L’articolo si propone come un contributo alla discussione e all’analisi riguardo uno degli aspetti cruciali in vista delle scelte future per lo sviluppo della Sardegna e la nostra democrazia: il diritto allo studio fra competenze dello Stato e della Regione.
Il dimensionamento, ultimo taglio
Il dimensionamento, cioè l’innalzamento del parametro per l’istituzione scolastica autonoma, sino a 1000 alunni (deroga a 900), in luogo del precedente che prevedeva 600-400, è solo l’ultimo degli interventi di riduzione e di taglio che stanno cancellando la scuola della Costituzione.
Siamo passati da un modello di scuola, motore di emancipazione sociale, rimozione degli ostacoli, in funzione della crescita della persona e del paese, modello che, a partire dagli anni 70 del ‘900 era stato implementato dalla spinta di una società civile, dalla ricerca socio-pedagogica, interpretata da scelte politiche di investimenti: tempo pieno, sostegno per l’ inserimento dei disabili, diritto allo studio anche per i lavoratori e gli adulti, Scuola di specializzazione per insegnanti per ricordare alcuni esempi. Questa scuola della Res publica era pensata come bene comune e come servizio indispensabile, diritto all’istruzione che obbligava i cittadini e lo Stato.
Dalla fine degli anni 90 e poi nel corso del 2000 si è affermato un modello liberistico di scuola del merito, selettiva, che riproduce differenze sociali segnate da una sempre più marcata polarizzazione. si è parlato di “offerta formativa”, opportunità per chi la volesse cogliere, a scelta delle famiglie, in cui la scuola privata integrava l’offerta dallo stato, ridotta progressivamente dagli interventi di razionalizzazione, riduzione, tagli: del tempo, delle classi, dei docenti. Ora è la volta del dimensionamento scolastico: dopo l’innalzamento del numero degli alunni per classe e la riduzione dell’organico dei docenti, si innalzano i parametri per l’assegnazione dei Dirigenti scolastici e Direttori dei servizi amministrativi.
In Sardegna, cadute le minacce di opposizione e di ricorso dell’assessore Biancareddu, la Giunta Regionale ha deliberato il piano di dimensionamento che ostenta il successo della riduzione di 42 autonomie. Si dovrà procedere all’accorpamento dei “punti di erogazione “ del servizio scolastico per costituire 228 Istituzioni Scolastiche autonome con cui si rientrerà nel contingente assegnato di organico dei dirigenti scolastici e DSGA. Ciò comporterà la riorganizzazione delle scuole con meno di 400 alunni con scuole dello stesso comune o di comuni viciniori, per la creazione di un nuovo istituto con “non più di 1300-1200 alunni”. Apparentemente nessun obbligo relativo a alunni per classe o numero classi, solo un contingente di organico che obbliga a scelte secondo criteri e parametri prefissati, perché, se si concede la deroga dei 900 in una zona, sarà necessario costituire degli istituti superdimensionati in altra.
Già oggi, per esempio, l’Istituto comprensivo di Samugheo è suddiviso in 11 plessi di infanzia, primaria e sec. I° su un territorio di 8 Comuni. All’anno della sua costituzione, nel 2012 aveva 650 alunni . Gli alunni iscritti ai vari plessi delle scuole primarie sono attualmente 296.
Quanti comuni potrebbe comprendere un istituto comprensivo con l’applicazione dei nuovi parametri?
Come potrà funzionare un’autonomia scolastica il cui dirigente, per progettare e realizzare interventi adeguati a contesti differenti e non sempre vicini , alla domanda delle famiglie (come previsto nel Dpr 275/99, Regolamento dell’autonomia scolastica), debba interagire con amministratori locali di 10 o 15 comuni?
Il problema si pone con più forza se consideriamo il dovere di adeguare gli interventi “alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti per interventi mirati allo sviluppo della persona umana, al fine di garantire loro il successo formativo e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.
Bisogni educativi fra inclusione e povertà
Compito della scuola è la risposta ai bisogni educativi, l’inclusione basata sul riconoscimento delle differenze e del dare a ciascuno in modo diverso a seconda di ciò di cui ha bisogno.
Questa risposta avviene a partire dai bisogni educativi di base, senza la cui soddisfazione non c’è possibilità di sviluppo successivo. Nel percorso dell’obbligo si affrontano perciò bisogni relativi all’imparare, bisogni di autonomia, di appartenenza sociale, di sicurezza affettiva, del riconoscimento di sé in relazione con gli altri, e si deve garantire lo sviluppo delle competenze chiave, base della cittadinanza.
