La fantasia del desiderio, ponte tra passato, presente e futuro (di Roberto Paracchini)

Nini. “Ciò che caratterizza l’eterno ripetersi della storia è l’assenza di lungimiranza”

Autore. Non capisco, ma di chi stai parlando?

Nini. Di te ovviamente e nello stesso tempo di tutti gli altri perché anche tu fai parte di “tutti gli altri”, ovviamente…

Autore. Perdonami, ma ancora non capisco: ti stai per caso rivolgendo a tutto il mondo, non ti sembra di allargarti un po’ troppo?

Nini. Mi rivolgo a te e al tuo mondo relazionale perché senza relazioni tutti noi, come dire, esistiamo solo per finta, come nuotatori senz’acqua.

Autore. Forse occorre che ti spieghi un po’ meglio.

Nini. Te la faccio breve parlando di me. Come tu sai io sono un personaggio di fantasia…

Autore. Cioè?

Nini. Eddai! Faccio parte di un tuo scritto che stai, appunto, “componendo” in questo momento, quindi sai benissimo che io sono Nini, che ho 91 anni e che da 75 anni vivo col generale Henrik, uno dei due protagonisti del bellissimo romanzo di Sandor Marai, “Le braci”, di cui mi onoro di essere una coprotagonista: balia del generale, quasi una sorella e direi di più: quasi una madre visto che l’ho allattato; e confidente e sua autorevole consigliera. Poi…

Autore. Sì sì, d’accordo, ma anche se ti ho inserito io in questo scritto, le cose non sono mai lineari o consequenziali. Io, e lo ricordo anche a me stesso, devo parlare di un libro che non è certo una fiction, “Sardegna, per un nuovo Statuto speciale. Idee, progetti e possibili processi di autogoverno”, che rappresenta gli atti del convegno omonimo promossa dalla Scuola di cultura politica Francesco Cocco.

Nini. Quindi?

Autore. Devo parlare di un volume importante, che sviluppa l’argomento in modo approfondito, articolato e sfaccettato con 23 saggi, organizzati e mirabilmente curati da Fernando Codonesu e una introduzione di Andrea Pubusa. Interventi che spaziano dagli aspetti politici a quelli tecnico-scientifici, da quelli economici, occupazionali e imprenditoriali a quelli giuridico costituzionali, sino alle questioni economico finanziarie. Ed è quindi naturale che mi interroghi sul tuo ruolo, visto che sei un prodotto di fantasia.

Nini. Certamente ma attento: senza fantasia non c’è immaginazione e senza immaginazione non c’è capacità di elaborare progetti immaginando, appunto, futuri possibili.

Autore. Già…

Nini. Forse cerchi in me aiuto o ispirazione visto che Marai raccontando di me afferma che “a volte si aveva la sensazione che la casa e gli oggetti sarebbero caduti a pezzi, se la forza di Nini non avesse tenuto insieme tutto quanto…”. Insomma sei perfettamente consapevole che il tema che stai affrontando non è certo dei più semplici e cerchi un qualcosa, un motivo unificante se preferisci, che ti aiuti a tenere tutto insieme. E in qualche modo è questo il ruolo che mi assegni anche se, come noterai, il mio linguaggio sarà più quello attento e pignolo di una consigliera, che quello caldo di una balia perché il volo temporale che mi richiedi non è indolore neppure per me.

Autore. Certo e ti ringrazio per lo sforzo e la disponibilità. E dico subito che il tema del libro ha mille implicazioni, chissà se…

Nini. No, però ora non nasconderti dietro l’alibi della complessità.

Autore. In che senso?

Nini. Sai nella mia vita con Henrik ho capito che stava per diventare succube delle sue numerose vicissitudini; ed è allora che ho compreso che la mia autorevolezza poteva diventare anche la sua bussola e aiutarlo a diventare più responsabile di sé stesso, ad autogovernarsi insomma e a non essere più succube della complessità della sua storia. Ora a me sembra che anche nel libro di cui vuoi parlare ci sia una bussola ben chiara, riportata anche nel titolo, i “processi di autogoverno”. Ed è proprio da questo, dal concetto di autogoverno, che dovresti farti guidare.

Autore. Sì, ma anche in questo caso gli aspetti sono tantissimi.

