Giovanni Maria Angioy e la nazione mancata. I cento giorni che sconvolsero la Sardegna Andrea Pubusa, 2020, Arkadia Editore
presentazione di Fernando Codonesu
Con questo secondo libro dedicato a quel periodo della storia della Sardegna visto dai più come i due decenni rivoluzionari tra l’ultima decade del ‘700 e la prima dell’800, in parte già oggetto di indagine con “Palabanda. La rivolta del 1812”, dove venivano descritti e analizzati i fatti e i protagonisti di quel movimento che scosse la Sardegna, Andrea Pubusa costruisce un quadro preciso e puntuale della vicenda di Giovanni Maria Angioy, che sicuramente è il riferimento più illustre di quella pagina di storia.
Rivoluzionario a cui guardano come antesignano delle idee e delle aspirazioni indipendentiste alcuni movimenti di quell’area presenti nel dibattito politico sardo dei nostri giorni, ancorché pesantemente fuori dai radar a partire dalle elezioni regionali del 2019. Niente altro che un servitore della Corona per altri, facente parte del sistema che i Savoia costruirono e gestirono in quel tempo con ferocia e applicazione di una politica di terrore nei confronti degli oppositori. Un liberale democratico rispettoso delle prerogative dell’ordine costituito a cui si può ascrivere un tentativo di costruzione di una “classe dirigente”.
Il metodo usato da Pubusa è quello del giurista per cui le idee, i fatti e anche quanto successivamente scritto su Angioy da altri politici, saggisti e storici della Sardegna, vengono ricondotti all’analisi dei documenti scritti: è da qui che nasce la descrizione di un affresco di quelle vicende particolarmente ricco e convincente.
Al riguardo, è significativo anche l’uso delle parole che mi pare particolarmente attento e riuscito. Molti hanno parlato e sottolineato la vicenda della figura di Angioy- Alter Nos che da Sassari “marcia” su Cagliari con al seguito una vasta milizia armata.
Per Pubusa no, nessuna marcia e questa è una precisazione non da poco, ma un semplice “ritorno” a Cagliari da cui prima era partito per una missione di pacificazione nel Capo di Sopra, direttamente richiesta dal viceré e portata a termine con piena soddisfazione di tutte le parti in causa.
“Il ritorno di Angioy verso Cagliari, dove non giunse mai, è passato nella vulgata come un tentativo insurrezionale fallito. Una versione che piace ai reazionari, perché giustifica la feroce repressione successiva e ai liberali o democratici, perché accredita l’idea di un capo rivoluzionario battuto nel corso della ribellione. Anche gli indipendentisti attuali la pensano così: hanno bisogno di un eroe della sardità, sconfitto armi in pugno.”
Il libro ci fa conoscere il periodo storico e la personalità di Angioy: imprenditore dalla visione ampia e al passo con le più avanzate tecnologie produttive europee del periodo in esame, fine giurista che arriva a far parte della ristretta cerchia della Reale Udienza, leale amministratore della giustizia nel rispetto delle prerogative della corona.
Questo non gli impedisce di fare un ulteriore passo in avanti, questo sì rivoluzionario, nell’individuazione di un percorso di superamento del feudalesimo con l’indicazione del “riscatto dei feudi” basato sui Patti di Unione delle comunità locali, in accordo con le prerogative della corona. In pratica, se era possibile per un aspirante feudatario comprare dal barone di turno il proprio feudo, per Angioy doveva essere altrettanto possibile farlo per una comunità locale desiderosa di liberarsi dai gravosi pesi feudali pagando il giusto prezzo. Quanto al giusto prezzo, nella proposta di Angioy, vi doveva essere l’accordo con il feudatario o, se del caso, la sua imposizione al feudatario riottoso da parte delle autorità di governo, viceré e Stamenti.
E’ qui il senso della rivoluzione del pensiero angioyano che gli fa assumere indubitalmente il ruolo di riferimento del movimento antifeudale: pensiero e azione politica più forti e convincenti delle armi!
E’ ampiamente noto che l’affrancamento dal regime feudale che non venne concesso al “rivoluzionario” Angioy venne realizzato 40 anni dopo dai Savoia, ancorché con i soldi provenienti dalle tasse dei sardi.