In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni. La normativa, a partire dal 2012 ha introdotto la sigla e il concetto di BES, bisogni educativi speciali: oltre quelli “certificati” dell’area della disabilità e l’area dei DSA, disturbi specifici di apprendimento e ADHD disturbi dell’attenzione o di comportamento, che sono riconosciuti in base ad una diagnosi, sono considerati anche quelli di una terza area di alunni i cui bisogni sono legati a svantaggio economico socioculturale. Si tratta di una fascia sempre più ampia e d’altra parte, anche i bisogni legati alla disabilità alle difficoltà si apprendimento o di comportamento sono amplificati, se si proviene e si è inseriti in contesto familiare disagiato o che offre poche opportunità.
La compensazione della scuola non basta: il rischio è che l’inclusione si riduca solo a piani sulla carta, e che la certificazione e il riconoscimento siano solo un sancire le differenze. Quale compensazione può infatti costituire la scuola, senza mezzi sufficienti per rimuovere gli ostacoli, rispetto a quella che è povertà educativa, cioè la situazione di un bambino che cresce in contesti privi di opportunità culturali, ma soprattutto povertà, cioè la condizione di crescere in contesti di precarietà economica, precarietà occupativa dei genitori, precarietà abitativa? Spesso si tratta di contesti dove i ragazzi sperimentano violenza, illegalità che a volte si manifestano in comportamenti aggressivi, nel rifiuto delle regole, nella mancanza di motivazione che li lasciano ai margini delle relazioni scolastiche e dei percorsi di apprendimento.
Dispersione e divari territoriali del sottosviluppo
Le rilevazioni degli apprendimenti condotte annualmente dall’Invalsi, i dati sui risultati scolastici, sull’abbandono, sui titoli di studio, mostrano in modo evidente la correlazione fra dispersione implicita, esplicita e contesto socio-economico e culturale di provenienza evidenziando la trasversalità dovuta a differenze socioculturali. I dati rispecchiano peraltro differenze fra città e aree interne, fra centri e periferie, differenze territoriali e, ricondotti a macro regioni e regioni, ci parlano del Sud e delle isole, e in particolare della Sardegna, come aree di sottosviluppo.
Le tabelle dei dati regionali sulla dispersione sono chiaramente sovrapponibili a quelle sui dati della povertà, ma anche a quelle che illustrano una serie di carenze nelle strutture scolastiche e nelle infrastrutture.
Il rapporto 2022 Save The children sulla dispersione dedica un’analisi dettagliata alle disparità nella distribuzione territoriale dell’offerta di tempi, servizi e spazi adeguati, come mensa scolastica, tempo pieno, palestra e agibilità degli edifici, che penalizzano, molto spesso, proprio le province, in particolare del sud, dove si concentrano maggiormente i minori più svantaggiati dal punto di vista socio economico.
“La scuola italiana è meno equa nelle aree più disagiate del paese (in particolare nelle regioni del sud), dove i risultati sono molto diversi anche tra scuola e scuola, o tra classe e classe”, si legge in sintesi nel Documento sulla dispersione prodotto nel 2022 dall’autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza.
Come si esce dal circolo vizioso che inserisce la scuola fra povertà e sviluppo?
Sarebbe fondamentale aumentare significativamente, più che diminuire, le risorse per l’istruzione, portandole al pari della media europea (5% del PIL), concludeva il Rapporto Save the Children nel 2022. “È evidente, infatti, che i fondi attualmente previsti sono già oggi insufficienti a garantire un’offerta educativa di qualità, con spazi e servizi adeguati in tutti i territori, nonostante i minori costi dovuti al calo demografico. Investire il 5% del PIL vorrebbe dire rendere disponibili circa 93 miliardi, contro i circa 71 stanziati nel 2020”.
I finanziamenti dei FSE e il PNRR, il rischio di dispersione dei fondi e delle opportunità
Che per fare la differenza sia indispensabile potenziare l’offerta scolastica e la sua qualità con investimenti significativi è una consapevolezza confermata anche dai piani di investimenti FSE PON e del PNRR.
In particolare questi ultimi -ma già in Sardegna il progetto Iscol@ Tutti a Iscol@ 2019-20- prevedono l’inserimento di risorse e l’attuazione di programmi per gli obiettivi di ridurre i divari territoriale e intervenire sulla dispersione.