Nini. Certo, ma rifletti: a che cosa porta l’autogoverno?

Autore. A governare sulle proprie scelte.

Nini. Ovvio, ma non essere banale!

Autore. ?

Nini. Governare le proprie scelte vuol dire innanzi tutto essere responsabili di quel che si fa, altrimenti si combinano solo pasticci; di più: vuol dire voler essere responsabili, il che significa che occorre essere motivati a diventare auto responsabili.

Autore. Non ti seguo…

Nini. Tutti voi fate ogni giorno scelte, da quella di mettersi a scrivere nelle prime ore del mattino, ad esempio dopo un’abbondante colazione, mentre un’altra persona prende solo un caffè e scrive, se lo deve fare, verso metà mattina o nel pomeriggio. Ma tutti voi siete accomunati da una qualche motivazione, a volte anche inconscia, che vi fa scegliere un percorso al posto di un altro. Il tutto per raggiungere lo scopo che vi siete prefissati.

Autore. Ancora non mi è chiaro: che cosa c’entra una questione di abitudine personale, metti pure di auto responsabilità con un discorso collettivo sull’autogoverno?

Nini. Le due questioni, singolare e plurale, non sono affatto scollegate. Tutt’altro. Io ed Hendrik, ad esempio, siamo due persone profondamente diverse e ovviamente distinte, eppure lui non sarebbe quello che è senza di me, né io senza di lui. Essendo un prodotto di fantasia posso viaggiare tra passato, presente e futuro e vedere come che tutti voi siete singolare plurale, come racconta il filosofo Jean-Luc Nancy; come dire: siete indissolubilmente legati l’uno all’altro.

Autore. Spiega meglio.

Nini. Un autogoverno pieno di sostanza è fatto di tante autocoscienze che si nutrono di infinite, piccole-grandi motivazioni: spinte emotive o se preferisci voglia di vivere meglio, più in armonia con sé stessi e quindi con gli altri.

Autore. Stai entrando in un terreno antropologico, non ti sembra di portare un po’ lontano il discorso?

Nini. Per niente. Questo volo temporale a cui mi costringi mi permette anche uno sguardo più ampio sul tuo mondo. Per questo di dico che un altro autorevole filosofo della tua contemporaneità, Edgar Morin, parlando di un bel libro, “Il tempo della complessità” di Mauro Ceruti, sottolinea come “raccogliere la sfida della complessità posta dal nostro tempo” significhi “delineare una prospettiva antropologica dalla quale l’identità umana emerge come identità evolutiva e irriducibilmente multipla”. Il turbinio delle storie ci porta in continuazione a vivere, ad essere contaminati e vissuti da vicende differenti che cambiano in continuazione quel che siamo o pensiamo di essere. Da cui la nostra identità multipla e in continua evoluzione.

Autore. Tutto questo conduce anche a una molteplicità di punti di vista. Giusto?

Nini. Fai un passo avanti: le diversità individuali e culturali non sono un ostacolo ma una ricchezza. All’interno di una prospettiva progettuale, come ad esempio quella dell’autogoverno, l’intreccio di molteplici storie, direbbe Morin, “mostra come il nostro tempo renda ineludibile pensare insieme”. Ed è questa la scommessa anche del ricco e interessante libro sull’autogoverno da cui prendi le mosse: l’integrazione della frammentazione dei saperi e delle diversità locali.

Autore. D’accordo, ma ho un dubbio: il tutto dovrebbe camminare anche con l’obiettivo dell’ecocompatibilità. Invece ambiente e sviluppo sembrano spesso in contraddizione.

Nini. Solo in apparenza. Facciamoci aiutare dal saggio “La transizione ecologica e lo sviluppo sostenibile che servono alla Sardegna” della già presidente regionale di Legambiente Annalisa Colombu. In questo scritto si parla della necessità di creare i “distretti verdi”: aree dove “mettere a sistema le realtà economiche-produttive”. Proposta finalizzata al raggiungimento “della massa critica necessaria per poter essere competitive” in un quadro di inscindibile connubio tra sviluppo e tutela ambientale”.

Autore. Sì, ottimo in teoria, ma in un mondo così strattonato da crisi internazionali sia economiche che culturali – basti pensare solo ai nazionalismi populisti e ai fondamentalismi – e dilaniato da guerre vicine e lontane, la coesione sociale si fa sempre più slabbrata, mentre è proprio questa che sarebbe necessario rinforzare e coltivare per riuscire a fare scelte efficaci.

