Incontriamo Matteo Meloni, giornalista specializzato in ambito geopolitico, già addetto stampa al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Matteo, cosa sta accadendo nel mondo? Abbiamo avuto la tregua tra Israele ed Hezbollah libanese, ma subito dopo la Siria è stata colpita da un attacco jihadista che, in dieci giorni, ha portato alla caduta del regime di Bashar al-Assad. Senza dimenticare che, nello stesso periodo, la Corte costituzionale rumena ha annullato le elezioni (evento mai verificatosi in Europa) e in Corea del Sud si è tentato un colpo di Stato. Sono fatti scollegati tra loro, oppure possiamo cercare di individuare un filo comune?
Certamente esiste una connessione, almeno ideale, dietro queste tensioni. Possiamo dire che l’invasione della Russia in Ucraina ha in qualche modo incrinato quello status quo internazionale che ha garantito un certo grado di stabilità, principalmente nel mondo occidentale. Tuttavia, quello che è accaduto in Ucraina — ricordiamo che la crisi è antecedente ai fatti del febbraio 2022 — è stato preceduto da una serie di guerre, soprattutto in Nord Africa e in Asia Occidentale. Le cosiddette primavere arabe, che purtroppo si sono rivelate in gran parte fallimentari, hanno visto i moti popolari essere repressi dai nuovi governi. Ad esempio, in Egitto, la cacciata di Mubarak ha portato ad elezioni vinte regolarmente dai Fratelli Musulmani di Mohamed Morsi. Tuttavia, Morsi è stato successivamente deposto con un colpo di Stato, appoggiato da francesi e statunitensi, dall’attuale presidente al-Sisi, che, tra l’altro, è responsabile della morte di Giulio Regeni.
Prendendo spunto da quanto dici, possiamo dire che l’idea occidentale di esportare la democrazia presenta delle contraddizioni? Da una parte, la si incentiva, ma dall’altra si rimettono in discussione i risultati delle elezioni. Del resto, non è accaduto lo stesso con Hamas, che ha vinto le elezioni nel 2006?
Sì, purtroppo siamo ancora legati a una logica di orientalismo, come descritto da Edward Said, una logica coloniale che considera queste realtà come qualcosa di subordinato all’Occidente per ragioni storiche e ideologiche. Questo approccio cerca di governare altre regioni secondo i nostri modelli, un approccio che evidentemente si scontra con quanto si desidera in quelle realtà. Tra i tanti e più noti, il caso iraniano è emblematico: nel 1953, la CIA orchestrò un colpo di Stato contro Mossadeq, il quale stava cercando di democratizzare il paese e nazionalizzare le risorse petrolifere. Questo evento ha generato un malcontento popolare che ha spianato la strada alla rivoluzione del 1979 e il ritorno in patria di Khomeini.
In Siria, i cosiddetti ribelli sembrano avere il sopravvento. Anche Hamas ha espresso sostegno ai vincitori. Di fatto, oggi la parte perdente sembra essere l’asse della resistenza sciita, rappresentata da Hezbollah e dall’Iran. Questo potrebbe destabilizzare ulteriormente il fragile equilibrio iracheno?
Assolutamente sì. Tutto ciò che sta accadendo ha portato a un ridimensionamento della Russia, dell’Iran e di Hezbollah. Nel frattempo, Israele continua a essere attivo, con occupazioni illegali e bombardamenti all’interno del territorio siriano.
Ritorniamo ai problemi europei: cosa pensi dell’annullamento del voto in Romania?
Le interferenze russe sono state documentate in passato, come nel caso della Brexit, ma anche nel periodo del Covid-19, dove l’Italia è stata protagonista in negativo della propaganda di molteplici attori, cinesi compresi. Per quanto riguarda la Romania, il rischio è che nuove elezioni portino al medesimo risultato: in quel caso, sarebbe difficile parlare ancora di interferenze russe.
Non pensi che l’Europa stia rinunciando al proprio ruolo politico, concentrandosi esclusivamente sulla sicurezza e sull’incremento degli armamenti, come emerge dal documento Draghi o dal sostegno militare all’Ucraina approvato dal Parlamento Europeo? Non credi che questa crisi nel mondo arabo derivi anche dalla mancanza di una politica estera autonoma da parte dell’Europa?
