C’era una volta una bambina che gioca con un bambino e un fiocco di neve. O, meglio, con tanti fiocchi di neve che cadono dal cielo. I bambini giocano a raccoglierli. La scommessa è che vince chi riesce a prenderne di più. Dopo un po’ si accorgono, però, che non basta riempirsi le mani per capire chi ne ha raccolti di più. E anche quelli che si prendono al volo non restano fiocchi, sciolti subito dal calore delle mani. A quel punto decidono di chiedere aiuto all’Omino verde: perché i fiocchi di neve prima c’erano e poi non ci sono più?
L’Omino verde risponde che devono chiedere ai Grandi, a quelli che stanno di là, nelle storie, e che certamente sanno. E così decidono di fare, la bimba e il bimbo.
Entrati in una storia, i due piccoli pensano, però, che forse quella storia ha fatto loro uno scherzo. Chissà! Ma le storie, spiega l’Omino verde con quella sua voce priva di tempo, non sono mai come noi le pensiamo, “altrimenti che storie sarebbero”.
Loro, però, pensavano che i grandi fossero saggi, e per loro voleva dire senza spigoli materiali o verbali su cui sbattere.
Un po’ intimoriti, i bimbi chiedono all’Omino verde di aiutarli a capire perché questi grandi usano spesso la parola “guerra”.
Dopo un sospiro e una grattatina delle foglie sui piccoli rami, l’Omino verde spiega che la guerra è una vicenda molto molto brutta; e che rappresenta il contrario della pace, quindi la pace è l’opposto della guerra.
Già, la guerra: se è molto brutta – iniziano a domandarsi la bambina e il bambino – vuol dire che bisogna puntare sul suo opposto, la pace. E se la pace è il contrario della guerra, allora è facile… Però… però, c’è qualcosa che non funziona.
Il due bimbi sono piccoli ma abituati a parlare e confrontarsi in storie prive di spigoli che qui, in questa storia, si presentano invece sempre più appuntiti, con parole come indecente, impresentabile, incredibile, ambiguo, doppio giochista, osceno, traditore, detestabile, aborrire, guerrafondaio e tante altre… Per i due piccoli il tempo va avanti e indietro senza sosta, e così tutto diventa un vociare confuso, soprattutto perché questi spigoli-parole vengono lanciati da chi vorrebbe la pace contro altre persone che vorrebbero ugualmente la pace. E questo li disorienta quanto e più dei fiocchi di neve che scompaiono nelle mani.
Un giorno l’Omino verde, ricordano i due giovanissimi esploratori di storie, aveva detto loro che uno dei più grandi segreti dell’esistenza è il dialogo, che senza non solo si vive in solitudine ma si capisce quasi nulla il senso delle cose. Inizialmente non è che avessero capito subito, poi discorrendo sempre più tra loro e con le storie di cui si nutrono in continuazione, la bimba e il bimbo avevano cominciato a sentirsi più sicuri e in qualche modo, forse, felici.
Già, la parola dialogare, si dicono seduti su un prato, non solo si trova in tante storie, ma ha anche una sua storia che può aiutare a capire: guardando al greco antico – ed è come se l’Omino verde infondesse loro la sua sapienza – si nota che dialogare deriva da dià (attraverso) e logos (discorso); quindi confrontarsi attraverso un discorso, un correre con le parole da una cosa all’altra.
E ai due bimbi questo piace molto perché non fa mai male, anzi rinvigorisce.
Certo, a volte, anzi spesso, la pratica di questo dià-logos non chiude il discorso, e in questa storia che i due stanno esplorando, si incontra il rischio che non permetta di dire la parola definitiva, di mettere il punto conclusivo, che pure sarebbe utilissimo quando si parla di raggiungere una situazione di pace. Ma come fare? Si chiedono.
Come per magia l’Omino verde fa intuire loro che, è vero che in alcune storie bisogna correre di più, certamente, ma che è più importante saper correre. Altrimenti si inciampa, si cade e ci si ferma. Saper dialogare, quindi, senza tirarsi le parole-pietre che, invece, offendono e bloccano. L’andare avanti e indietro nel tempo, però, ripropone ai due bimbi una domanda importante: com’è possibile che i grandi che vogliono la pace litighino e si insultino con parole appuntite? Perché non si riesce a far incontrare le parole con più serenità.
