Con questo libro di chiusura di un trittico ideale dedicato a due secoli di storia dei sardi e della Sardegna, Andrea Pubusa ci consegna un volume agile, caratterizzato da una scrittura asciutta, chiara ed efficace: un condensato di storia e di politica utile anche per comprendere i movimenti e le aspirazioni (rassegnazioni?) che caratterizzano l’attuale realtà sarda.
Dico subito che il libro propone una sintesi di due secoli di storia ancorati alle figure principali, Angioy e Lussu, che danno il titolo all’opera e che segnano l’inizio e la fine del periodo considerato. All’interno di questo periodo si riportano i protagonisti dei moti di Palabanda, Giorgio Asproni, protagonista dell’800 sardo e convinto federalista, Giovanni Battista Tuveri, fine pensatore e monarcomaco convinto, come dargli torto?, le idee di Gramsci sul federalismo e, nel periodo di Lussu, le posizioni di Bellieni del Partito Sardo d’Azione e poi di Renzo Laconi, eminente figura del PCI.
Dal mio punto di vista, però, è il sottotitolo che ci permette di dare la corretta lettura del libro e comprendere il messaggio tutto politico dell’autore, Un sentimento che in Sardegna attraversa il tempo: l’autogoverno.
E’ qui che si trova il filo conduttore di una storia importante e determinante anche per l’oggi.
La struttura del libro è quella che ritroviamo anche negli altri due del trittico.
Qui abbiamo 22 brevi capitoli per un totale di 135 pagine, veri e propri “frames”, fotogrammi o singole strutture di dati con significato proprio ancorché parti di strutture di dati più complesse, quasi quadri pittorici che fanno parte di un unico racconto affrescato, un vero e proprio film. Singoli capitoli intrinsecamente compiuti, leggibili autonomamente grazie alla nota e all’introduzione che fungono da guida strutturata per la lettura, con una direzione che dall’indice va alla nota introduttiva e quindi al capitolo dedicato: una procedura valida anche sotto il profilo didattico, quasi una metodologia ‘passo passo’ per comprendere meglio i contenuti proposti.
E i contenuti, appunto, ci riguardano da vicino, perché ripropongono una storia di scelte contraddittorie, alcune decisamente coraggiose, con qualche passo avanti e molti, troppi passi indietro.
Si parte dal 1793/94 quando, dopo aver mandato a casa i piemontesi con lo scommiato, li si richiama preferendo il regno alla possibile rivoluzione e dopo alcuni decenni si arriva alla “fusione perfetta” del 1847, un vero e proprio colpo di stato dei Savoia, purtroppo (non c’è niente di nuovo in questa storia) ben aiutati da gruppi di potere sardi, che portò alla fine del Regnum Sardiniae e all’inizio di un cosiddetto progetto di sviluppo, eterodiretto e per nulla autoctono, che accrebbe le divisioni territoriali dell’isola mantenendone inalterate le condizioni di arretratezza economica e sociale.
Quello è il periodo in cui si diffondono, ancorché in circoli minoritari, le idee repubblicane e federaliste con Giorgio Asproni e Giovanni Battista Tuveri come figure di riferimento.
Pur nell’economia del piccolo saggio, in quel periodo storico Pubusa riesce a mettere in risalto il ruolo dell’associazionismo repubblicano e socialista e quindi il federalismo dei sardisti e dei comunisti. Nel libro divengono centrali la scelta federalista di Gramsci e le figure di Angioy e Lussu, con l’autogoverno teorizzato da Lussu come autonomia e non separatismo.
Quindi si passa alle idee tra loro confliggenti di Lussu e Laconi a proposito della storia della Sardegna o dei sardi. Viene poi significativamente ricondotta la ricerca del filo conduttore dell’autogoverno nel federalismo sardo tratteggiato da Angioy, Gramsci e Lussu, passando per Asproni e Tuveri.
A me pare che il capitolo finale “ … Nuova fuoriuscita del popolo sardo dalla storia? A quando la riemersione?”, costituisca il messaggio principale dell’autore, in quanto riferito all’oggi.
Infatti, noi abbiamo di fronte un quinquennio di governo di destra, con l’autonomia differenziata ormai alle porte, con una sempre più evidente faglia nello sviluppo tra nord e sud del paese.
E noi, eredi di questo sentimento di autogoverno che troviamo nei due secoli di storia indagati dall’autore, come affrontiamo questa situazione?
Per esempio, il dibattito sull’autonomia differenziata, che è iniziato e diventerà sempre più presente a breve, viene affrontato dalla sinistra italiana solo in difesa, probabilmente perché lo scempio costituzionale di base è stato compiuto proprio dal centrosinistra con la modifica del titolo quinto della Costituzione del 2001.
Per non dimenticare che quella riforma costituzionale è stata pensata, proposta e votata solo dal centrosinistra, ma dopo è stata comunque ratificata con il 64% di voti favorevoli nel referendum confermativo del mese di ottobre 2001, ancorché sulla base di un 31% di votanti.