Purtroppo sì. L’Ue si è appiattita su posizioni filostatunitensi, senza perseguire i propri interessi. Anziché distaccarci da una potenza come gli Stati Uniti, che opera principalmente per i propri fini, stiamo adottando un modello militarista che normalizza l’economia di guerra. Questo si scontra con il ruolo che l’Europa dovrebbe avere: promuovere i diritti in tutti i contesti, non solo nella propria “nicchia”. Nel 2022, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, Josep Borrell, parlando agli studenti del Collegio di Europa di Bruges, descrisse letteralmente l’ Europa come “un giardino” e il resto del mondo come una “giungla”. Dovremmo ricordare che l’Ue è campione dei diritti e dovrebbe farli rispettare in tutti i contesti, non soltanto alla nostra piccola nicchia di cittadini. I problemi con il resto del mondo derivano dal fatto che l’attuale architettura internazionale è nata alla fine della seconda guerra mondiale, e di fatto è stata sfruttata principalmente ad uso e consumo dei Paesi occidentali. Questo sistema non funziona più: sono numerosi gli attori che vogliono contribuire al funzionamento delle relazioni internazionali e chiedono giustamente un’equa distribuzione della ricchezza. Se una nazione come gli Stati Uniti o la stessa Europa sta molto meglio rispetto ai propri vicini di casa, allora si crea un problema di giustizia sociale, un problema che vede la ripartizione delle risorse del tutto sbagliata a scapito di realtà ancora oggi sfruttate. È normale poi che nascano le rivoluzioni, che sappiamo bene essere violente. Allora perché arrivare all’apice delle crisi se si può mediare prima capendo che il punto di rottura si sta raggiungendo? I BRICS del resto sono questo: si sono dotati di una banca per prestare dei fondi pur di non rivolgersi più a Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale e, in prospettiva, potrebbe utilizzare una moneta alternativa in contrapposizione al dollaro, creando di fatto una pericolosa contrapposizione.
Oggi manca un pensiero di sinistra che sia sensibile a queste tematiche? Un pensiero capace di riconoscere il multipolarismo e di cercare il dialogo reciproco? A proposito, non pensi che la posizione del PD sulla guerra sia contraddittoria?
Non mi sorprende che il gruppo dirigenziale nazionale del PD abbia questa impostazione. È un partito che fatica a comprendere il proprio elettorato: la maggior parte è contrario alla guerra. Il gruppo dirigente è strettamente legato a interessi atlantici, non riesce a parlare di pace nei termini che una sinistra moderna dovrebbe usare nel 2024. Se Bernie Sanders riesce a farlo negli Stati Uniti con grande seguito, possibile che il PD a guida Schelin non riesca a farlo? Si condannano i russi, ma non si esprimono critiche nei confronti di Netanyahu e del fascismo religioso israeliano, che opprime i palestinesi ogni giorno.
Cosa succederà ora in Siria?
La rapida caduta di Assad è arrivata con sorpresa di numerosi analisti, una caduta sospinta da una forza insorgente di jihadisti salafiti, riuniti nella sigla HTS, considerato gruppo terrorista. HTS è guidato da Ahmad Ḥusayn al-Sharʿa, conosciuto come al Jolani, con un passato tra al Qaeda e Isis, personaggio che nel corso del tempo ha lanciato segnali di apertura che, tuttavia, non possono cancellare la sua natura violenta. HTS è riuscito a colpire in maniera molto efficace alcuni baluardi della repubblica siriana, tanto da poter arrivare a Damasco. È preoccupante quanto sta succedendo? Assolutamente sì: con i necessari distinguo, non dimentichiamo il caso afgano, dove i talebani, in accordo con gli Stati Uniti, hanno ripreso il potere dopo tanti anni. Molti siriani oggi festeggiano per la caduta del regime di Assad: noi a Occidente non possiamo minimamente comprendere il significato di questo momento storico, non possiamo permetterci di criticare i cittadini di quel Paese. Quello di Assad è stato per molti un regime violento che nelle carceri ha torturato e ha causato innumerevoli sofferenze. Tuttavia, non sappiamo quello che accadrà nel prossimo futuro. È in atto una vera e propria spartizione della Siria: la Turchia di Erdogan, nostro alleato NATO, ha avuto un ruolo cruciale nella cacciata di Assad, sostenendo HTS. Al contempo, sono attive le monarchie del Golfo, con gli Emirati che hanno voltato le spalle ad Assad, e Israele, che ha occupato ulteriore territorio nelle Alture del Golan. Il quadro è nefasto, non solo nel cosiddetto Medio Oriente ma per l’intera comunità internazionale.