Ora sembra ai bimbi di vederlo l’Omino verde e di discuterci direttamente con domande e risposte.
Comincia l’Omino: – Il nocciolo del problema sta nella verità.
– La verità? – per loro due è strabiliante.
– Come sarebbe la verità? – ribattono subito i bimbi, quasi scandalizzati.
– Beh alcuni pensano di possederla, la verità, come se fosse un qualcosa da poter conservare in tasca o in un cassetto.
– Perché, non è così, non la si può scrivere su un quaderno?
– Forse questa storia è più complessa…
– Possibile? Ma la verità non mette tutti d’accordo, non è evidente per tutti, come due più due fa quattro?
– Non proprio.
– Che cosa vuoi dire?
– Forse avete visitato qualche storia in cui un poliziotto interroga un testimone mostrandogli la foto di un sospettato, e chiedendo di guardare bene la foto, perchè potrebbe rappresentare il colpevole.
– Sì, l’abbiamo visitata. Poi l’uomo cattivo è stato arrestato. Però, dopo, è stato liberato perché non era più colpevole. Il colpevole era un altro che un altro giorno ha detto di aver fatto lui quella cosa brutta. Ma noi non abbiamo capito perchè il testimone ha detto una bugia.
– In realtà il testimone non ha detto una bugia, ma ha detto una cosa che a lui, in quel momento, sembrava vera, probabilmente perché influenzato dal poliziotto e dalla frase che gli aveva insistentemente detto mostrandogli la foto: potrebbe rappresentare ilcolpevole.
– Uhm, vuoi dire che quel testimone era un bugiardo non bugiardo?
– Diciamo meglio che il testimone pensava di aver visto realmente quella persona, quindi di aver detto la verità: i ricordi non sono mai una fotografia di quel che è accaduto, ma sono soprattutto una ricostruzione influenzata dal nostro vissuto (esperienze, pregiudizi e tanto altro).
– E che cosa vuoi dire?
– Che le circostanze in cui ci troviamo, nel nostro caso l’interrogatorio, possono far dire cose non vere pensando che, invece, siano la verità. E questo capita sempre nella vita e nelle storie. Ed è per questo che affermo che la verità è un qualcosa di molto delicato e complesso.
– Quindi dici che bisogna diffidare della verità?
– Dico che chi crede di avere la verità in tasca, di qualunque cosa si parli o si tratti, è spesso una persona che sbaglia.
– Perché è cattivo?
– No, in genere per mancanza di informazioni sufficienti, di conoscenza del fenomeno, perché influenzato (come per il testimone) o perché amante di una sua idea che gli dà l’impressione di mettere tutte le cose nel posto giusto, e che non vuole, o preferisce non, discutere; o per tanti altri motivi. In genere chi si abbarbica ad una sua verità, pensa che le cose che capitano siano semplici ed evidenti, mentre come abbiamo visto nel caso del testimone, anche quelle, in apparenza più evidenti, non lo sono affatto.
– E allora che cosa dobbiamo fare?
– Ascoltare i diversi modi di giudicare un avvenimento perché quel che capita va sempre interpretato, come quando si legge un libro, ognuno poi lo racconterà in modo diverso. L’importante è che si parli di un determinato avvenimento, o di un determinato libro.
– Ma così è più faticoso.
– Però è anche più bello…
– Più bello?
– Sì perché aiuta a capire meglio.
– E questo è più bello?
– Immaginate un bosco fitto fitto, che vi fa paura o, meglio, che interpretate come un luogo pericoloso perché qualcuno vi ha riferito che ci sono strani rumori e in alcuni punti c’è solo buio.
– Beh, quel bosco ha tutte le caratteristiche per fare paura.
– Immaginate poi di incontrare un boscaiolo che vi spiega quali alberi, rari e belli, compongono il bosco e vi dice anche che gli animali di quel bosco sono inoffensivi, se non li trattiamo male. Vi spiega pure che vi sono dei sentieri facilmente seguibili; vi da una bussola e vi informa che nel centro del bosco c’è un piccolo punto-ritrovo fatto apposta per chi visita quel luogo; infine vi racconta che il bosco ha una dimensione che si può esplorare in poche ore. Avreste ancora paura?
La bambina e il bambino sorridono e si scambiano un’occhiata veloce:
– Certo che no, vedremmo il bosco come un amico, un luogo da visitare.