I bandi rivolti ai Comuni e alle scuole vanno nella direzione di reinserire quelle modalità di fare scuola che nel modello liberistico degli anni 2000 sono state progressivamente tagliate: apertura pomeridiana delle scuole con tempo pieno e mense, strutture sportive; nuovi edifici scolastici e ristrutturazione di spazi; interventi a favore di alunni disagiati, moduli di recupero per gruppi con tutor e docenti dedicati.
Da tempo i finanziamenti europei, essendo la Sardegna inserita di nuovo nell’obiettivo 1, costituiscono gli unici su cui si fa affidamento e gli unici resi disponibili al Ministero all’Ente regionale, agli EELL e alle Scuole. Da più parti provengono le esortazioni a non rinunciare alla possibilità di investimenti, ma vi è consapevolezza del rischio di dispersione dei fondi e delle opportunità.
Se pensiamo che per la Sardegna sono/saranno messi a disposizione i fondi Agenda Sud, Piano PR FSE 21-27, PNRR le opportunità sono notevoli , ma la sovrapposizione dei bandi su obiettivi simili, la necessità di tenerli distinti o di gestirli in maniera integrata comporta difficoltà che possono tradursi nella mancanza di progettazione e di spesa, già emersa, da parte della Regione, dei Comuni e delle Scuole.
La maggiore criticità è legata al fatto che siano solo degli interventi che non modificano il modello scolastico e sociale, interventi “compensativi” rispetto alle necessità dell’inclusione sociale e della ripresa economica. Per questo, considerato anche che i fondi PNRR sono un debito, si dovrebbe mirare a investimenti permanenti e strutturali. Gli economisti Boeri e Perotti, in “PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, 2023”, osservano che si sarebbe dovuto prevedere una pianificazione che prioritariamente mettesse al centro il contrasto del declino demografico, l’integrazione degli stranieri, la lotta all’emarginazione sociale e che si dovrebbe mirare a inserire all’interno delle scuole in modo stabile spazi di socializzazione, tempo pieno, infrastrutture di supporto.
Dall’esperienza precedente e in corso può emergere invece che i bandi rivolti alle scuole propongono interventi su sintomi, a effetto palliativo.
Prevedono docenti aggiuntivi o compiti aggiuntivi per i docenti, acquisto di strumentazioni digitali, senza modificare realmente le dotazioni finanziarie, gli organici del personale, il numero degli alunni per classe, il tempo scuola.
Si interviene in ritardo a giochi fatti, non solo ad anno inoltrato, ma anche con interventi sulle competenze e sul sistema scolastico professionalizzante . Questi interventi possono incidere limitatamente su situazioni di partenza su effetti ormai consolidati che si manifestano negli alunni con mancanza di adesione, di motivazione, di interesse. Bisogna intervenire sui bisogni educativi fondamentali nella scuola di base. I problemi della professionalizzazione devono essere affrontati dopo che sia stato assicurato il possesso degli strumenti culturali, delle competenze chiave.
Le scuole hanno bisogno di poter fare previsione dei fondi per il Programma annuale, ma con possibilità di sviluppo pluriennale. Per questo occorre stabilità e certezza di continuità. I fondi devono essere nella dotazione del Fondo di istituto, per poter fare un quadro complessivo di quanto sarà reso disponibile, senza dover inseguire i bandi.
Numerose sono poi le criticità relative alla gestione a livello centrale, nazionale e regionale; cosa che era già evidente ed emersa nel monitoraggio dei progetti PON e Tutti a Iscol@.
