In un mio intervento sulle sanzioni dell’occidente alla Russia pubblicato il 13 aprile su questo sito sostenevo “ Prima del 24 febbraio per comprare un dollaro si spendevano 76 rubli, un valore più o meno equivalente a quello osservato in tutto il 2021 …”, intendendo dire che l’effetto immediato delle sanzioni dell’Occidente nei confronti della Russia era più nullo che blando se comparato ai proclami di tanti leader politici come Biden, Johnson, Von Der Leyen e Draghi.
L’andamento del cambio euro/dollaro osservato da quella data fino ad oggi, appena 24 giorni, ne è la riprova: venerdì il cambio valutario porta a comprare un dollaro con appena 66.5 rubli, ben 16.5% di rivalutazione rispetto al valore indicato in precedenza.
Come dire le sanzioni fanno bene al rublo.
Il grafico al 6 maggio riporta quanto appena affermato (fonte Google Search):
Come ci ricorda efficacemente Lucio Caracciolo nei suoi interventi televisivi, oltre che sugli ultimi numeri di Limes, il consenso di Putin fra la popolazione russa non solo non diminuisce, ma cresce sensibilmente come è stato rilevato e già evidenziato in una intervista rilasciata al Corriere della Sera da Alexey Levinson, direttore del dipartimento socioculturale del Levada Center (ultimo istituto demoscopico indipendente in Russia): 83% di consenso rilevato nel mese di aprile.Le sanzioni perciò non sembrano avere alcun impatto sul rublo, non per ora almeno.
Insomma, sembra che le sanzioni siano poco efficaci contro la Russia, tanto è vero che la guerra è continuata più feroce di prima, mentre produce non pochi danni alle economie dell’Europa, in primis a quella della Germania e dell’Italia.
Questo è vero per i primi cinque pacchetti di sanzioni e rischia di essere ancora più vero per il sesto blocco di sanzioni europee, l’ultimo, quello con al centro l’energia, ancorché limitata ad una fonte secondaria, se confrontata con il gas, come il petrolio.
L’inserimento del blocco dell’importazione di petrolio ha provocato una immediata spaccatura tra i paesi europei, con un netto rifiuto da parte di Ungheria e Slovacchia che dipendono per circa il 78% dall’oleodotto Druzhba riuscendo ad ottenere una deroga almeno fino al 2024.
Al riguardo si osserva che Orban ha detto perentoriamente che un bando dell’energia dalla Russia sarebbe stato come una bomba atomica sull’economia ungherese e Praga ha subito chiesto il rinvio delle sanzioni sul petrolio fino al completamento dei lavori di costruzione di oleodotti alternativi, in pratica una richiesta di proroga da cinque a dieci anni!
Alle forti proteste e motivazioni di quei paesi sono seguite le vibranti rimostranze di Grecia, Cipro e Malta, paesi decisamente contrari al divieto agli armatori europei di trasportare il petrolio russo verso paesi terzi acquirenti.
Il motivo è semplice. Così come non si è mai interrotto il flusso di gas che dalla Russia arriva in Europa passando per l’Ucraina che continua ad avere le sue significative royalties per tale passaggio (ma di questo si continua a parlarne troppo poco), così questi ultimi paesi manifestano la loro contrarietà al VI pacchetto di sanzioni per il fatto che dispongono di flotte commerciali adatte al trasporto del greggio russo e tale attività è piuttosto redditizia come fonte del proprio PIL nazionale.
Le voci di questi paesi europei lungi dal dimostrare l’ostentata compattezza ci mostrano un groviglio di interessi dissonanti tra loro e spesso in totale contrasto per cui forse sarebbe meglio per la Commissione europea, pur all’interno del quadro atlantico in cui opera, pur di non contemplare questo incomprensibile asservimento prono a Washington, valutare con più attenzione e lungimiranza gli effetti deleteri delle sanzioni sull’economia dei paesi europei.
Sul fronte della guerra, il presidente Zelensky ha fatto appena in tempo a proporre un tavolo di negoziazione diretto con Putin, con l’ipotesi di ritenere possibile un accordo a partire dalle posizioni territoriali acquisite al giorno prima dell’invasione, dando quindi per scontato che la Crimea facesse parte della Russia, che la NATO, per bocca del suo segretario generale Stoltenberg, ha subito detto “Non accetteremo mai l’annessione della Crimea alla Russia”, confermando se ce ne fosse ancora bisogno che gli Stati Uniti sono direttamente in guerra con la Russia e non si tratta solo di una guerra per procura come si diceva fino a qualche settimana fa, ma di una guerra offensiva tesa possibilmente al cambio del regime putiniano.