– Torniamo al libro, non vi sembra ora che il bosco sia come un libro, che qualcuno potrebbe raccontarlo in un modo, altri in un altro?
– Ci piace, però c’è sempre anche chi afferma di avere la verità, che le cose stanno così e basta: che il bosco è pericoloso per definizione.
– E voi provate a parlarci, perché si discute soprattutto per capire le ragioni dell’altro, non per avere ragione.
– Ma se questa persona insiste nel dire di avere ragione senza spiegare bene il perché?
– Allora vuol dire che questa persona pensa che il mondo sia semplice e banale e non riesce o non vuole vedere come le cose siano fortemente interconnesse. E così si perde tante cose belle e interessanti. Guardare la complessità aiuta a vedere sfumature e colori, che emergono, appunto, proprio dal confronto tra modi diversi di vedere le cose. Chi è sicuro di avere la verità, più che spiegarla, cerca invece di imporla.
– Ed è per questo che i pensieri diventano duri e appuntiti anche tra chi afferma di volere la pace?
– Sì, perché chi crede di avere la verità, anche se per una buona causa, si irrigidisce e vuole che tutti siano d’accordo con lui e si arrabbia se non gli si dà ragione.
– E noi bambini che cosa possiamo fare?
– Chiedere sempre perché? Non accontentarsi mai delle prime risposte, soprattutto di quelle che vengono presentate come evidenti. Voglio dire che nei confronti della verità bisogna essere umili, cercarla sempre, se si vuole, ma senza la presunzione di averla trovata una volta per tutte.
– Altrimenti si fanno pasticci?
– Sì, e anche molti. E pure pericolosi.
– Quindi?
– Quindi si deve dialogare e dialogare per potersi unire e diventare tantissimi e dire tutti assieme che ci si deve impegnare per la pace. Pensate ai fiocchi di neve: se presi da soli o in pochi si sciolgono e non contano niente. Mentre se messi assieme, i fiocchi di neve, non solo non scompaiono, ma ci si possono costruire anche grandi cose. Ed è così anche per chi vuole la pace.
Roberto Paracchini
Dai fiocchi di neve alla pace (di Roberto Paracchini)
C’era una volta una bambina che gioca con un bambino e un fiocco di neve. O, meglio, con tanti fiocchi di neve che cadono dal cielo. I bambini giocano a raccoglierli. La scommessa è che vince chi riesce a prenderne di più. Dopo un po’ si accorgono, però, che non basta riempirsi le mani per capire chi ne ha raccolti di più. E anche quelli che si prendono al volo non restano fiocchi, sciolti subito dal calore delle mani. A quel punto decidono di chiedere aiuto all’Omino verde: perché i fiocchi di neve prima c’erano e poi non ci sono più?
L’Omino verde risponde che devono chiedere ai Grandi, a quelli che stanno di là, nelle storie, e che certamente sanno. E così decidono di fare, la bimba e il bimbo.
Entrati in una storia, i due piccoli pensano, però, che forse quella storia ha fatto loro uno scherzo. Chissà! Ma le storie, spiega l’Omino verde con quella sua voce priva di tempo, non sono mai come noi le pensiamo, “altrimenti che storie sarebbero”.
Loro, però, pensavano che i grandi fossero saggi, e per loro voleva dire senza spigoli materiali o verbali su cui sbattere.
Un po’ intimoriti, i bimbi chiedono all’Omino verde di aiutarli a capire perché questi grandi usano spesso la parola “guerra”.
Dopo un sospiro e una grattatina delle foglie sui piccoli rami, l’Omino verde spiega che la guerra è una vicenda molto molto brutta; e che rappresenta il contrario della pace, quindi la pace è l’opposto della guerra.
Già, la guerra: se è molto brutta – iniziano a domandarsi la bambina e il bambino – vuol dire che bisogna puntare sul suo opposto, la pace. E se la pace è il contrario della guerra, allora è facile… Però… però, c’è qualcosa che non funziona.
