Alcuni interrogativi sullo Smart Working, a partire dalla L. 81/2017
Contributo di Gabriella Lanero 8 novembre
L’emergenza sanitaria del Covid 19 ha improvvisamente imposto il lavoro da casa in molti settori, in particolare in quello dei servizi, come strumento indispensabile per contenere i rischi sulla salute pubblica, allo spostamento e all’assembramento dei lavoratori. Anche a emergenza conclusa, il lavoro a distanza potrà rappresentare uno strumento potente per ottimizzare tempi lavorativi, ridurre costi ed effetti ambientali. Si legge nel Rapporto Istat 2020 che a lavorare da casa sono attualmente 4 milioni e in prospettiva circa 7 milioni di occupati potrebbero lavorare a distanza.
Certamente le innovazioni connesse alla digitalizzazione, alla tecnologie di comunicazione a distanza e alla Intelligenza artificiale comportano una tendenza inarrestabile e quello che si prospetta è un cambiamento che sconvolgerà il modello di vita e lavoro cui siamo abituati. Se in questa trasformazione intravediamo una grande opportunità per il mondo produttivo, l’ambiente e la collettività, non possiamo non temere per i lavoratori e le lavoratrici che nel corso di questa transizione saranno travolti.
Sono molti gli interrogativi a proposito di Smart working.
La vasta diffusione del lavoro agile o lavoro da casa ha messo in evidenza criticità sicuramente legate all’adozione obbligata e frettolosa, ma, se pensiamo alla sua futura diffusione, allo sviluppo dello Smart working, sarà davvero possibile soddisfare le sue motivazioni principali: innovazione, competitività ( produttività e contenimento dei costi) e conciliazione delle esigenze dei lavoratori (tempi di vita e lavoro, cura dei figli o dei genitori anziani, disabilità che impediscano il movimento)?
Attualmente la norma di riferimento è nella legge n. 81 del 2017 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e luoghi di lavoro subordinato”. Una legge che secondo una parte ha come punto di forza la flessibilità e la “leggerezza”, ma da un altro punto di vista appare tale da rendere il lavoratore parte debole. Demandare a un accordo tra le parti, come previsto dall’art. 18 può essere sufficiente ad assicurare diritti e tutele dei lavoratori autonomi e subordinati? L’ ambigua indeterminatezza della legge fa pensare alle possibilità di una situazione di sfruttamento, a vantaggio della produttività aziendale e a discapito del lavoratore che (come in questo caso obbligato dall’emergenza) pressato da varie esigenze, di cure ai figli minori o ad un parente disabile o di tipo economico, accetti condizioni poco chiare se non sfavorevoli riguardo a strumentazioni, spazio di lavoro, diritto a tempi di riposo, connessione e reperibilità, obiettivi e fasi di lavoro. E questo dubbio viene soprattutto se pensiamo ad una lavoratrice.
L’articolo di legge non è esplicito riguardo agli strumenti. Chi li fornisce? Si parla in generale di responsabilità del datore di lavoro riguardo a sicurezza e funzionamento, ma la connessione? E chi ripaga il lavoratore che sopperisce con i suoi strumenti e attrezza i suoi locali? Strumentazione e mezzi di produzione, così come in altri lavori il mezzo di trasporto e lo smartphone, a carico del lavoratore che deve garantire una prestazione e risultati non riconducono a certe forme di lavoro autonomo? E se questo potrebbe essere visto come un vantaggio per chi potesse offrire le proprie prestazioni a compenso più alto, non lascerebbe altri esposti a rapporti di lavoro che tendono a ridurre salari e tutele? Inoltre è lo stesso accordo individuale a disciplinare l’esercizio del potere di controllo e i comportamenti che danno luogo a sanzioni. Secondo quanto disposto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori . Ma sono passati cinquant’anni e la possibilità di controllo, come la registrazione degli accessi e delle presenze, è generalmente connessa all’uso degli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa.
Forse è uno scenario minaccioso, ma le ricerche sulle condizioni di “lavoro agile” in questa emergenza dicono che questi sono stati punti di debolezza e che occorre lavorare molto sulla “regolamentazione dello smart working” al fine di garantire alle lavoratrici e ai lavoratori l’indispensabile benessere e sicurezza, con particolare attenzione al “diritto alla disconnessione” per un bilanciamento e una giusta separazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.
Puoi condividere con i tuoi gruppi, i tuoi amici, .....