Nini. Direi che soprattutto nei momenti più burrascosi vanno precisate alcune linee di principio. Mi sembra che Colombu centri il problema quando afferma che “fare crescere la qualità culturale dei territori significa anche combattere lo spopolamento progressivo e l’isolamento delle piccole comunità”, proprio come base, condizione indispensabile “per costruire una nuova coesione sociale”.

Autore. Molti, però, affermano che le piccole comunità sono strutturalmente deboli e che conviene guardare altrove…

Nini. Chi lo afferma non riesce ad avere una visione complessiva del territorio. Nello stesso tempo, come afferma nel suo saggio “E se parlassimo di sviluppo armonico dei territori?” l’imprenditore Nicola Pirina (Project leader con esperienza pluriennale sulla gestione di progetti complessi di innovazione) occorre fare un ulteriore passo avanti.

Autore. Spiega meglio.

Nini. Secondo Pirina vi sono due concetti molto importanti da tenere presente: cooperazione e reti.

Autore. Ancora non mi è chiaro.

Nini. Quel che più conta è fare sistema. Pirina afferma che “attraverso la cooperazione fra attori e la creazione di reti proattive (in grado cioè di ipotizzare previsioni sul futuro Ndr) e stabili nel tempo si aumenta la capacità di visione e di azione”.

Autore. D’accordo, ma queste reti di collegamento tra i vari soggetti vanno create e gli attori-soggetti (piccole e medie imprese, associazioni di territorio pubbliche e non, volontariato ecc.) vanno responsabilizzati al fine di diventare attivi e partecipi. E questo non è certo facile.

Nini. Il mio creatore letterario Marai, parla di me “come se il suo corpo nascondesse qualche segreto… Un segreto che le parole non sono in grado di sostenere”. Ed è anche per questo mio alone di mistero che mi arrogo il diritto di sottolineare un aspetto che è difficile da razionalizzare e che rende il coinvolgimento dei territori locali più difficile e più facile contemporaneamente.

Autore. Beh, non ti ci mettere anche tu a complicare le cose. Sbroglia e spiegati meglio.

Nini. Direi che tutte le analisi sui problemi generali sono giuste, appropriate e importanti: rappresentano gli argini robusti che segnano e proteggono la strada, ma non bastano per attivare quello sviluppo locale di cui si è parlato. Le reti sono composte da singole unità territoriali, private e pubbliche, ed è proprio da queste che si deve partire e da cui proviene in genere il primo impulso, che costruisce poi le motivazioni dell’azione.

Autore. Forse capisco, mi vuoi dire in pratica che noi sapiens siamo fatti, come dire, di carne e sangue.

Nini. Ci sei vicino, dal segreto del mio corpo ti dico che, seguendo il discorso di Pirina, devi inserire il desiderio come elemento determinante delle possibilità di sviluppo locale. Infatti “non si convincerà mai nessuno a fare qualcosa se in autonomia non ha già deciso di farlo”, desiderato di farlo.

Autore. Ma qui si parla dei territori…

Nini. Appunto, sempre seguendo Pirina: “Si sviluppano i territori che si vogliono sviluppare perché lo desiderano”.

Autore. Mi sembra di intuire ma forse è meglio che chiarisca.

Nini. Guarda la vita di tutti i giorni, pensi forse che si vada a fare una passeggiata, o ci si prenda cura di una pianta di prossimità o si faccia una telefonata con una persona cara e ci si senta felici se più persone ci sorridono, per calcolo?, perché un ragionamento ci dice che così è meglio?, o non è più corretto pensare che siamo portati a fare le nostre piccole grandi azioni perché spinti anche e direi soprattutto dal desiderio e dalla nostra sensibilità emotiva? E non è forse tutto questo groviglio di sentimenti ed emozioni che alla fin fine rappresenta la forza del torrente che scorre e di cui gli argini rappresentano, sì, la razionalità che ci indica la strada e la via più corretta da percorrere, ma che senza il torrente sono privi di senso?