Il due bimbi sono piccoli ma abituati a parlare e confrontarsi in storie prive di spigoli che qui, in questa storia, si presentano invece sempre più appuntiti, con parole come indecente, impresentabile, incredibile, ambiguo, doppio giochista, osceno, traditore, detestabile, aborrire, guerrafondaio e tante altre… Per i due piccoli il tempo va avanti e indietro senza sosta, e così tutto diventa un vociare confuso, soprattutto perché questi spigoli-parole vengono lanciati da chi vorrebbe la pace contro altre persone che vorrebbero ugualmente la pace. E questo li disorienta quanto e più dei fiocchi di neve che scompaiono nelle mani.
Un giorno l’Omino verde, ricordano i due giovanissimi esploratori di storie, aveva detto loro che uno dei più grandi segreti dell’esistenza è il dialogo, che senza non solo si vive in solitudine ma si capisce quasi nulla il senso delle cose. Inizialmente non è che avessero capito subito, poi discorrendo sempre più tra loro e con le storie di cui si nutrono in continuazione, la bimba e il bimbo avevano cominciato a sentirsi più sicuri e in qualche modo, forse, felici.
Già, la parola dialogare, si dicono seduti su un prato, non solo si trova in tante storie, ma ha anche una sua storia che può aiutare a capire: guardando al greco antico – ed è come se l’Omino verde infondesse loro la sua sapienza – si nota che dialogare deriva da dià (attraverso) e logos (discorso); quindi confrontarsi attraverso un discorso, un correre con le parole da una cosa all’altra.
E ai due bimbi questo piace molto perché non fa mai male, anzi rinvigorisce.
Certo, a volte, anzi spesso, la pratica di questo dià-logos non chiude il discorso, e in questa storia che i due stanno esplorando, si incontra il rischio che non permetta di dire la parola definitiva, di mettere il punto conclusivo, che pure sarebbe utilissimo quando si parla di raggiungere una situazione di pace. Ma come fare? Si chiedono.
Come per magia l’Omino verde fa intuire loro che, è vero che in alcune storie bisogna correre di più, certamente, ma che è più importante saper correre. Altrimenti si inciampa, si cade e ci si ferma. Saper dialogare, quindi, senza tirarsi le parole-pietre che, invece, offendono e bloccano. L’andare avanti e indietro nel tempo, però, ripropone ai due bimbi una domanda importante: com’è possibile che i grandi che vogliono la pace litighino e si insultino con parole appuntite? Perché non si riesce a far incontrare le parole con più serenità.
Ora sembra ai bimbi di vederlo l’Omino verde e di discuterci direttamente con domande e risposte.
Comincia l’Omino: – Il nocciolo del problema sta nella verità.
– La verità? – per loro due è strabiliante.
– Come sarebbe la verità? – ribattono subito i bimbi, quasi scandalizzati.
– Beh alcuni pensano di possederla, la verità, come se fosse un qualcosa da poter conservare in tasca o in un cassetto.
– Perché, non è così, non la si può scrivere su un quaderno?
– Forse questa storia è più complessa…
– Possibile? Ma la verità non mette tutti d’accordo, non è evidente per tutti, come due più due fa quattro?
– Non proprio.
– Che cosa vuoi dire?
– Forse avete visitato qualche storia in cui un poliziotto interroga un testimone mostrandogli la foto di un sospettato, e chiedendo di guardare bene la foto, perchè potrebbe rappresentare il colpevole.
– Sì, l’abbiamo visitata. Poi l’uomo cattivo è stato arrestato. Però, dopo, è stato liberato perché non era più colpevole. Il colpevole era un altro che un altro giorno ha detto di aver fatto lui quella cosa brutta. Ma noi non abbiamo capito perchè il testimone ha detto una bugia.
– In realtà il testimone non ha detto una bugia, ma ha detto una cosa che a lui, in quel momento, sembrava vera, probabilmente perché influenzato dal poliziotto e dalla frase che gli aveva insistentemente detto mostrandogli la foto: potrebbe rappresentare ilcolpevole.
– Uhm, vuoi dire che quel testimone era un bugiardo non bugiardo?
– Diciamo meglio che il testimone pensava di aver visto realmente quella persona, quindi di aver detto la verità: i ricordi non sono mai una fotografia di quel che è accaduto, ma sono soprattutto una ricostruzione influenzata dal nostro vissuto (esperienze, pregiudizi e tanto altro).
– E che cosa vuoi dire?
– Che le circostanze in cui ci troviamo, nel nostro caso l’interrogatorio, possono far dire cose non vere pensando che, invece, siano la verità. E questo capita sempre nella vita e nelle storie. Ed è per questo che affermo che la verità è un qualcosa di molto delicato e complesso.
