Nei sogni di ogni insegnante rimane la deformazione professionale della sua quotidiana ora di lezione.
Non come un incubo ma come un piacere, ancorché faticoso, al quale ad un certo punto della vita bisogna rinunciare.
In tante occasioni, durante questi miei primi anni di pensione, mi è capitato di riflettere su come avrei affrontato, da insegnante di discipline giuridiche ed economiche, le varie vicende della nostra vita sociale e politica nazionale ed internazionale.
Mi riferisco quindi ad un lavoro complesso perché fondato sulla relazione personale, come altri lavori certo, (il medico, il magistrato), ma non tutti.
Molte professioni, per quanto destinate a produrre effetti sulle persone, non sono fondate sulla relazione personale.
Inoltre il lavoro dell’insegnante ha lo scopo, dato che tutti siamo stati alunni, di sviluppare il nostro sistema cognitivo secondo modalità che ci consentano, raggiunta l’età adulta, di comprendere la realtà ed essere in grado di rielaborare ciò che si è appreso, effettuando scelte adeguate alle situazioni.
Mi sono sempre detta che il lavoro dell’insegnante non può essere improvvisato, presuppone non solo la preparazione e l’aggiornamento continuo dei contenuti e delle modalità di insegnamento, ma anche la conoscenza degli studenti con i quali si deve lavorare.
Non mi hanno mai convinto le lezioni di esperti, se estemporanee e non mediate dagli insegnanti della classe.
Nella migliore delle ipotesi si sono risolte in lezioni frontali delle quali agli studenti è rimasto sempre ben poco.
Fatta questa premessa mi sono chiesta come avrei affrontato a scuola il tema della guerra in Ucraina.
Non mi sono immaginata una domanda generica del tipo: proffe, che cosa pensa della guerra?
Si, magari anche quella per perdere un po’ di tempo, evitare qualche verifica, ecc….
Ma, pur avendo insegnato elementi di diritto ed economia anche nel primo biennio delle superiori , è dalla classe terza che i ragazzi studiano microeconomia, storia dell’economia, macroeconomia, fino alla quinta in cui i temi si approfondiscono.
Mi sarei quindi aspettata una domanda del tipo: ma le sanzioni economiche, come il blocco del sistema dei pagamenti, la sospensione degli scambi commerciali con la Russia, non sono strumenti che poi si ritorcono contro la nostra economia? Forse addirittura più che nei confronti di chi vogliamo colpire?
Non abbiamo studiato che le varie teorie economiche (il mercantilismo, il protezionismo) vennero abbandonate proprio perché danneggiavano non solo chi le subiva, ma anche chi le applicava?
Di fronte a queste obiezioni non avrei potuto che assentire dicendo: bravi ragazzi, avete utilizzato le vostre conoscenze per spiegarvi un fenomeno.
Ma fra me e me avrei anche dovuto dire, ma questo governo dei migliori ci prende in giro oppure non è dei migliori.
E questa Unione Europea a guida del Re Sole–Macron, che si riunisce a Versailles, per non decidere nulla se non nuove sanzioni economiche, che non si sa proporre per una mediazione di pace fra i contendenti, ma solo indicare, attraverso i suoi leader, di ridurre la temperatura dei caloriferi, come può essere un punto di riferimento per il suoi cittadini?
Ma torniamo al mio sogno di essere in classe con i ragazzi.
Un altro tema sul tavolo sarebbe certamente quello della nostra decisione di aderire alla richiesta di invio di armi in Ucraina per sostenere, si dice, la resistenza di quel paese.
Sicuramente i ragazzi mi riproporrebbero una riflessione sull’art. 11 della Costituzione , peraltro dimenticato dal nostro Parlamento in diverse occasioni.
L’ultima, quando il Parlamento ha approvato una risoluzione con la quale impegna il Governo all’invio di armi in Ucraina.
Ma anche durante la guerra all’Iraq l’Italia ha consentito agli aerei da guerra americani di partire dalla base di Aviano o quando abbiamo partecipato in virtù della nostra appartenenza alla Nato al bombardamento del Kosovo.
Certamente l’art. 11 è molto chiaro: l’Italia ripudia la guerra, la scelta del legislatore costituente, che utilizza il verbo ripudia e non rifiuta, è una scelta che sottintende una condanna della guerra in quanto tale e la opzione indiscussa della strada diplomatica per la composizione e risoluzione delle controversie internazionali.