La frammentazione degli organismi che intervengono comporta una dilatazione dei tempi di passaggio dalle unità nazionali a quelle regionali relativa alla decretazione, alla redazione delle linee operative, agli avvisi e ai bandi, con la conseguente riduzione di tempi di realizzazione. E’ quanto denuncia, per esempio, in questi giorni la rivista Tuttoscuola:
“Le scuole hanno l’acqua alla gola: l’Unità di missione per il PNRR ha impiegato 217 giorni per emanare istruzioni operative relative all’assegnazione di 750 milioni di euro per il potenziamento delle competenze STEM e multilinguistiche, mentre alle scuole sono stati concessi solo 30 giorni per progettare dettagliatamente le azioni: una sproporzione tra tempi e carichi di lavoro difficilmente digeribile e che preoccupa riguardo all’efficacia del processo di impiego di risorse che sono irripetibili e prevalentemente a debito. Tuttoscuola news, 20 novembre 2023
Nei prossimi 19 giorni lavorativi (l’Unità di missione per il PNRR se ne è presi 217 per emanare le istruzioni operative del al DM 65.) viene richiesto di progettare dettagliatamente il da farsi, dall’idea progettuale alle modalità di azione. In questo arco di tempo, le scuole devono definire l’analisi dei fabbisogni formativi, le azioni di formazione e orientamento, l’eventuale collaborazione in rete con altre scuole, costituire i gruppi di lavoro interni e individuare i partner di progetto definendone gli accordi. Entro il 15 dicembre 2023 va tutto caricato sulla piattaforma Futura”.Tuttoscuola 20 novembre
Certamente sono fondi che rispondono ai forti vincoli europei di progettazione (contenuti e interventi; tempi e procedure di attuazione), ma questo si traduce in una rigidità di programmi e di procedure che, da una parte limitano la possibilità di Scuole e Comuni di scegliere che cosa realmente fare e su quali dotazioni investire favorendo a volte scelte superflue e sprechi: per esempio avviene nel caso della ristrutturazioni di edifici scolastici per far affluire i fondi o degli acquisiti di dotazioni digitali cui le scuole sono vincolate a destinare una buona parte dei fondi assegnati.
Da un’altra parte le procedure sono così impegnative da richiedere un impegno di lavoro che non sarà svolto agevolmente nelle scuole e nei territori per effetto del dimensionamento. Si possono immaginare le difficoltà dovute a servizi amministrativi che gestiscono pluralità di progetti, con la prospettiva di un dirigente unico per venti scuole: quali possibilità di governance con l’ente locale e i servizi territoriali, quale progettazione attenta ai bisogni dei territori?
Una programmazione per un piano di sviluppo della scuola e della regione
In breve si può dire che questi finanziamenti costituiscano dei flussi a carattere torrentizio che rischiano di disperdersi in mille rivoli di acquisti e contratti per personale aggiuntivo. E che forse l’opportunità non riguarderà l’efficacia dell’azione scolastica.
Che cosa si deve auspicare? Occorre continuità, messa a regime: un’azione complessa di coordinamento e di programmazione dei diversi finanziamenti che può dipendere solo da decisioni politiche lungimiranti.
Nei vari provvedimenti regionali d’intervento per il diritto allo studio si legge che sono emanati “nelle more dell’approvazione di una legge regionale sull’istruzione”. Altre regioni se ne sono dotate da tempo prevedendo interventi per servizi educativi, istruzione, orientamento, formazione professionale formazione permanente, diritto allo studio universitario. In Sardegna manca ancora.
La L.R. 31/84, all’art.14 prevede un piano pluriennale per il diritto allo studio, approvato dal Consiglio regionale su proposta dalla Giunta, in coerenza con le previsioni del piano regionale di sviluppo, nel quadro delle risorse che il bilancio pluriennale rappresenta.
Attualmente il piano per il diritto allo studio dovrebbe prevedere una scuola inserita in un contesto di sviluppo economico e riduzione delle differenze sociali. Un piano che consideri la scuola in relazione agli interventi sullo spopolamento, sui collegamenti interni sui servizi, e definisca il tempo, le infrastrutture, le istituzioni, le opzioni dell’offerta sulla base di criteri e parametri realmente concordati in un’analisi attenta con le regioni e con gli enti del territorio.
Se potessimo richiamare l’art. 13 dello Statuto e l’art 119 della Costituzione potremmo fare affidamento non solo su Agenda del Sud e risorse del PNRR, ma sulla solidarietà interregionale, su un fondo perequativo speciale “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”
Ma il Senato è occupato ad approvare la proposta Calderoli sull’autonomia differenziata, mentre il dibattito pubblico si polarizza su altri temi e divergenze.
Adesso, in Sardegna, si presenta ai cittadini la possibilità di fare scelte esercitando il diritto di voto. Abbiamo bisogno di farle con responsabilità, con una profonda consapevolezza dei problemi sociali e della china verso cui ci avviamo.
Una responsabilità che vada ben oltre la rassicurazione che ci propone, a grandi caratteri dal 10 ottobre sul sito della regione, l’assessore all’istruzione: “l’assessore Biancareddu incontra ministro Valditara che verrà in Sardegna a novembre per illustrare l’agenda sud dedicata alle scuole e l’edilizia scolastica. “Grandi piani di rilancio della scuola sarda”.
Una scelta per la scuola, sempre più povera, tra inclusione e dispersione, dimensionamento e PNRR (di Gabriella Lanero)
L’articolo si propone come un contributo alla discussione e all’analisi riguardo uno degli aspetti cruciali in vista delle scelte future per lo sviluppo della Sardegna e la nostra democrazia: il diritto allo studio fra competenze dello Stato e della Regione.