– Quindi dici che bisogna diffidare della verità?
– Dico che chi crede di avere la verità in tasca, di qualunque cosa si parli o si tratti, è spesso una persona che sbaglia.
– Perché è cattivo?
– No, in genere per mancanza di informazioni sufficienti, di conoscenza del fenomeno, perché influenzato (come per il testimone) o perché amante di una sua idea che gli dà l’impressione di mettere tutte le cose nel posto giusto, e che non vuole, o preferisce non, discutere; o per tanti altri motivi. In genere chi si abbarbica ad una sua verità, pensa che le cose che capitano siano semplici ed evidenti, mentre come abbiamo visto nel caso del testimone, anche quelle, in apparenza più evidenti, non lo sono affatto.
– E allora che cosa dobbiamo fare?
– Ascoltare i diversi modi di giudicare un avvenimento perché quel che capita va sempre interpretato, come quando si legge un libro, ognuno poi lo racconterà in modo diverso. L’importante è che si parli di un determinato avvenimento, o di un determinato libro.
– Ma così è più faticoso.
– Però è anche più bello…
– Più bello?
– Sì perché aiuta a capire meglio.
– E questo è più bello?
– Immaginate un bosco fitto fitto, che vi fa paura o, meglio, che interpretate come un luogo pericoloso perché qualcuno vi ha riferito che ci sono strani rumori e in alcuni punti c’è solo buio.
– Beh, quel bosco ha tutte le caratteristiche per fare paura.
– Immaginate poi di incontrare un boscaiolo che vi spiega quali alberi, rari e belli, compongono il bosco e vi dice anche che gli animali di quel bosco sono inoffensivi, se non li trattiamo male. Vi spiega pure che vi sono dei sentieri facilmente seguibili; vi da una bussola e vi informa che nel centro del bosco c’è un piccolo punto-ritrovo fatto apposta per chi visita quel luogo; infine vi racconta che il bosco ha una dimensione che si può esplorare in poche ore. Avreste ancora paura?
La bambina e il bambino sorridono e si scambiano un’occhiata veloce:
– Certo che no, vedremmo il bosco come un amico, un luogo da visitare.
– Torniamo al libro, non vi sembra ora che il bosco sia come un libro, che qualcuno potrebbe raccontarlo in un modo, altri in un altro?
– Ci piace, però c’è sempre anche chi afferma di avere la verità, che le cose stanno così e basta: che il bosco è pericoloso per definizione.
– E voi provate a parlarci, perché si discute soprattutto per capire le ragioni dell’altro, non per avere ragione.
– Ma se questa persona insiste nel dire di avere ragione senza spiegare bene il perché?
– Allora vuol dire che questa persona pensa che il mondo sia semplice e banale e non riesce o non vuole vedere come le cose siano fortemente interconnesse. E così si perde tante cose belle e interessanti. Guardare la complessità aiuta a vedere sfumature e colori, che emergono, appunto, proprio dal confronto tra modi diversi di vedere le cose. Chi è sicuro di avere la verità, più che spiegarla, cerca invece di imporla.
– Ed è per questo che i pensieri diventano duri e appuntiti anche tra chi afferma di volere la pace?
– Sì, perché chi crede di avere la verità, anche se per una buona causa, si irrigidisce e vuole che tutti siano d’accordo con lui e si arrabbia se non gli si dà ragione.
– E noi bambini che cosa possiamo fare?
– Chiedere sempre perché? Non accontentarsi mai delle prime risposte, soprattutto di quelle che vengono presentate come evidenti. Voglio dire che nei confronti della verità bisogna essere umili, cercarla sempre, se si vuole, ma senza la presunzione di averla trovata una volta per tutte.
– Altrimenti si fanno pasticci?
– Sì, e anche molti. E pure pericolosi.
– Quindi?
– Quindi si deve dialogare e dialogare per potersi unire e diventare tantissimi e dire tutti assieme che ci si deve impegnare per la pace. Pensate ai fiocchi di neve: se presi da soli o in pochi si sciolgono e non contano niente. Mentre se messi assieme, i fiocchi di neve, non solo non scompaiono, ma ci si possono costruire anche grandi cose. Ed è così anche per chi vuole la pace.
Roberto Paracchini
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