Quindi non sembra esserci possibilità per una diversa interpretazione che lasci spazio alle evoluzioni dei nostri governi ipocriti. Non solo: è ormai consolidata l’interpretazione secondo cui queste norme costituzionali non sono solo programmatiche ma prescrittive.
In un mondo in cui la guerra non è mai scomparsa se non nel nostro immaginario edulcorato europeo, ove tutto è commisurato ad un eurocentrismo spinto, la realtà è solo quella che viviamo noi; noi soltanto siamo il termine di paragone tra il bello e il brutto e tra i buoni e i cattivi.
Fatto sta che le guerre esistono, che noi produciamo e vendiamo armi, malgrado il divieto di esportazione quantomeno in paesi ove siano violati i diritti umani.
Anche l’invio di armi all’Ucraina, oltre che in violazione dell’art. 11 della Costituzione, rappresenta una violazione della PESC 944 sul divieto di esportazione di armi a paesi ove possano essere usate in contesti di violazione dei diritti umani. Nel quadro della PESC (politica estera e di sicurezza comune), il Consiglio europeo ha approvato nel 2008 le norme per il controllo delle esportazioni di tecnologia ed attrezzature militari con la posizione 944.
Nel 2014 il Parlamento europeo ha altresì approvato una risoluzione sulla ratifica del Trattato sul commercio delle armi adottato dalle Nazioni Unite.
Infine, nella ipotetica lezione, dovrebbe essere affrontata un’ultima questione che introduce sicuramente una novità nel quadro di questa ennesima guerra.
Questa è una guerra raccontata con i social e non solo con i mezzi di comunicazione ai quali eravamo abituati.
Abbiamo internet e tutti i mezzi più diffusi come Twitter, FB, WA; gli smartphone che possono fotografare e filmare situazioni che girano nel mondo in tempo reale. Occorre quindi che i ragazzi imparino ad usare questi mezzi ed a verificarne la affidabilità.
Cosa difficile anche per noi adulti.
A Donetsk, Donbass, Luca Steimann di La7 ci racconta una storia un po’ diversa dalla propaganda italiana su Tv e giornali. Racconta di gente che parla il russo, che ad un certo punto si è trovata in Ucraina e poi nelle Repubbliche.
Ciò che è a rischio in questo momento è anche la libertà d’informazione ed il diritto ad una informazione libera (art. 21 Costituzione). Anzi per meglio dire è a rischio la libertà di informare e di essere informati. La libertà di esprimere liberamente il proprio pensiero, vedi le pressioni sui giornalisti occidentali, anche RAI, sugli artisti, gli scienziati, i professori, ecc. che è complementare al diritto di ciascuno di noi di essere informato democraticamente.
I ragazzi mi chiederebbero conto del perché il sindaco Sala ha costretto alle dimissioni il direttore d’orchestra Gergiev della Scala e perché lo stesso è stato cacciato dalla Filarmonica di Monaco, perché la rettrice dell’università di Milano aveva sospeso un corso su Dostoevskij, perché sono state sospese opere di musicisti russi, perché è stato censurato il prof. Orsini della Luiss, professore di sociologia del terrorismo, per le posizioni divergenti dalla verità rivelata ed infine perché sono stati sospesi tutti i servizi dei nostri inviati a Mosca, dopo che l’ottimo Marc Innaro aveva osato farci riflettere sugli eventi degli ultimi decenni tra Russia, Nato e USA.
Altresì è difficile per noi verificare le informazioni di fonte ucraina e russa. Come vivono questo scontro le popolazioni locali? Le guerre creano vittime dirette e indirette sia fra gli invasi che fra gli invasori. C’è una vera resistenza in Ucraina? C’è un vero dissenso in Russia?
