo, per un’infrastruttura energetica di proprietà interamente o a maggioranza regionale, dove le società più attrezzate e capaci si aggiudicano il compito di costruire, installare e gestire gli impianti per conto della collettività, hanno la loro remunerazione ma i benefici di lungo periodo ricadono a cascata sulla collettività in termini di sicurezza e riduzione dei costi dell’energia.

In questa terza ipotesi i vantaggi sono massimi per la collettività e vanno crescendo nel tempo; ma anche per il settore privato ci sarà un aumento della sicurezza e della stabilità economica, un valore non di poco conto.

E il gasdotto, su cui insistono sia l’attuale Giunta sia i sindacati? Sarebbe un’avventura infinita, entrerebbe in funzione sicuramente a tempo scaduto in un sistema che richiederà sempre meno gas, e anche se venisse sostituito dall’idrogeno le quantità occorrenti non sarebbero mai tali da richiedere una condotta dedicata, almeno in Sardegna, a meno che il gasdotto non costituisca solo una servitù di passaggio verso altri lidi.

Mentre si lanciano allarmi sul ventilato proposito di rendere l’isola un Hub delle rinnovabili asservito alle altre regioni italiane, si inneggia alla reale volontà di rendere la Sardegna un Hub di passaggio per il gas e l’idrogeno dall’Africa all’Europa.

Si capiscono allora le reali intenzioni: sviare l’attenzione, creare un’opposizione massiccia a un falso problema, che in realtà non esiste (invasione delle rinnovabili e nuovo colonialismo), e preparare la claque per i festeggiamenti, quando Meloni, Salvini e Tajani verranno ad inaugurare il nuovo Tubo, insieme magari a Solinas.

Dipenderà tutto dal prossimo governo regionale, e dalle scelte programmatiche che questo vorrà stabilire nell’interesse dei sardi o farsi imporre da Roma.

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