Autore. Insomma mi stai dicendo che per gli esseri umani i desideri e le emozioni sono determinanti e prioritari nel decidere di fare una scelta. E quindi mi stai anche dicendo che l’analisi razionale della situazione in cui ci muoviamo è, sì, importantissima, ma che viene sempre dopo e che, in ogni caso, è sempre impastata con la nostra emotività.

Nini. Esatto, vedi che ci arrivi anche tu!

Autore. Grazie… Beh, però sono io che ti ho “scritturato”.

Nini. Lascia perdere e concentrati su quello che afferma Pirina: che “si popolano i territori che si amano e che vogliono essere vissuti dalle persone che li scelgono per la vita (o porzioni della stessa)”.

Autore. D’accordo, ma c’è un’altra questione che mi lascia perplesso: perché alcuni territori, pur avendo condizioni che si assomigliano e lo stesso supporto pubblico, si sviluppano meno di altri?

Nini. Già: perché persone e territori reagiscono in modo diverso agli stessi stimoli e sollecitazioni?

Autore. Qui ti voglio.

Nini. Non essere impertinente. Come già detto le parole non sono sempre in grado di sostenere tutto in modo consequenziale. Ma ci provo. Come due gemelli omozigoti non sono mai identici, così avviene per le comunità e i territori locali. Direi anche e sulla base della mia esperienza con Hendrik, che esistono sempre infinite casualità che agiscono e interagiscono sui vari aspetti della personalità di una persona e, a maggior ragione, sulle quasi infinite diversità di una comunità, producendo differenti reazioni interne difficili da prevedere. Da cui l’affermazione di Pirina, che tutto questo produce “contorni imprecisi e definizioni non sempre univoche”, di cui bisogna tener presente per non dare mai niente per scontato.

Autore D’accordo, anche in una prospettiva di autogoverno è più facile parlare ed è pure doveroso dei tanti problemi generali che vanno affrontati: dalle scelte verso l’ecosostenibilità, alla questione trasporti e continuità territoriale, dalla gestione del paesaggio alle linee guida per i comparti produttivi, dalle politiche per arginare lo spopolamento dei piccoli centri a quelle per il recupero dei centri periferici nelle città più grandi ecc. ecc. Tutti problemi fortemente interconnessi e su cui si deve agire con una logica di sistema. E sin qui va bene. Ma come stimolare e coinvolgere le comunità locali e renderle partecipi, dato che sono proprio loro il motore principale? E…

Nini. (…) e lo dico io dato che tu sei titubante: come accendere la scintilla del desiderio, di cui si è accennato, vero motore della volontà di cambiamento? “Accensione” non certo lineare dati i “contorni imprecisi” e le “definizioni non sempre univoche” dei territori locali?

Autore. Garantendo al massimo “la partecipazione delle persone alla vita collettiva”?, come sottolinea Colombu, parlando delle periferie urbane e territoriali.

Nini. Potrebbe essere, se non si ponesse un altro problema, il fatto che la vita collettiva è oggi poco considerata e vista con molto pessimismo; non è un caso che, come accennato, vi sia il proliferare dei populismi e dei nazionalismi. Da qui la necessità, penso, di un lavoro più capillare e molecolare capace di stimolare il desiderio e la fiducia.

Autore. Già ma come?

Nini. Per quel che ho potuto vedere: innanzi tutto valorizzando quell’immenso patrimonio che mostra una miriade di iniziative che spesso sorgono spontanee e che sono in grado di produrre energie e stimoli produttivamente e culturalmente virtuosi. In pratica si tratta di individuare quelle migliaia di progetti già in atto, spia di un qualcosa che si muove in una prospettiva innovativa, come fa Mauro Tuzzolino nel saggio “La rinascita del margine. Casi di studio in Sardegna per un autogoverno della dimensione locale”, sottolineando come ci siano tante comunità operose e spesso sconosciute. Infatti, precisa, “parlare di sviluppo locale non è un esercizio tecnico relativo alla modalità di spendita di risorse che sono assegnate dai vari livelli istituzionali. Diventa piuttosto una prospettiva di sguardo sul mondo”; e di capacità di sguardo diverso e meno convenzionale, aggiungerei.

Autore. Anche in Sardegna si vive oggi all’interno di una trama sociale sfilacciata che interessa non solo le periferie territoriali, ma anche quello che un tempo veniva definito il centro. A maggior ragione penso sia importante individuare tutti quei momenti capaci di diventare motori di beni relazionali.