Struttura del libro
Dalla pregevole introduzione che riprende il tema del movimento feudale e la nazione mancata come proposto da Lussu e Laconi nella nota polemica sulla storia sarda, il libro è strutturato in una sequenza di capitoli che ripercorrono la storia del tempo in ordine cronologico, fino al colpo di mano del viceré, che condanna Angioy e avvia una fase di terrore distruttivo contro i suoi
sostenitori. Peraltro, spalleggiato da sardi cortigiani che miravano a proprie prebende e tornaconto. Nei primi due capitoli, partendo dal 1793, si descrive il contesto storico con i feudi e le città al tempo dell’attacco dei francesi, che furono respinti e combattuti principalmente dalle classi subalterne dei sardi e non certo dai Savoia.
Nel terzo capitolo si approfondisce la figura di Angioy imprenditore, giurista e capo riconosciuto del movimento antifeudale. La carta rivendicativa con le cinque domande dei ceti moderati e del mondo professionale che aspirava ad occupare le cariche pubbliche del regno costituiscono il quarto capitolo. Nel capitolo successivo si analizza la sollevazione del Capo di Sopra con l’uccisione di Pitzolo e Planargia e la conquista di Sassari da parte dell’esercito contadino guidato da Cilocco e Mundula.
Il ruolo di Angioy come Alter Nos, pacificatore della sollevazione del Capo di Sopra costituiscono l’ossatura del capitolo sesto.
Fin qui la storia.
Negli altri capitoli, dal settimo all’undicesimo, la storia irrompe nell’attualità perché Pubusa ridiventa l’analista politico che conosciamo. In questa parte del libro, infatti si evidenzia lo strappo istituzionale del Viceré, degli Stamenti e della Reale Udienza, un vero e proprio colpo di stato anche se in forma soft, almeno nel primo periodo. Si passa quindi ad analizzare le altre forze in campo principalmente appartenenti alla reazione, ancorché alcuni avessero avuto ruoli e posizioni apparentemente liberali e democratiche.
Tra i personaggi del periodo vi è il giusto spazio dedicato anche a Vincenzo Sulis, una delle figure paradigmatiche del tempo a riprova che ora come allora è facile trovare in casa il ruolo del sicario o, se si preferisce, del persecutore di altri sardi. Come ben sappiamo la storia del tempo non finisce bene neanche per lui se poi viene condannato da quello stesso re che aveva servito con tanto zelo, in una sorta di avveramento della legge del contrappasso o dell’insegnamento biblico “chi di spada colpisce di spada perisce”.
Si passa quindi alle altre forze in campo a partire dal basso clero che accompagna l’accerchiamento della città di Sassari dalle campagne e al ruolo delle grandi famiglie rurali come simbolo in nuce di quella che in altri paesi e latitudini costituirà la classe nascente della borghesia: qui è il militante politico che legge i fatti del periodo.
Si chiude con l’eredità di Angioy che si trova nel memorandum francese del 1799, dove quel che per altri poteva essere visto come un piano militare per la conquista di Cagliari e della Sardegna, altro non è che l’idea che l’isola, a partire da quello che definiva il fiore del Logudoro, aveva una classe dirigente in grado di esprimere autonome capacità di governo, che potevano coesistere anche con una corona rispettosa dell’indipendenza, della religione, del modo di vita e della proprietà dei sardi: in altre parole una sorta di monarchia costituzionale di là da venire.
Per Angioy si trattava quindi di un progetto di repubblica governata da sardi, uno stato sovrano con una sua assemblea generale alleato della Francia quale garante – in nome della grande rivoluzione?- del processo democratico di cui delineava il percorso.
Al riguardo le interpretazioni sul punto non sono ancora del tutto concordi: un protettorato straniero? I primi segni di una visione di stato federale con l’Italia ancora da costruire o direttamente uno stato indipendente alleato della Francia?
Ecco, Andrea Pubusa ci racconta Angioy e con questo libro ci dà gli strumenti e gli stimoli per il dibattito politico attuale.
Puoi condividere con i tuoi gruppi, i tuoi amici, .....
This website uses cookies so that we can provide you with the best user experience possible. Cookie information is stored in your browser and performs functions such as recognising you when you return to our website and helping our team to understand which sections of the website you find most interesting and useful.