Il disordine mondiale tra guerre e colpi di stato secondo Matteo Meloni (di Roberto Mirasola)
Incontriamo Matteo Meloni, giornalista specializzato in ambito geopolitico, già addetto stampa al Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale.
Matteo, cosa sta accadendo nel mondo? Abbiamo avuto la tregua tra Israele ed Hezbollah libanese, ma subito dopo la Siria è stata colpita da un attacco jihadista che, in dieci giorni, ha portato alla caduta del regime di Bashar al-Assad. Senza dimenticare che, nello stesso periodo, la Corte costituzionale rumena ha annullato le elezioni (evento mai verificatosi in Europa) e in Corea del Sud si è tentato un colpo di Stato. Sono fatti scollegati tra loro, oppure possiamo cercare di individuare un filo comune?
Certamente esiste una connessione, almeno ideale, dietro queste tensioni. Possiamo dire che l’invasione della Russia in Ucraina ha in qualche modo incrinato quello status quo internazionale che ha garantito un certo grado di stabilità, principalmente nel mondo occidentale. Tuttavia, quello che è accaduto in Ucraina — ricordiamo che la crisi è antecedente ai fatti del febbraio 2022 — è stato preceduto da una serie di guerre, soprattutto in Nord Africa e in Asia Occidentale. Le cosiddette primavere arabe, che purtroppo si sono rivelate in gran parte fallimentari, hanno visto i moti popolari essere repressi dai nuovi governi. Ad esempio, in Egitto, la cacciata di Mubarak ha portato ad elezioni vinte regolarmente dai Fratelli Musulmani di Mohamed Morsi. Tuttavia, Morsi è stato successivamente deposto con un colpo di Stato, appoggiato da francesi e statunitensi, dall’attuale presidente al-Sisi, che, tra l’altro, è responsabile della morte di Giulio Regeni.
Prendendo spunto da quanto dici, possiamo dire che l’idea occidentale di esportare la democrazia presenta delle contraddizioni? Da una parte, la si incentiva, ma dall’altra si rimettono in discussione i risultati delle elezioni. Del resto, non è accaduto lo stesso con Hamas, che ha vinto le elezioni nel 2006?
Sì, purtroppo siamo ancora legati a una logica di orientalismo, come descritto da Edward Said, una logica coloniale che considera queste realtà come qualcosa di subordinato all’Occidente per ragioni storiche e ideologiche. Questo approccio cerca di governare altre regioni secondo i nostri modelli, un approccio che evidentemente si scontra con quanto si desidera in quelle realtà. Tra i tanti e più noti, il caso iraniano è emblematico: nel 1953, la CIA orchestrò un colpo di Stato contro Mossadeq, il quale stava cercando di democratizzare il paese e nazionalizzare le risorse petrolifere. Questo evento ha generato un malcontento popolare che ha spianato la strada alla rivoluzione del 1979 e il ritorno in patria di Khomeini.
In Siria, i cosiddetti ribelli sembrano avere il sopravvento. Anche Hamas ha espresso sostegno ai vincitori. Di fatto, oggi la parte perdente sembra essere l’asse della resistenza sciita, rappresentata da Hezbollah e dall’Iran. Questo potrebbe destabilizzare ulteriormente il fragile equilibrio iracheno?
Assolutamente sì. Tutto ciò che sta accadendo ha portato a un ridimensionamento della Russia, dell’Iran e di Hezbollah. Nel frattempo, Israele continua a essere attivo, con occupazioni illegali e bombardamenti all’interno del territorio siriano.
Ritorniamo ai problemi europei: cosa pensi dell’annullamento del voto in Romania?
Le interferenze russe sono state documentate in passato, come nel caso della Brexit, ma anche nel periodo del Covid-19, dove l’Italia è stata protagonista in negativo della propaganda di molteplici attori, cinesi compresi. Per quanto riguarda la Romania, il rischio è che nuove elezioni portino al medesimo risultato: in quel caso, sarebbe difficile parlare ancora di interferenze russe.
Non pensi che l’Europa stia rinunciando al proprio ruolo politico, concentrandosi esclusivamente sulla sicurezza e sull’incremento degli armamenti, come emerge dal documento Draghi o dal sostegno militare all’Ucraina approvato dal Parlamento Europeo? Non credi che questa crisi nel mondo arabo derivi anche dalla mancanza di una politica estera autonoma da parte dell’Europa?
