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La necessità di un pensiero di pace (di Roberto Mirasola)
A due anni dall’invasione russa in Ucraina il mondo non si può certo dire un posto migliore, anzi. I conflitti sono aumentati, riaccendendo il Medio Oriente sino ad arrivare al mar Rosso con gli attacchi degli houthi, non dimenticando poi la minaccia cinese a Taiwan. Naturalmente riportiamo solo i conflitti più conosciuti non citando, perché non raggiungono le cronache, tutti gli altri dal Sudan e dalla complicata situazione Africana.
Le armi hanno contribuito forse a raggiungere un equilibrio geopolitico che consenta ai popoli di vivere in pace? No tutt’altro. Possiamo, dunque, affermare che le armi hanno fallito e con esse l’idea, ormai, diventata prevalente che la guerra sia qualcosa di irreversibile. Il movimento pacifista si è diviso in Italia tra chi comprendeva le ragioni di Putin e chi invece quelle di Kiev. Non siamo riusciti a superare queste divisioni nell’interesse maggiore della pace e il risultato è un’Europa in riarmo con divisioni al suo interno sempre più accentuate con i paesi baltici e Polonia sempre più vicini a Washington piuttosto che a Bruxelles. Dobbiamo riportare al centro la politica come soluzione alle crisi sempre più ricorrenti in un mondo sempre più diviso. L’ONU non è più la soluzione ai problemi e lo dimostra sempre più la sua impotenza nelle risoluzioni adottate negli anni contro Israele che ha invece disatteso le direttive per continuare nella sua politica coloniale di occupazione dei territori palestinesi a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Non illuda il ritiro da Gaza nel 2005. La decisione di Sharon era motivata dalla difficoltà tutta Israeliana di dare protezione ai pochi coloni presenti nella striscia. Cosa invece ben diversa in Cisgiordania dove gli insediamenti sionisti hanno creato in alcuni casi vere e proprie città con l’occupazione dell’esercito a difesa dei soli coloni. Eppure nonostante ciò, Hamira Hass, giornalista israeliana che vive a Ramallah (Cisgiordania) scrive “La vera essenza della resistenza emerge nei villaggi che si oppongono ai coloni e nelle persone che protestano pacificamente contro gli insediamenti illegali israeliani. È fondamentale evitare di idealizzare l’uso delle armi come principale strumento di resistenza” tutto questo nonostante le ingiustizie e i soprusi perpetrati nei confronti dei civili palestinesi. Dovremmo chiederci il perché di questa continua espansione sionista, ma la risposta è semplice. In realtà nessun governo Israeliano ha mai ostacolato la crescita degli insediamenti non dovuti, si badi bene, a una “crescita naturale della popolazione”, ma alla politica di incentivazione nei confronti di immigrati Israeliani con relativi generosi sussidi. Gli Stati Uniti a loro volta si dichiarano contrari, ma nei fatti nessun Presidente Statunitense ha mai ostacolato Israele. Non ci dobbiamo poi sorprendere per le difficoltà di dialogo con il mondo arabo più volte umiliato. Tutto questo ha un senso per gli interessi Italiani ed Europei? No. Abbiamo gettato via anni di diplomazia che vedeva un dialogo aperto con il mondo arabo che si affaccia come noi nel Mediterraneo.
Come se ne viene fuori? Per quanto riguarda Ucraina e Russia, le armi devono tacere da entrambe le parti, e questa è una condizione imprescindibile. Solo così i negoziati possono seriamente riprendere. E’ ormai chiaro che nessuna delle due parti è in grado di vincere il conflitto.
A Gaza invece Israele deve fermare l’invasione da terra, che al momento ha l’unico obiettivo di cacciare i Palestinesi dalla striscia. Le armi non porranno fine all’odio, foriero di nuovi combattenti. Non si può non ripartire dal riconoscimento dello Stato Palestinese con nuovi negoziati capaci di dare stabilità al Medio Oriente.
Non dobbiamo arrenderci alla logica della guerra ma dobbiamo batterci per creare un pensiero di pace che possa contrastare gli interessi economici di chi lucra con le guerre.
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Redazione Scuola