Cookie strettamente necessari
I cookie strettamente necessari dovrebbero essere sempre attivati per poter salvare le tue preferenze per le impostazioni dei cookie.
Se disabiliti questo cookie, non saremo in grado di salvare le tue preferenze. Ciò significa che ogni volta che visiti questo sito web dovrai abilitare o disabilitare nuovamente i cookie.
Giovanni Maria Angioy e la nazione mancata. I cento giorni che sconvolsero la Sardegna Andrea Pubusa, 2020, Arkadia Editore
presentazione di Fernando Codonesu
Con questo secondo libro dedicato a quel periodo della storia della Sardegna visto dai più come i due decenni rivoluzionari tra l’ultima decade del ‘700 e la prima dell’800, in parte già oggetto di indagine con “Palabanda. La rivolta del 1812”, dove venivano descritti e analizzati i fatti e i protagonisti di quel movimento che scosse la Sardegna, Andrea Pubusa costruisce un quadro preciso e puntuale della vicenda di Giovanni Maria Angioy, che sicuramente è il riferimento più illustre di quella pagina di storia.
Rivoluzionario a cui guardano come antesignano delle idee e delle aspirazioni indipendentiste alcuni movimenti di quell’area presenti nel dibattito politico sardo dei nostri giorni, ancorché pesantemente fuori dai radar a partire dalle elezioni regionali del 2019. Niente altro che un servitore della Corona per altri, facente parte del sistema che i Savoia costruirono e gestirono in quel tempo con ferocia e applicazione di una politica di terrore nei confronti degli oppositori. Un liberale democratico rispettoso delle prerogative dell’ordine costituito a cui si può ascrivere un tentativo di costruzione di una “classe dirigente”.
Il metodo usato da Pubusa è quello del giurista per cui le idee, i fatti e anche quanto successivamente scritto su Angioy da altri politici, saggisti e storici della Sardegna, vengono ricondotti all’analisi dei documenti scritti: è da qui che nasce la descrizione di un affresco di quelle vicende particolarmente ricco e convincente.
Al riguardo, è significativo anche l’uso delle parole che mi pare particolarmente attento e riuscito. Molti hanno parlato e sottolineato la vicenda della figura di Angioy- Alter Nos che da Sassari “marcia” su Cagliari con al seguito una vasta milizia armata.
Per Pubusa no, nessuna marcia e questa è una precisazione non da poco, ma un semplice “ritorno” a Cagliari da cui prima era partito per una missione di pacificazione nel Capo di Sopra, direttamente richiesta dal viceré e portata a termine con piena soddisfazione di tutte le parti in causa.
“Il ritorno di Angioy verso Cagliari, dove non giunse mai, è passato nella vulgata come un tentativo insurrezionale fallito. Una versione che piace ai reazionari, perché giustifica la feroce repressione successiva e ai liberali o democratici, perché accredita l’idea di un capo rivoluzionario battuto nel corso della ribellione. Anche gli indipendentisti attuali la pensano così: hanno bisogno di un eroe della sardità, sconfitto armi in pugno.”
Il libro ci fa conoscere il periodo storico e la personalità di Angioy: imprenditore dalla visione ampia e al passo con le più avanzate tecnologie produttive europee del periodo in esame, fine giurista che arriva a far parte della ristretta cerchia della Reale Udienza, leale amministratore della giustizia nel rispetto delle prerogative della corona.
Questo non gli impedisce di fare un ulteriore passo in avanti, questo sì rivoluzionario, nell’individuazione di un percorso di superamento del feudalesimo con l’indicazione del “riscatto dei feudi” basato sui Patti di Unione delle comunità locali, in accordo con le prerogative della corona. In pratica, se era possibile per un aspirante feudatario comprare dal barone di turno il proprio feudo, per Angioy doveva essere altrettanto possibile farlo per una comunità locale desiderosa di liberarsi dai gravosi pesi feudali pagando il giusto prezzo. Quanto al giusto prezzo, nella proposta di Angioy, vi doveva essere l’accordo con il feudatario o, se del caso, la sua imposizione al feudatario riottoso da parte delle autorità di governo, viceré e Stamenti.
E’ qui il senso della rivoluzione del pensiero angioyano che gli fa assumere indubitalmente il ruolo di riferimento del movimento antifeudale: pensiero e azione politica più forti e convincenti delle armi!