Su questo specifico punto non bisogna dimenticare le dichiarazioni di Biden relativi all’invio di armi americane all’Ucraina almeno da un anno prima dell’invasione, oltre alla comprovata e rivendicata collaborazione con operazioni di intelligence e addestramento di truppe, molto probabilmente già precedenti al 2020 se non risalenti al periodo successivo all’annessione della Crimea.
Ora, se questo è il quadro di riferimento, diventa ancora più grave la posizione italiana di completo asservimento alla politica di Biden perché così facendo si viola palesemente la costituzione.
Infatti si è diventati cobelligeranti in uno scenario di guerra offensiva e non difensiva, oltre al fatto acclarato che ad oggi le sanzioni occidentali stanno producendo effetti nefasti solo sulla nostra economia e su quelle degli altri stati europei.
Si osserva ancora che il ministro Guerini ha confermato nell’audizione di fronte alla Commissione Difesa di Camera e Senato che il governo ha autorizzato l’invio a Kiev di “armamento pesante a corto raggio per distruggere le postazioni missilistiche russe” e in quell’occasione ha ribadito la volontà di procedere speditamente con l’invio del terzo carico di armi, forse per far fare a Draghi un’ottima figura quale gradito ospite a Washington martedì 10 maggio.
E se il nostro Presidente del Consiglio non ha avuto il tempo di fare un passaggio in parlamento prima del viaggio americano, come richiesto da alcune forze politiche, vuole farci comprendere che ci sono priorità più importanti, mentre il parlamento viene dopo, sempre e solo dopo..
Comunque la si giri, con questa politica etero diretta e un parlamento esautorato a vantaggio dell’esecutivo, la nostra democrazia è sempre più indebolita e incapace di assumere posizioni autonome che pongano al centro l’interesse nazionale ed europeo.
Il mancato accordo dell’Europa sul VI pacchetto di sanzioni alla Russia (di Fernando Codonesu)
In un mio intervento sulle sanzioni dell’occidente alla Russia pubblicato il 13 aprile su questo sito sostenevo “ Prima del 24 febbraio per comprare un dollaro si spendevano 76 rubli, un valore più o meno equivalente a quello osservato in tutto il 2021 …”, intendendo dire che l’effetto immediato delle sanzioni dell’Occidente nei confronti della Russia era più nullo che blando se comparato ai proclami di tanti leader politici come Biden, Johnson, Von Der Leyen e Draghi.
L’andamento del cambio euro/dollaro osservato da quella data fino ad oggi, appena 24 giorni, ne è la riprova: venerdì il cambio valutario porta a comprare un dollaro con appena 66.5 rubli, ben 16.5% di rivalutazione rispetto al valore indicato in precedenza.
Come dire le sanzioni fanno bene al rublo.
Il grafico al 6 maggio riporta quanto appena affermato (fonte Google Search):
Come ci ricorda efficacemente Lucio Caracciolo nei suoi interventi televisivi, oltre che sugli ultimi numeri di Limes, il consenso di Putin fra la popolazione russa non solo non diminuisce, ma cresce sensibilmente come è stato rilevato e già evidenziato in una intervista rilasciata al Corriere della Sera da Alexey Levinson, direttore del dipartimento socioculturale del Levada Center (ultimo istituto demoscopico indipendente in Russia): 83% di consenso rilevato nel mese di aprile.Le sanzioni perciò non sembrano avere alcun impatto sul rublo, non per ora almeno.
Insomma, sembra che le sanzioni siano poco efficaci contro la Russia, tanto è vero che la guerra è continuata più feroce di prima, mentre produce non pochi danni alle economie dell’Europa, in primis a quella della Germania e dell’Italia.
Questo è vero per i primi cinque pacchetti di sanzioni e rischia di essere ancora più vero per il sesto blocco di sanzioni europee, l’ultimo, quello con al centro l’energia, ancorché limitata ad una fonte secondaria, se confrontata con il gas, come il petrolio.