Il dimensionamento, ultimo taglio
Il dimensionamento, cioè l’innalzamento del parametro per l’istituzione scolastica autonoma, sino a 1000 alunni (deroga a 900), in luogo del precedente che prevedeva 600-400, è solo l’ultimo degli interventi di riduzione e di taglio che stanno cancellando la scuola della Costituzione.
Siamo passati da un modello di scuola, motore di emancipazione sociale, rimozione degli ostacoli, in funzione della crescita della persona e del paese, modello che, a partire dagli anni 70 del ‘900 era stato implementato dalla spinta di una società civile, dalla ricerca socio-pedagogica, interpretata da scelte politiche di investimenti: tempo pieno, sostegno per l’ inserimento dei disabili, diritto allo studio anche per i lavoratori e gli adulti, Scuola di specializzazione per insegnanti per ricordare alcuni esempi. Questa scuola della Res publica era pensata come bene comune e come servizio indispensabile, diritto all’istruzione che obbligava i cittadini e lo Stato.
Dalla fine degli anni 90 e poi nel corso del 2000 si è affermato un modello liberistico di scuola del merito, selettiva, che riproduce differenze sociali segnate da una sempre più marcata polarizzazione. si è parlato di “offerta formativa”, opportunità per chi la volesse cogliere, a scelta delle famiglie, in cui la scuola privata integrava l’offerta dallo stato, ridotta progressivamente dagli interventi di razionalizzazione, riduzione, tagli: del tempo, delle classi, dei docenti. Ora è la volta del dimensionamento scolastico: dopo l’innalzamento del numero degli alunni per classe e la riduzione dell’organico dei docenti, si innalzano i parametri per l’assegnazione dei Dirigenti scolastici e Direttori dei servizi amministrativi.
In Sardegna, cadute le minacce di opposizione e di ricorso dell’assessore Biancareddu, la Giunta Regionale ha deliberato il piano di dimensionamento che ostenta il successo della riduzione di 42 autonomie. Si dovrà procedere all’accorpamento dei “punti di erogazione “ del servizio scolastico per costituire 228 Istituzioni Scolastiche autonome con cui si rientrerà nel contingente assegnato di organico dei dirigenti scolastici e DSGA. Ciò comporterà la riorganizzazione delle scuole con meno di 400 alunni con scuole dello stesso comune o di comuni viciniori, per la creazione di un nuovo istituto con “non più di 1300-1200 alunni”. Apparentemente nessun obbligo relativo a alunni per classe o numero classi, solo un contingente di organico che obbliga a scelte secondo criteri e parametri prefissati, perché, se si concede la deroga dei 900 in una zona, sarà necessario costituire degli istituti superdimensionati in altra.
Già oggi, per esempio, l’Istituto comprensivo di Samugheo è suddiviso in 11 plessi di infanzia, primaria e sec. I° su un territorio di 8 Comuni. All’anno della sua costituzione, nel 2012 aveva 650 alunni . Gli alunni iscritti ai vari plessi delle scuole primarie sono attualmente 296.
Quanti comuni potrebbe comprendere un istituto comprensivo con l’applicazione dei nuovi parametri?
Come potrà funzionare un’autonomia scolastica il cui dirigente, per progettare e realizzare interventi adeguati a contesti differenti e non sempre vicini , alla domanda delle famiglie (come previsto nel Dpr 275/99, Regolamento dell’autonomia scolastica), debba interagire con amministratori locali di 10 o 15 comuni?
Il problema si pone con più forza se consideriamo il dovere di adeguare gli interventi “alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti per interventi mirati allo sviluppo della persona umana, al fine di garantire loro il successo formativo e con l’esigenza di migliorare l’efficacia del processo di insegnamento e di apprendimento.
Bisogni educativi fra inclusione e povertà
Compito della scuola è la risposta ai bisogni educativi, l’inclusione basata sul riconoscimento delle differenze e del dare a ciascuno in modo diverso a seconda di ciò di cui ha bisogno.
Questa risposta avviene a partire dai bisogni educativi di base, senza la cui soddisfazione non c’è possibilità di sviluppo successivo. Nel percorso dell’obbligo si affrontano perciò bisogni relativi all’imparare, bisogni di autonomia, di appartenenza sociale, di sicurezza affettiva, del riconoscimento di sé in relazione con gli altri, e si deve garantire lo sviluppo delle competenze chiave, base della cittadinanza.