Domande difficili a cui non darei risposte dirette. Utilizzeremo insieme i dannati telefonini, sempre criminalizzati a scuola, ma che in questo momento sono uno strumento efficacissimo di finestra su questo campo di battaglia e li inviterei a verificare tutte le informazioni sentite o lette nei loro canali di informazione, li spingerei a verificarle. Fornirei loro una ricca bibliografia, non ometterei gli ottimi report dei generali Mini e Bertolino, conoscitori diretti di questi decenni di storia recente che hanno preparato questo conflitto e non sono certamente dei filo-putiniani, ma sicuramente ora liberi di parlare perché ormai senza incarichi; nè il prof. Luciano Canfora e quel che resta delle corrispondenze di Marc Innaro, i servizi di Nico Piro ed oggi direi anche di Luca Steimann, giornalista italo-svizzero e docente universitario. Li inviterei a sentire Giulio Tremonti che si trova d’accordo con Marco Revelli nel denunciare la fine, forse, della globalizzazione e l’imminenza di un altro ordine mondiale.
Ed importante potrebbe essere anche una riflessione sulle parole della guerra. C’è chi suggerisce una riflessione sull’espressione “Teatro di guerra”, a me verrebbe da riflettere sui termini Violenza e Conflitto.
Anche le parole usate in modo inadeguato rischiano di falsare la realtà.
Un esempio è ciò che suggerisce Pierluigi Fagan, blogger e analista: Zelensky è il testimonial (bravissimo) di una strategia di comunicazione (abilissima e molto professionale) che presuppone un abilissimo team che ne cura immagine e testi, team ovviamente non ucraino. Ma è anche un PR con un altro team che gli apre porte di parlamenti, interventi nelle piazze pacifiste, interviste, servizi copertina e da ultimo anche merchandising e tutto il noto sistema che accompagna il format “rivoluzioni colorate”. E chi lo dirige gestisce anche le sue relazioni internazionali, l’amicizia con i Trimarium (Baltico, Adriatico e Mar Nero) in funzione anti-UE, gli attacchi a Germania e qualche volta Israele, l’ambiguo rapporto con la Turchia che sta nella NATO tanto quanto si bilancia con la Russia e molto altro. O mi volete dire che un comico ucraino in politica da tre anni con un Paese al 133° posto per Pil, è in grado di far tutto questo da solo?
La storia più recente delle varie guerre combattute nel mondo non ci consente di escludere a priori questi scenari.
Anche noi, oltre che con i nostri figli e studenti, non possiamo abbassare la guardia.
La guerra raccontata ai ragazzi (di Rosamaria Maggio)
Nei sogni di ogni insegnante rimane la deformazione professionale della sua quotidiana ora di lezione.
Non come un incubo ma come un piacere, ancorché faticoso, al quale ad un certo punto della vita bisogna rinunciare.
In tante occasioni, durante questi miei primi anni di pensione, mi è capitato di riflettere su come avrei affrontato, da insegnante di discipline giuridiche ed economiche, le varie vicende della nostra vita sociale e politica nazionale ed internazionale.
Mi riferisco quindi ad un lavoro complesso perché fondato sulla relazione personale, come altri lavori certo, (il medico, il magistrato), ma non tutti.
Molte professioni, per quanto destinate a produrre effetti sulle persone, non sono fondate sulla relazione personale.
Inoltre il lavoro dell’insegnante ha lo scopo, dato che tutti siamo stati alunni, di sviluppare il nostro sistema cognitivo secondo modalità che ci consentano, raggiunta l’età adulta, di comprendere la realtà ed essere in grado di rielaborare ciò che si è appreso, effettuando scelte adeguate alle situazioni.
Mi sono sempre detta che il lavoro dell’insegnante non può essere improvvisato, presuppone non solo la preparazione e l’aggiornamento continuo dei contenuti e delle modalità di insegnamento, ma anche la conoscenza degli studenti con i quali si deve lavorare.
Non mi hanno mai convinto le lezioni di esperti, se estemporanee e non mediate dagli insegnanti della classe.
Nella migliore delle ipotesi si sono risolte in lezioni frontali delle quali agli studenti è rimasto sempre ben poco.
Fatta questa premessa mi sono chiesta come avrei affrontato a scuola il tema della guerra in Ucraina.
Non mi sono immaginata una domanda generica del tipo: proffe, che cosa pensa della guerra?
Si, magari anche quella per perdere un po’ di tempo, evitare qualche verifica, ecc….
Ma, pur avendo insegnato elementi di diritto ed economia anche nel primo biennio delle superiori , è dalla classe terza che i ragazzi studiano microeconomia, storia dell’economia, macroeconomia, fino alla quinta in cui i temi si approfondiscono.