Alcuni interrogativi sullo Smart Working, a partire dalla L. 81/2017
Contributo di Gabriella Lanero 8 novembre
L’emergenza sanitaria del Covid 19 ha improvvisamente imposto il lavoro da casa in molti settori, in particolare in quello dei servizi, come strumento indispensabile per contenere i rischi sulla salute pubblica, allo spostamento e all’assembramento dei lavoratori. Anche a emergenza conclusa, il lavoro a distanza potrà rappresentare uno strumento potente per ottimizzare tempi lavorativi, ridurre costi ed effetti ambientali. Si legge nel Rapporto Istat 2020 che a lavorare da casa sono attualmente 4 milioni e in prospettiva circa 7 milioni di occupati potrebbero lavorare a distanza.
Certamente le innovazioni connesse alla digitalizzazione, alla tecnologie di comunicazione a distanza e alla Intelligenza artificiale comportano una tendenza inarrestabile e quello che si prospetta è un cambiamento che sconvolgerà il modello di vita e lavoro cui siamo abituati. Se in questa trasformazione intravediamo una grande opportunità per il mondo produttivo, l’ambiente e la collettività, non possiamo non temere per i lavoratori e le lavoratrici che nel corso di questa transizione saranno travolti.
Sono molti gli interrogativi a proposito di Smart working.
La vasta diffusione del lavoro agile o lavoro da casa ha messo in evidenza criticità sicuramente legate all’adozione obbligata e frettolosa, ma, se pensiamo alla sua futura diffusione, allo sviluppo dello Smart working, sarà davvero possibile soddisfare le sue motivazioni principali: innovazione, competitività ( produttività e contenimento dei costi) e conciliazione delle esigenze dei lavoratori (tempi di vita e lavoro, cura dei figli o dei genitori anziani, disabilità che impediscano il movimento)?
Attualmente la norma di riferimento è nella legge n. 81 del 2017 “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e luoghi di lavoro subordinato”. Una legge che secondo una parte ha come punto di forza la flessibilità e la “leggerezza”, ma da un altro punto di vista appare tale da rendere il lavoratore parte debole. Demandare a un accordo tra le parti, come previsto dall’art. 18 può essere sufficiente ad assicurare diritti e tutele dei lavoratori autonomi e subordinati? L’ ambigua indeterminatezza della legge fa pensare alle possibilità di una situazione di sfruttamento, a vantaggio della produttività aziendale e a discapito del lavoratore che (come in questo caso obbligato dall’emergenza) pressato da varie esigenze, di cure ai figli minori o ad un parente disabile o di tipo economico, accetti condizioni poco chiare se non sfavorevoli riguardo a strumentazioni, spazio di lavoro, diritto a tempi di riposo, connessione e reperibilità, obiettivi e fasi di lavoro. E questo dubbio viene soprattutto se pensiamo ad una lavoratrice.
L’articolo di legge non è esplicito riguardo agli strumenti. Chi li fornisce? Si parla in generale di responsabilità del datore di lavoro riguardo a sicurezza e funzionamento, ma la connessione? E chi ripaga il lavoratore che sopperisce con i suoi strumenti e attrezza i suoi locali? Strumentazione e mezzi di produzione, così come in altri lavori il mezzo di trasporto e lo smartphone, a carico del lavoratore che deve garantire una prestazione e risultati non riconducono a certe forme di lavoro autonomo? E se questo potrebbe essere visto come un vantaggio per chi potesse offrire le proprie prestazioni a compenso più alto, non lascerebbe altri esposti a rapporti di lavoro che tendono a ridurre salari e tutele? Inoltre è lo stesso accordo individuale a disciplinare l’esercizio del potere di controllo e i comportamenti che danno luogo a sanzioni. Secondo quanto disposto dall’art. 4 dello Statuto dei lavoratori . Ma sono passati cinquant’anni e la possibilità di controllo, come la registrazione degli accessi e delle presenze, è generalmente connessa all’uso degli strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa.
Forse è uno scenario minaccioso, ma le ricerche sulle condizioni di “lavoro agile” in questa emergenza dicono che questi sono stati punti di debolezza e che occorre lavorare molto sulla “regolamentazione dello smart working” al fine di garantire alle lavoratrici e ai lavoratori l’indispensabile benessere e sicurezza, con particolare attenzione al “diritto alla disconnessione” per un bilanciamento e una giusta separazione tra tempi di vita e tempi di lavoro.
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