Sulla base di questo libro di Andrea Pubusa, o meglio sulla base dei tre libri dedicati al periodo storico di riferimento, ci sono in Sardegna le condizioni per una posizione originale sul tema dell’autonomia differenziata, anche per riempire di contenuti quella “conquistata” (?) scatola vuota, almeno per ora, chiamata “insularità in Costituzione”?
Riusciamo a risolvere il problema della continuità territoriale delle persone e delle merci?
Riusciamo ad esprimere la nostra sovranità su materie come l’energia, i trasporti e il governo del territorio?
E’ possibile immaginare una maggiore autonomia, autogoverno o indipendenza con un ruolo autonomo della Sardegna in Europa, ancorché come repubblica federata all’Italia?
Ci sono innanzitutto le condizioni economiche per una prospettiva di questa portata e abbiamo una classe dirigente adeguata per una simile impresa?
Queste sono alcune domande cruciali che ci dobbiamo porre per far tesoro della lezione dei due secoli di storia della Sardegna e dei sardi che vengono ripercorsi nel libro.
Nelle ultime righe del saggio viene ricordato il voto favorevole di Emilio Lussu in Assemblea costituente per lo statuto della Sardegna, pur non condividendone completamente il testo, soprattutto per paura del peggio. Si dice quindi che solo quando i sardi riemergeranno come protagonisti della propria storia si potrà riprendere il discorso istituzionale e, eventualmente, anche quello sul federalismo.
Ma questo non va letto come rassegnazione e accettazione dell’esistente da parte dell’autore.
Per Pubusa si deve andare avanti, ma senza correre, con prudenza par di capire, valutando attentamente le forze in campo e se si intende proporre un progetto politico istituzionale diverso dallo status quo, che lo si faccia in maniera tale da avere ragionevoli possibilità di successo.
Bisogna assicurarsi, parafrasando il micio e il leone di Emilio Lussu, che non si perda anche il “micio lussiano” e si rimanga con un pugno di mosche!
Se teniamo conto che il testimone di quella storia raccontata da Andrea Pubusa è stato ripreso con forza nell’esperienza della presidenza di Mario Melis negli anni ’80 e, per alcuni aspetti, da vari movimenti identitari e indipendentisti presenti negli ultimi decenni nell’isola, si può convintamente affermare che si tratta di un libro molto istruttivo, sicuramente da leggere e che ci può permettere di aprire un dibattito politico per un possibile approdo istituzionale legato all’autogoverno e al federalismo, pur di mettere in campo una classe dirigente all’altezza del compito.
Da Angioy a Lussu. Un sentimento che in Sardegna attraversa il tempo: l’autogoverno (di Fernando Codonesu)
Con questo libro di chiusura di un trittico ideale dedicato a due secoli di storia dei sardi e della Sardegna, Andrea Pubusa ci consegna un volume agile, caratterizzato da una scrittura asciutta, chiara ed efficace: un condensato di storia e di politica utile anche per comprendere i movimenti e le aspirazioni (rassegnazioni?) che caratterizzano l’attuale realtà sarda.
Dico subito che il libro propone una sintesi di due secoli di storia ancorati alle figure principali, Angioy e Lussu, che danno il titolo all’opera e che segnano l’inizio e la fine del periodo considerato. All’interno di questo periodo si riportano i protagonisti dei moti di Palabanda, Giorgio Asproni, protagonista dell’800 sardo e convinto federalista, Giovanni Battista Tuveri, fine pensatore e monarcomaco convinto, come dargli torto?, le idee di Gramsci sul federalismo e, nel periodo di Lussu, le posizioni di Bellieni del Partito Sardo d’Azione e poi di Renzo Laconi, eminente figura del PCI.
Dal mio punto di vista, però, è il sottotitolo che ci permette di dare la corretta lettura del libro e comprendere il messaggio tutto politico dell’autore, Un sentimento che in Sardegna attraversa il tempo: l’autogoverno.
E’ qui che si trova il filo conduttore di una storia importante e determinante anche per l’oggi.
La struttura del libro è quella che ritroviamo anche negli altri due del trittico.
Qui abbiamo 22 brevi capitoli per un totale di 135 pagine, veri e propri “frames”, fotogrammi o singole strutture di dati con significato proprio ancorché parti di strutture di dati più complesse, quasi quadri pittorici che fanno parte di un unico racconto affrescato, un vero e proprio film. Singoli capitoli intrinsecamente compiuti, leggibili autonomamente grazie alla nota e all’introduzione che fungono da guida strutturata per la lettura, con una direzione che dall’indice va alla nota introduttiva e quindi al capitolo dedicato: una procedura valida anche sotto il profilo didattico, quasi una metodologia ‘passo passo’ per comprendere meglio i contenuti proposti.
E i contenuti, appunto, ci riguardano da vicino, perché ripropongono una storia di scelte contraddittorie, alcune decisamente coraggiose, con qualche passo avanti e molti, troppi passi indietro.