Nini. Sì, grazie anche alla mia esperienza posso dire che le relazioni sono il cuore di tutto. In questo quadro la vostra scuola può assumere un ruolo importante, anche con i cosiddetti patti educativi di comunità, che il mio tempo nemmeno si sognava e che “consentono alle istituzioni scolastiche di sottoscrivere accordi di collaborazione con enti locali, istituzioni e realtà del terzo settore presenti in un determinato territorio”, come spiega Tuzzolino.

Autore. Sì, Nini, le iniziative segno di un cambiamento e catalizzatrici di attenzioni virtuose, sono tante. Di seguito, per motivi di spazio, solo pochi esempi: le fattorie didattiche, capaci di coinvolgere migliaia di studenti e diverse centinaia di aziende agricole; l’interesse per i sistemi lagunari come punto di confine e di incontro tra terra e mare; il progetto che prevede la realizzazione di un nuraghe trilobato a grandezza naturale nell’agro di Gergei, promosso dall’associazione Perdas Novas e che permetterà di capire meglio l’alto livello scientifico-culturale della civiltà nuragica; l’iniziativa che ha portato alla realizzazione del villaggio neolitico Sa Ruda, l’arkeopark, in collegamento con attività didattiche, laboratori ed escursioni nell’agro di Cabras in stretto collegamento con piccole aziende agropastorali. Per poi spostarsi alle stimolanti performance dell’ex Lazzaretto di Cagliari, gestito dalla cooperativa Sant’Elia. Un centro raccontato da Tuzzolino, un esempio di come si possa partire dagli stimoli dei luoghi, pur inizialmente problematici, per costruire esperienze di impresa sociale aperte e inclusive dei differenti stimoli del quartiere e di come tutto questo si possa proiettare verso l’esterno creando un ulteriore circolo virtuoso.

Nini. Sempre sulla scia di idee che nascono dal basso e dall’intuizione prodotta da un desiderio di cambiamento, a volte intercettato da istituzioni locali, non dimenticherei il progetto di ricerca del Gal Marghine; un lavoro in atto che prende le mosse dal programma “Prati fioriti”, interno alla progettazione comunitaria 2007/13 e da una “profonda riflessione, nel 2016, durante il processo partecipativo che ha portato alla costruzione della strategia e del piano di azione del medesimo Gal” come informa nel saggio “Quale agricoltura e quali tipologie di allevamento per la Sardegna?” l’imprenditore agricolo Sergio Sulas.

Autore. Mi riprendo la parola: si tratta di un articolato disegno che coinvolge il dipartimento di scienze biologiche dell’università di Cagliari, l’agenzia regionale Agris e, soprattutto, 27 aziende pastorali del Marghine che operano nei Comuni di Birori, Bolotana, Borore, Bortigali, Dualchi, Lei, Macomer, Noragugume, Silanus e Sindia.

Nini. E io aggiungo che questo progetto mette in relazione “la qualità delle produzioni zootecniche, intesa come valore nutrizionale (…), con la qualità dell’ambiente di origine, la biodiversità dei pascoli e il sistema di conduzione estensivo basato sul pascolamento naturale”.

Autore. Nini, permettimi però prima di chiudere il nostro discorso, una metafora giocando sul tuo volto raccontato-dipinto dal grande Marai, come “roseo e grinzoso” e invecchiato come “i tessuti di gran pregio”. Tessuti che implicano abilità e conoscenza, e capacità di cogliere il momento più opportuno in cui “tracciare” il punto. Tessuti in grado di diventare un ponte che unisce passato presente e futuro perché, si potrebbe dire, intessuti di tutti i sogni possibili.

Nini. Ed è proprio qui, che penso sia opportuno, per spezzare una lancia a favore della realizzabilità dei sogni possibili, inserire un auspicio che traggo dalla fine di uno dei saggi (di Nicola Pirina) del libro: “Non possiamo essere felici se il nostro prossimo non lo è. Vale per le persone come per i territori. Vale per le aziende come per i professionisti. E’ passato il tempo dell’homo economicus. E’ importante essere generativi, circolari e sostenibili. La periferia dell’anima è il punto di non ritorno di una società che voglia definirsi tale.

Un sorriso”.

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