Mi sarei quindi aspettata una domanda del tipo: ma le sanzioni economiche, come il blocco del sistema dei pagamenti, la sospensione degli scambi commerciali con la Russia, non sono strumenti che poi si ritorcono contro la nostra economia? Forse addirittura più che nei confronti di chi vogliamo colpire?
Non abbiamo studiato che le varie teorie economiche (il mercantilismo, il protezionismo) vennero abbandonate proprio perché danneggiavano non solo chi le subiva, ma anche chi le applicava?
Di fronte a queste obiezioni non avrei potuto che assentire dicendo: bravi ragazzi, avete utilizzato le vostre conoscenze per spiegarvi un fenomeno.
Ma fra me e me avrei anche dovuto dire, ma questo governo dei migliori ci prende in giro oppure non è dei migliori.
E questa Unione Europea a guida del Re Sole–Macron, che si riunisce a Versailles, per non decidere nulla se non nuove sanzioni economiche, che non si sa proporre per una mediazione di pace fra i contendenti, ma solo indicare, attraverso i suoi leader, di ridurre la temperatura dei caloriferi, come può essere un punto di riferimento per il suoi cittadini?
Ma torniamo al mio sogno di essere in classe con i ragazzi.
Un altro tema sul tavolo sarebbe certamente quello della nostra decisione di aderire alla richiesta di invio di armi in Ucraina per sostenere, si dice, la resistenza di quel paese.
Sicuramente i ragazzi mi riproporrebbero una riflessione sull’art. 11 della Costituzione , peraltro dimenticato dal nostro Parlamento in diverse occasioni.
L’ultima, quando il Parlamento ha approvato una risoluzione con la quale impegna il Governo all’invio di armi in Ucraina.
Ma anche durante la guerra all’Iraq l’Italia ha consentito agli aerei da guerra americani di partire dalla base di Aviano o quando abbiamo partecipato in virtù della nostra appartenenza alla Nato al bombardamento del Kosovo.
Certamente l’art. 11 è molto chiaro: l’Italia ripudia la guerra, la scelta del legislatore costituente, che utilizza il verbo ripudia e non rifiuta, è una scelta che sottintende una condanna della guerra in quanto tale e la opzione indiscussa della strada diplomatica per la composizione e risoluzione delle controversie internazionali.
Quindi non sembra esserci possibilità per una diversa interpretazione che lasci spazio alle evoluzioni dei nostri governi ipocriti. Non solo: è ormai consolidata l’interpretazione secondo cui queste norme costituzionali non sono solo programmatiche ma prescrittive.
In un mondo in cui la guerra non è mai scomparsa se non nel nostro immaginario edulcorato europeo, ove tutto è commisurato ad un eurocentrismo spinto, la realtà è solo quella che viviamo noi; noi soltanto siamo il termine di paragone tra il bello e il brutto e tra i buoni e i cattivi.
Fatto sta che le guerre esistono, che noi produciamo e vendiamo armi, malgrado il divieto di esportazione quantomeno in paesi ove siano violati i diritti umani.
Anche l’invio di armi all’Ucraina, oltre che in violazione dell’art. 11 della Costituzione, rappresenta una violazione della PESC 944 sul divieto di esportazione di armi a paesi ove possano essere usate in contesti di violazione dei diritti umani. Nel quadro della PESC (politica estera e di sicurezza comune), il Consiglio europeo ha approvato nel 2008 le norme per il controllo delle esportazioni di tecnologia ed attrezzature militari con la posizione 944.
Nel 2014 il Parlamento europeo ha altresì approvato una risoluzione sulla ratifica del Trattato sul commercio delle armi adottato dalle Nazioni Unite.
Infine, nella ipotetica lezione, dovrebbe essere affrontata un’ultima questione che introduce sicuramente una novità nel quadro di questa ennesima guerra.
Questa è una guerra raccontata con i social e non solo con i mezzi di comunicazione ai quali eravamo abituati.
Abbiamo internet e tutti i mezzi più diffusi come Twitter, FB, WA; gli smartphone che possono fotografare e filmare situazioni che girano nel mondo in tempo reale. Occorre quindi che i ragazzi imparino ad usare questi mezzi ed a verificarne la affidabilità.
Cosa difficile anche per noi adulti.