In ogni classe ci sono alunni che presentano una richiesta di speciale attenzione per una varietà di ragioni. La normativa, a partire dal 2012 ha introdotto la sigla e il concetto di BES, bisogni educativi speciali: oltre quelli “certificati” dell’area della disabilità e l’area dei DSA, disturbi specifici di apprendimento e ADHD disturbi dell’attenzione o di comportamento, che sono riconosciuti in base ad una diagnosi, sono considerati anche quelli di una terza area di alunni i cui bisogni sono legati a svantaggio economico socioculturale. Si tratta di una fascia sempre più ampia e d’altra parte, anche i bisogni legati alla disabilità alle difficoltà si apprendimento o di comportamento sono amplificati, se si proviene e si è inseriti in contesto familiare disagiato o che offre poche opportunità.
La compensazione della scuola non basta: il rischio è che l’inclusione si riduca solo a piani sulla carta, e che la certificazione e il riconoscimento siano solo un sancire le differenze. Quale compensazione può infatti costituire la scuola, senza mezzi sufficienti per rimuovere gli ostacoli, rispetto a quella che è povertà educativa, cioè la situazione di un bambino che cresce in contesti privi di opportunità culturali, ma soprattutto povertà, cioè la condizione di crescere in contesti di precarietà economica, precarietà occupativa dei genitori, precarietà abitativa? Spesso si tratta di contesti dove i ragazzi sperimentano violenza, illegalità che a volte si manifestano in comportamenti aggressivi, nel rifiuto delle regole, nella mancanza di motivazione che li lasciano ai margini delle relazioni scolastiche e dei percorsi di apprendimento.
Dispersione e divari territoriali del sottosviluppo
Le rilevazioni degli apprendimenti condotte annualmente dall’Invalsi, i dati sui risultati scolastici, sull’abbandono, sui titoli di studio, mostrano in modo evidente la correlazione fra dispersione implicita, esplicita e contesto socio-economico e culturale di provenienza evidenziando la trasversalità dovuta a differenze socioculturali. I dati rispecchiano peraltro differenze fra città e aree interne, fra centri e periferie, differenze territoriali e, ricondotti a macro regioni e regioni, ci parlano del Sud e delle isole, e in particolare della Sardegna, come aree di sottosviluppo.
Le tabelle dei dati regionali sulla dispersione sono chiaramente sovrapponibili a quelle sui dati della povertà, ma anche a quelle che illustrano una serie di carenze nelle strutture scolastiche e nelle infrastrutture.
Il rapporto 2022 Save The children sulla dispersione dedica un’analisi dettagliata alle disparità nella distribuzione territoriale dell’offerta di tempi, servizi e spazi adeguati, come mensa scolastica, tempo pieno, palestra e agibilità degli edifici, che penalizzano, molto spesso, proprio le province, in particolare del sud, dove si concentrano maggiormente i minori più svantaggiati dal punto di vista socio economico.
“La scuola italiana è meno equa nelle aree più disagiate del paese (in particolare nelle regioni del sud), dove i risultati sono molto diversi anche tra scuola e scuola, o tra classe e classe”, si legge in sintesi nel Documento sulla dispersione prodotto nel 2022 dall’autorità Garante per l’infanzia e l’adolescenza.
Come si esce dal circolo vizioso che inserisce la scuola fra povertà e sviluppo?
Sarebbe fondamentale aumentare significativamente, più che diminuire, le risorse per l’istruzione, portandole al pari della media europea (5% del PIL), concludeva il Rapporto Save the Children nel 2022. “È evidente, infatti, che i fondi attualmente previsti sono già oggi insufficienti a garantire un’offerta educativa di qualità, con spazi e servizi adeguati in tutti i territori, nonostante i minori costi dovuti al calo demografico. Investire il 5% del PIL vorrebbe dire rendere disponibili circa 93 miliardi, contro i circa 71 stanziati nel 2020”.
I finanziamenti dei FSE e il PNRR, il rischio di dispersione dei fondi e delle opportunità
Che per fare la differenza sia indispensabile potenziare l’offerta scolastica e la sua qualità con investimenti significativi è una consapevolezza confermata anche dai piani di investimenti FSE PON e del PNRR.
In particolare questi ultimi -ma già in Sardegna il progetto Iscol@ Tutti a Iscol@ 2019-20- prevedono l’inserimento di risorse e l’attuazione di programmi per gli obiettivi di ridurre i divari territoriale e intervenire sulla dispersione.