L’inserimento del blocco dell’importazione di petrolio ha provocato una immediata spaccatura tra i paesi europei, con un netto rifiuto da parte di Ungheria e Slovacchia che dipendono per circa il 78% dall’oleodotto Druzhba riuscendo ad ottenere una deroga almeno fino al 2024.
Al riguardo si osserva che Orban ha detto perentoriamente che un bando dell’energia dalla Russia sarebbe stato come una bomba atomica sull’economia ungherese e Praga ha subito chiesto il rinvio delle sanzioni sul petrolio fino al completamento dei lavori di costruzione di oleodotti alternativi, in pratica una richiesta di proroga da cinque a dieci anni!
Alle forti proteste e motivazioni di quei paesi sono seguite le vibranti rimostranze di Grecia, Cipro e Malta, paesi decisamente contrari al divieto agli armatori europei di trasportare il petrolio russo verso paesi terzi acquirenti.
Il motivo è semplice. Così come non si è mai interrotto il flusso di gas che dalla Russia arriva in Europa passando per l’Ucraina che continua ad avere le sue significative royalties per tale passaggio (ma di questo si continua a parlarne troppo poco), così questi ultimi paesi manifestano la loro contrarietà al VI pacchetto di sanzioni per il fatto che dispongono di flotte commerciali adatte al trasporto del greggio russo e tale attività è piuttosto redditizia come fonte del proprio PIL nazionale.
Le voci di questi paesi europei lungi dal dimostrare l’ostentata compattezza ci mostrano un groviglio di interessi dissonanti tra loro e spesso in totale contrasto per cui forse sarebbe meglio per la Commissione europea, pur all’interno del quadro atlantico in cui opera, pur di non contemplare questo incomprensibile asservimento prono a Washington, valutare con più attenzione e lungimiranza gli effetti deleteri delle sanzioni sull’economia dei paesi europei.
Sul fronte della guerra, il presidente Zelensky ha fatto appena in tempo a proporre un tavolo di negoziazione diretto con Putin, con l’ipotesi di ritenere possibile un accordo a partire dalle posizioni territoriali acquisite al giorno prima dell’invasione, dando quindi per scontato che la Crimea facesse parte della Russia, che la NATO, per bocca del suo segretario generale Stoltenberg, ha subito detto “Non accetteremo mai l’annessione della Crimea alla Russia”, confermando se ce ne fosse ancora bisogno che gli Stati Uniti sono direttamente in guerra con la Russia e non si tratta solo di una guerra per procura come si diceva fino a qualche settimana fa, ma di una guerra offensiva tesa possibilmente al cambio del regime putiniano.
Su questo specifico punto non bisogna dimenticare le dichiarazioni di Biden relativi all’invio di armi americane all’Ucraina almeno da un anno prima dell’invasione, oltre alla comprovata e rivendicata collaborazione con operazioni di intelligence e addestramento di truppe, molto probabilmente già precedenti al 2020 se non risalenti al periodo successivo all’annessione della Crimea.
Ora, se questo è il quadro di riferimento, diventa ancora più grave la posizione italiana di completo asservimento alla politica di Biden perché così facendo si viola palesemente la costituzione.
Infatti si è diventati cobelligeranti in uno scenario di guerra offensiva e non difensiva, oltre al fatto acclarato che ad oggi le sanzioni occidentali stanno producendo effetti nefasti solo sulla nostra economia e su quelle degli altri stati europei.
Si osserva ancora che il ministro Guerini ha confermato nell’audizione di fronte alla Commissione Difesa di Camera e Senato che il governo ha autorizzato l’invio a Kiev di “armamento pesante a corto raggio per distruggere le postazioni missilistiche russe” e in quell’occasione ha ribadito la volontà di procedere speditamente con l’invio del terzo carico di armi, forse per far fare a Draghi un’ottima figura quale gradito ospite a Washington martedì 10 maggio.
E se il nostro Presidente del Consiglio non ha avuto il tempo di fare un passaggio in parlamento prima del viaggio americano, come richiesto da alcune forze politiche, vuole farci comprendere che ci sono priorità più importanti, mentre il parlamento viene dopo, sempre e solo dopo..
Comunque la si giri, con questa politica etero diretta e un parlamento esautorato a vantaggio dell’esecutivo, la nostra democrazia è sempre più indebolita e incapace di assumere posizioni autonome che pongano al centro l’interesse nazionale ed europeo.
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Redazione Scuola