A Donetsk, Donbass, Luca Steimann di La7 ci racconta una storia un po’ diversa dalla propaganda italiana su Tv e giornali. Racconta di gente che parla il russo, che ad un certo punto si è trovata in Ucraina e poi nelle Repubbliche.
Ciò che è a rischio in questo momento è anche la libertà d’informazione ed il diritto ad una informazione libera (art. 21 Costituzione). Anzi per meglio dire è a rischio la libertà di informare e di essere informati. La libertà di esprimere liberamente il proprio pensiero, vedi le pressioni sui giornalisti occidentali, anche RAI, sugli artisti, gli scienziati, i professori, ecc. che è complementare al diritto di ciascuno di noi di essere informato democraticamente.
I ragazzi mi chiederebbero conto del perché il sindaco Sala ha costretto alle dimissioni il direttore d’orchestra Gergiev della Scala e perché lo stesso è stato cacciato dalla Filarmonica di Monaco, perché la rettrice dell’università di Milano aveva sospeso un corso su Dostoevskij, perché sono state sospese opere di musicisti russi, perché è stato censurato il prof. Orsini della Luiss, professore di sociologia del terrorismo, per le posizioni divergenti dalla verità rivelata ed infine perché sono stati sospesi tutti i servizi dei nostri inviati a Mosca, dopo che l’ottimo Marc Innaro aveva osato farci riflettere sugli eventi degli ultimi decenni tra Russia, Nato e USA.
Altresì è difficile per noi verificare le informazioni di fonte ucraina e russa. Come vivono questo scontro le popolazioni locali? Le guerre creano vittime dirette e indirette sia fra gli invasi che fra gli invasori. C’è una vera resistenza in Ucraina? C’è un vero dissenso in Russia?
Domande difficili a cui non darei risposte dirette. Utilizzeremo insieme i dannati telefonini, sempre criminalizzati a scuola, ma che in questo momento sono uno strumento efficacissimo di finestra su questo campo di battaglia e li inviterei a verificare tutte le informazioni sentite o lette nei loro canali di informazione, li spingerei a verificarle. Fornirei loro una ricca bibliografia, non ometterei gli ottimi report dei generali Mini e Bertolino, conoscitori diretti di questi decenni di storia recente che hanno preparato questo conflitto e non sono certamente dei filo-putiniani, ma sicuramente ora liberi di parlare perché ormai senza incarichi; nè il prof. Luciano Canfora e quel che resta delle corrispondenze di Marc Innaro, i servizi di Nico Piro ed oggi direi anche di Luca Steimann, giornalista italo-svizzero e docente universitario. Li inviterei a sentire Giulio Tremonti che si trova d’accordo con Marco Revelli nel denunciare la fine, forse, della globalizzazione e l’imminenza di un altro ordine mondiale.
Ed importante potrebbe essere anche una riflessione sulle parole della guerra. C’è chi suggerisce una riflessione sull’espressione “Teatro di guerra”, a me verrebbe da riflettere sui termini Violenza e Conflitto.
Anche le parole usate in modo inadeguato rischiano di falsare la realtà.
Un esempio è ciò che suggerisce Pierluigi Fagan, blogger e analista: Zelensky è il testimonial (bravissimo) di una strategia di comunicazione (abilissima e molto professionale) che presuppone un abilissimo team che ne cura immagine e testi, team ovviamente non ucraino. Ma è anche un PR con un altro team che gli apre porte di parlamenti, interventi nelle piazze pacifiste, interviste, servizi copertina e da ultimo anche merchandising e tutto il noto sistema che accompagna il format “rivoluzioni colorate”. E chi lo dirige gestisce anche le sue relazioni internazionali, l’amicizia con i Trimarium (Baltico, Adriatico e Mar Nero) in funzione anti-UE, gli attacchi a Germania e qualche volta Israele, l’ambiguo rapporto con la Turchia che sta nella NATO tanto quanto si bilancia con la Russia e molto altro. O mi volete dire che un comico ucraino in politica da tre anni con un Paese al 133° posto per Pil, è in grado di far tutto questo da solo?
La storia più recente delle varie guerre combattute nel mondo non ci consente di escludere a priori questi scenari.
Anche noi, oltre che con i nostri figli e studenti, non possiamo abbassare la guardia.
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Redazione Scuola