I bandi rivolti ai Comuni e alle scuole vanno nella direzione di reinserire quelle modalità di fare scuola che nel modello liberistico degli anni 2000 sono state progressivamente tagliate: apertura pomeridiana delle scuole con tempo pieno e mense, strutture sportive; nuovi edifici scolastici e ristrutturazione di spazi; interventi a favore di alunni disagiati, moduli di recupero per gruppi con tutor e docenti dedicati.
Da tempo i finanziamenti europei, essendo la Sardegna inserita di nuovo nell’obiettivo 1, costituiscono gli unici su cui si fa affidamento e gli unici resi disponibili al Ministero all’Ente regionale, agli EELL e alle Scuole. Da più parti provengono le esortazioni a non rinunciare alla possibilità di investimenti, ma vi è consapevolezza del rischio di dispersione dei fondi e delle opportunità.
Se pensiamo che per la Sardegna sono/saranno messi a disposizione i fondi Agenda Sud, Piano PR FSE 21-27, PNRR le opportunità sono notevoli , ma la sovrapposizione dei bandi su obiettivi simili, la necessità di tenerli distinti o di gestirli in maniera integrata comporta difficoltà che possono tradursi nella mancanza di progettazione e di spesa, già emersa, da parte della Regione, dei Comuni e delle Scuole.
La maggiore criticità è legata al fatto che siano solo degli interventi che non modificano il modello scolastico e sociale, interventi “compensativi” rispetto alle necessità dell’inclusione sociale e della ripresa economica. Per questo, considerato anche che i fondi PNRR sono un debito, si dovrebbe mirare a investimenti permanenti e strutturali. Gli economisti Boeri e Perotti, in “PNRR. La grande abbuffata, Feltrinelli, 2023”, osservano che si sarebbe dovuto prevedere una pianificazione che prioritariamente mettesse al centro il contrasto del declino demografico, l’integrazione degli stranieri, la lotta all’emarginazione sociale e che si dovrebbe mirare a inserire all’interno delle scuole in modo stabile spazi di socializzazione, tempo pieno, infrastrutture di supporto.
Dall’esperienza precedente e in corso può emergere invece che i bandi rivolti alle scuole propongono interventi su sintomi, a effetto palliativo.
Prevedono docenti aggiuntivi o compiti aggiuntivi per i docenti, acquisto di strumentazioni digitali, senza modificare realmente le dotazioni finanziarie, gli organici del personale, il numero degli alunni per classe, il tempo scuola.
Si interviene in ritardo a giochi fatti, non solo ad anno inoltrato, ma anche con interventi sulle competenze e sul sistema scolastico professionalizzante . Questi interventi possono incidere limitatamente su situazioni di partenza su effetti ormai consolidati che si manifestano negli alunni con mancanza di adesione, di motivazione, di interesse. Bisogna intervenire sui bisogni educativi fondamentali nella scuola di base. I problemi della professionalizzazione devono essere affrontati dopo che sia stato assicurato il possesso degli strumenti culturali, delle competenze chiave.
Le scuole hanno bisogno di poter fare previsione dei fondi per il Programma annuale, ma con possibilità di sviluppo pluriennale. Per questo occorre stabilità e certezza di continuità. I fondi devono essere nella dotazione del Fondo di istituto, per poter fare un quadro complessivo di quanto sarà reso disponibile, senza dover inseguire i bandi.
Numerose sono poi le criticità relative alla gestione a livello centrale, nazionale e regionale; cosa che era già evidente ed emersa nel monitoraggio dei progetti PON e Tutti a Iscol@.