E’ ampiamente noto che l’affrancamento dal regime feudale che non venne concesso al “rivoluzionario” Angioy venne realizzato 40 anni dopo dai Savoia, ancorché con i soldi provenienti dalle tasse dei sardi.
Struttura del libro
Dalla pregevole introduzione che riprende il tema del movimento feudale e la nazione mancata come proposto da Lussu e Laconi nella nota polemica sulla storia sarda, il libro è strutturato in una sequenza di capitoli che ripercorrono la storia del tempo in ordine cronologico, fino al colpo di mano del viceré, che condanna Angioy e avvia una fase di terrore distruttivo contro i suoi
sostenitori. Peraltro, spalleggiato da sardi cortigiani che miravano a proprie prebende e tornaconto. Nei primi due capitoli, partendo dal 1793, si descrive il contesto storico con i feudi e le città al tempo dell’attacco dei francesi, che furono respinti e combattuti principalmente dalle classi subalterne dei sardi e non certo dai Savoia.
Nel terzo capitolo si approfondisce la figura di Angioy imprenditore, giurista e capo riconosciuto del movimento antifeudale. La carta rivendicativa con le cinque domande dei ceti moderati e del mondo professionale che aspirava ad occupare le cariche pubbliche del regno costituiscono il quarto capitolo. Nel capitolo successivo si analizza la sollevazione del Capo di Sopra con l’uccisione di Pitzolo e Planargia e la conquista di Sassari da parte dell’esercito contadino guidato da Cilocco e Mundula.
Il ruolo di Angioy come Alter Nos, pacificatore della sollevazione del Capo di Sopra costituiscono l’ossatura del capitolo sesto.
Fin qui la storia.
Negli altri capitoli, dal settimo all’undicesimo, la storia irrompe nell’attualità perché Pubusa ridiventa l’analista politico che conosciamo. In questa parte del libro, infatti si evidenzia lo strappo istituzionale del Viceré, degli Stamenti e della Reale Udienza, un vero e proprio colpo di stato anche se in forma soft, almeno nel primo periodo. Si passa quindi ad analizzare le altre forze in campo principalmente appartenenti alla reazione, ancorché alcuni avessero avuto ruoli e posizioni apparentemente liberali e democratiche.
Tra i personaggi del periodo vi è il giusto spazio dedicato anche a Vincenzo Sulis, una delle figure paradigmatiche del tempo a riprova che ora come allora è facile trovare in casa il ruolo del sicario o, se si preferisce, del persecutore di altri sardi. Come ben sappiamo la storia del tempo non finisce bene neanche per lui se poi viene condannato da quello stesso re che aveva servito con tanto zelo, in una sorta di avveramento della legge del contrappasso o dell’insegnamento biblico “chi di spada colpisce di spada perisce”.
Si passa quindi alle altre forze in campo a partire dal basso clero che accompagna l’accerchiamento della città di Sassari dalle campagne e al ruolo delle grandi famiglie rurali come simbolo in nuce di quella che in altri paesi e latitudini costituirà la classe nascente della borghesia: qui è il militante politico che legge i fatti del periodo.
Si chiude con l’eredità di Angioy che si trova nel memorandum francese del 1799, dove quel che per altri poteva essere visto come un piano militare per la conquista di Cagliari e della Sardegna, altro non è che l’idea che l’isola, a partire da quello che definiva il fiore del Logudoro, aveva una classe dirigente in grado di esprimere autonome capacità di governo, che potevano coesistere anche con una corona rispettosa dell’indipendenza, della religione, del modo di vita e della proprietà dei sardi: in altre parole una sorta di monarchia costituzionale di là da venire.
Per Angioy si trattava quindi di un progetto di repubblica governata da sardi, uno stato sovrano con una sua assemblea generale alleato della Francia quale garante – in nome della grande rivoluzione?- del processo democratico di cui delineava il percorso.
Al riguardo le interpretazioni sul punto non sono ancora del tutto concordi: un protettorato straniero? I primi segni di una visione di stato federale con l’Italia ancora da costruire o direttamente uno stato indipendente alleato della Francia?
Ecco, Andrea Pubusa ci racconta Angioy e con questo libro ci dà gli strumenti e gli stimoli per il dibattito politico attuale.
Puoi condividere con i tuoi gruppi, i tuoi amici, .....