Purtroppo sì. L’Ue si è appiattita su posizioni filostatunitensi, senza perseguire i propri interessi. Anziché distaccarci da una potenza come gli Stati Uniti, che opera principalmente per i propri fini, stiamo adottando un modello militarista che normalizza l’economia di guerra. Questo si scontra con il ruolo che l’Europa dovrebbe avere: promuovere i diritti in tutti i contesti, non solo nella propria “nicchia”. Nel 2022, l’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di Sicurezza Comune, Josep Borrell, parlando agli studenti del Collegio di Europa di Bruges, descrisse letteralmente l’ Europa come “un giardino” e il resto del mondo come una “giungla”. Dovremmo ricordare che l’Ue è campione dei diritti e dovrebbe farli rispettare in tutti i contesti, non soltanto alla nostra piccola nicchia di cittadini. I problemi con il resto del mondo derivano dal fatto che l’attuale architettura internazionale è nata alla fine della seconda guerra mondiale, e di fatto è stata sfruttata principalmente ad uso e consumo dei Paesi occidentali. Questo sistema non funziona più: sono numerosi gli attori che vogliono contribuire al funzionamento delle relazioni internazionali e chiedono giustamente un’equa distribuzione della ricchezza. Se una nazione come gli Stati Uniti o la stessa Europa sta molto meglio rispetto ai propri vicini di casa, allora si crea un problema di giustizia sociale, un problema che vede la ripartizione delle risorse del tutto sbagliata a scapito di realtà ancora oggi sfruttate. È normale poi che nascano le rivoluzioni, che sappiamo bene essere violente. Allora perché arrivare all’apice delle crisi se si può mediare prima capendo che il punto di rottura si sta raggiungendo? I BRICS del resto sono questo: si sono dotati di una banca per prestare dei fondi pur di non rivolgersi più a Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale e, in prospettiva, potrebbe utilizzare una moneta alternativa in contrapposizione al dollaro, creando di fatto una pericolosa contrapposizione.
Oggi manca un pensiero di sinistra che sia sensibile a queste tematiche? Un pensiero capace di riconoscere il multipolarismo e di cercare il dialogo reciproco? A proposito, non pensi che la posizione del PD sulla guerra sia contraddittoria?
Non mi sorprende che il gruppo dirigenziale nazionale del PD abbia questa impostazione. È un partito che fatica a comprendere il proprio elettorato: la maggior parte è contrario alla guerra. Il gruppo dirigente è strettamente legato a interessi atlantici, non riesce a parlare di pace nei termini che una sinistra moderna dovrebbe usare nel 2024. Se Bernie Sanders riesce a farlo negli Stati Uniti con grande seguito, possibile che il PD a guida Schelin non riesca a farlo? Si condannano i russi, ma non si esprimono critiche nei confronti di Netanyahu e del fascismo religioso israeliano, che opprime i palestinesi ogni giorno.
Cosa succederà ora in Siria?
La rapida caduta di Assad è arrivata con sorpresa di numerosi analisti, una caduta sospinta da una forza insorgente di jihadisti salafiti, riuniti nella sigla HTS, considerato gruppo terrorista. HTS è guidato da Ahmad Ḥusayn al-Sharʿa, conosciuto come al Jolani, con un passato tra al Qaeda e Isis, personaggio che nel corso del tempo ha lanciato segnali di apertura che, tuttavia, non possono cancellare la sua natura violenta. HTS è riuscito a colpire in maniera molto efficace alcuni baluardi della repubblica siriana, tanto da poter arrivare a Damasco. È preoccupante quanto sta succedendo? Assolutamente sì: con i necessari distinguo, non dimentichiamo il caso afgano, dove i talebani, in accordo con gli Stati Uniti, hanno ripreso il potere dopo tanti anni. Molti siriani oggi festeggiano per la caduta del regime di Assad: noi a Occidente non possiamo minimamente comprendere il significato di questo momento storico, non possiamo permetterci di criticare i cittadini di quel Paese. Quello di Assad è stato per molti un regime violento che nelle carceri ha torturato e ha causato innumerevoli sofferenze. Tuttavia, non sappiamo quello che accadrà nel prossimo futuro. È in atto una vera e propria spartizione della Siria: la Turchia di Erdogan, nostro alleato NATO, ha avuto un ruolo cruciale nella cacciata di Assad, sostenendo HTS. Al contempo, sono attive le monarchie del Golfo, con gli Emirati che hanno voltato le spalle ad Assad, e Israele, che ha occupato ulteriore territorio nelle Alture del Golan. Il quadro è nefasto, non solo nel cosiddetto Medio Oriente ma per l’intera comunità internazionale.
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