La frammentazione degli organismi che intervengono comporta una dilatazione dei tempi di passaggio dalle unità nazionali a quelle regionali relativa alla decretazione, alla redazione delle linee operative, agli avvisi e ai bandi, con la conseguente riduzione di tempi di realizzazione. E’ quanto denuncia, per esempio, in questi giorni la rivista Tuttoscuola:
“Le scuole hanno l’acqua alla gola: l’Unità di missione per il PNRR ha impiegato 217 giorni per emanare istruzioni operative relative all’assegnazione di 750 milioni di euro per il potenziamento delle competenze STEM e multilinguistiche, mentre alle scuole sono stati concessi solo 30 giorni per progettare dettagliatamente le azioni: una sproporzione tra tempi e carichi di lavoro difficilmente digeribile e che preoccupa riguardo all’efficacia del processo di impiego di risorse che sono irripetibili e prevalentemente a debito. Tuttoscuola news, 20 novembre 2023
Nei prossimi 19 giorni lavorativi (l’Unità di missione per il PNRR se ne è presi 217 per emanare le istruzioni operative del al DM 65.) viene richiesto di progettare dettagliatamente il da farsi, dall’idea progettuale alle modalità di azione. In questo arco di tempo, le scuole devono definire l’analisi dei fabbisogni formativi, le azioni di formazione e orientamento, l’eventuale collaborazione in rete con altre scuole, costituire i gruppi di lavoro interni e individuare i partner di progetto definendone gli accordi. Entro il 15 dicembre 2023 va tutto caricato sulla piattaforma Futura”.Tuttoscuola 20 novembre
Certamente sono fondi che rispondono ai forti vincoli europei di progettazione (contenuti e interventi; tempi e procedure di attuazione), ma questo si traduce in una rigidità di programmi e di procedure che, da una parte limitano la possibilità di Scuole e Comuni di scegliere che cosa realmente fare e su quali dotazioni investire favorendo a volte scelte superflue e sprechi: per esempio avviene nel caso della ristrutturazioni di edifici scolastici per far affluire i fondi o degli acquisiti di dotazioni digitali cui le scuole sono vincolate a destinare una buona parte dei fondi assegnati.
Da un’altra parte le procedure sono così impegnative da richiedere un impegno di lavoro che non sarà svolto agevolmente nelle scuole e nei territori per effetto del dimensionamento. Si possono immaginare le difficoltà dovute a servizi amministrativi che gestiscono pluralità di progetti, con la prospettiva di un dirigente unico per venti scuole: quali possibilità di governance con l’ente locale e i servizi territoriali, quale progettazione attenta ai bisogni dei territori?
Una programmazione per un piano di sviluppo della scuola e della regione
In breve si può dire che questi finanziamenti costituiscano dei flussi a carattere torrentizio che rischiano di disperdersi in mille rivoli di acquisti e contratti per personale aggiuntivo. E che forse l’opportunità non riguarderà l’efficacia dell’azione scolastica.
Che cosa si deve auspicare? Occorre continuità, messa a regime: un’azione complessa di coordinamento e di programmazione dei diversi finanziamenti che può dipendere solo da decisioni politiche lungimiranti.
Nei vari provvedimenti regionali d’intervento per il diritto allo studio si legge che sono emanati “nelle more dell’approvazione di una legge regionale sull’istruzione”. Altre regioni se ne sono dotate da tempo prevedendo interventi per servizi educativi, istruzione, orientamento, formazione professionale formazione permanente, diritto allo studio universitario. In Sardegna manca ancora.
La L.R. 31/84, all’art.14 prevede un piano pluriennale per il diritto allo studio, approvato dal Consiglio regionale su proposta dalla Giunta, in coerenza con le previsioni del piano regionale di sviluppo, nel quadro delle risorse che il bilancio pluriennale rappresenta.
Attualmente il piano per il diritto allo studio dovrebbe prevedere una scuola inserita in un contesto di sviluppo economico e riduzione delle differenze sociali. Un piano che consideri la scuola in relazione agli interventi sullo spopolamento, sui collegamenti interni sui servizi, e definisca il tempo, le infrastrutture, le istituzioni, le opzioni dell’offerta sulla base di criteri e parametri realmente concordati in un’analisi attenta con le regioni e con gli enti del territorio.
Se potessimo richiamare l’art. 13 dello Statuto e l’art 119 della Costituzione potremmo fare affidamento non solo su Agenda del Sud e risorse del PNRR, ma sulla solidarietà interregionale, su un fondo perequativo speciale “per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni”
Ma il Senato è occupato ad approvare la proposta Calderoli sull’autonomia differenziata, mentre il dibattito pubblico si polarizza su altri temi e divergenze.
Adesso, in Sardegna, si presenta ai cittadini la possibilità di fare scelte esercitando il diritto di voto. Abbiamo bisogno di farle con responsabilità, con una profonda consapevolezza dei problemi sociali e della china verso cui ci avviamo.
Una responsabilità che vada ben oltre la rassicurazione che ci propone, a grandi caratteri dal 10 ottobre sul sito della regione, l’assessore all’istruzione: “l’assessore Biancareddu incontra ministro Valditara che verrà in Sardegna a novembre per illustrare l’agenda sud dedicata alle scuole e l’edilizia scolastica. “Grandi piani di rilancio della scuola sarda”.
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Redazione Scuola