Si parte dal 1793/94 quando, dopo aver mandato a casa i piemontesi con lo scommiato, li si richiama preferendo il regno alla possibile rivoluzione e dopo alcuni decenni si arriva alla “fusione perfetta” del 1847, un vero e proprio colpo di stato dei Savoia, purtroppo (non c’è niente di nuovo in questa storia) ben aiutati da gruppi di potere sardi, che portò alla fine del Regnum Sardiniae e all’inizio di un cosiddetto progetto di sviluppo, eterodiretto e per nulla autoctono, che accrebbe le divisioni territoriali dell’isola mantenendone inalterate le condizioni di arretratezza economica e sociale.
Quello è il periodo in cui si diffondono, ancorché in circoli minoritari, le idee repubblicane e federaliste con Giorgio Asproni e Giovanni Battista Tuveri come figure di riferimento.
Pur nell’economia del piccolo saggio, in quel periodo storico Pubusa riesce a mettere in risalto il ruolo dell’associazionismo repubblicano e socialista e quindi il federalismo dei sardisti e dei comunisti. Nel libro divengono centrali la scelta federalista di Gramsci e le figure di Angioy e Lussu, con l’autogoverno teorizzato da Lussu come autonomia e non separatismo.
Quindi si passa alle idee tra loro confliggenti di Lussu e Laconi a proposito della storia della Sardegna o dei sardi. Viene poi significativamente ricondotta la ricerca del filo conduttore dell’autogoverno nel federalismo sardo tratteggiato da Angioy, Gramsci e Lussu, passando per Asproni e Tuveri.
A me pare che il capitolo finale “ … Nuova fuoriuscita del popolo sardo dalla storia? A quando la riemersione?”, costituisca il messaggio principale dell’autore, in quanto riferito all’oggi.
Infatti, noi abbiamo di fronte un quinquennio di governo di destra, con l’autonomia differenziata ormai alle porte, con una sempre più evidente faglia nello sviluppo tra nord e sud del paese.
E noi, eredi di questo sentimento di autogoverno che troviamo nei due secoli di storia indagati dall’autore, come affrontiamo questa situazione?
Per esempio, il dibattito sull’autonomia differenziata, che è iniziato e diventerà sempre più presente a breve, viene affrontato dalla sinistra italiana solo in difesa, probabilmente perché lo scempio costituzionale di base è stato compiuto proprio dal centrosinistra con la modifica del titolo quinto della Costituzione del 2001.
Per non dimenticare che quella riforma costituzionale è stata pensata, proposta e votata solo dal centrosinistra, ma dopo è stata comunque ratificata con il 64% di voti favorevoli nel referendum confermativo del mese di ottobre 2001, ancorché sulla base di un 31% di votanti.
Sulla base di questo libro di Andrea Pubusa, o meglio sulla base dei tre libri dedicati al periodo storico di riferimento, ci sono in Sardegna le condizioni per una posizione originale sul tema dell’autonomia differenziata, anche per riempire di contenuti quella “conquistata” (?) scatola vuota, almeno per ora, chiamata “insularità in Costituzione”?
Riusciamo a risolvere il problema della continuità territoriale delle persone e delle merci?
Riusciamo ad esprimere la nostra sovranità su materie come l’energia, i trasporti e il governo del territorio?
E’ possibile immaginare una maggiore autonomia, autogoverno o indipendenza con un ruolo autonomo della Sardegna in Europa, ancorché come repubblica federata all’Italia?
Ci sono innanzitutto le condizioni economiche per una prospettiva di questa portata e abbiamo una classe dirigente adeguata per una simile impresa?
Queste sono alcune domande cruciali che ci dobbiamo porre per far tesoro della lezione dei due secoli di storia della Sardegna e dei sardi che vengono ripercorsi nel libro.
Nelle ultime righe del saggio viene ricordato il voto favorevole di Emilio Lussu in Assemblea costituente per lo statuto della Sardegna, pur non condividendone completamente il testo, soprattutto per paura del peggio. Si dice quindi che solo quando i sardi riemergeranno come protagonisti della propria storia si potrà riprendere il discorso istituzionale e, eventualmente, anche quello sul federalismo.
Ma questo non va letto come rassegnazione e accettazione dell’esistente da parte dell’autore.
Per Pubusa si deve andare avanti, ma senza correre, con prudenza par di capire, valutando attentamente le forze in campo e se si intende proporre un progetto politico istituzionale diverso dallo status quo, che lo si faccia in maniera tale da avere ragionevoli possibilità di successo.
Bisogna assicurarsi, parafrasando il micio e il leone di Emilio Lussu, che non si perda anche il “micio lussiano” e si rimanga con un pugno di mosche!
Se teniamo conto che il testimone di quella storia raccontata da Andrea Pubusa è stato ripreso con forza nell’esperienza della presidenza di Mario Melis negli anni ’80 e, per alcuni aspetti, da vari movimenti identitari e indipendentisti presenti negli ultimi decenni nell’isola, si può convintamente affermare che si tratta di un libro molto istruttivo, sicuramente da leggere e che ci può permettere di aprire un dibattito politico per un possibile approdo istituzionale legato all’autogoverno e al federalismo, pur di mettere in campo una classe dirigente all’altezza del compito.
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Redazione Scuola