Parliamoci chiaro: l’impronta politica del Governo Meloni, che si evince direttamente dalle biografie dei ministri e delle ministre, è programmaticamente reazionaria.
Se qualche cautela sarà imposta a questo Governo, essa deriverà principalmente dalla condizione economico-finanziaria del Paese, ma col tempo sarà la sua maggioranza a far valere con forza gli interessi sociali che articolatamente rappresenta.
Vedremo sul versante fiscale, su quello del welfare e in particolare della sanità, sull’istruzione, sul sostegno ai ceti più colpiti dalla situazione economica, quanto le forze organizzate della società italiana sapranno instaurare un confronto robusto, non solo difensivo.
Certamente invece sui temi più connessi ai diritti civili, dei cittadini come degli stranieri, possiamo aspettarci presto il peggio appena compatibile col quadro costituzionale vigente e col relativo controllo giurisdizionale, costituzionale e ordinario.
Ma già ai tempi del Governo Conte 1 abbiamo visto che si tratta di trincee non del tutto insormontabili.
Sarà un terreno durissimo di scontro anche ideologico con un’opinione pubblica “democratica” già abbastanza precaria e disomogenea su molti di questi argomenti fondamentali.
Mi aggancio a quest’ultimo spunto per confessare che la lettura di certi ragionamenti scritti all’impronta, dopo la dichiarazione di Giorgia Meloni, ieri mattina, di accettazione dell’incarico, mi ha destato molte preoccupazioni.
Anche a me il ricorso al termine “Nazione”, ripetuto tre volte, in quelle dichiarazioni, ha inevitabilmente suscitato una diffidenza motivata dal retaggio che vi ho percepito della più radicata ideologia della destra.
Nel lessico della destra italiana il termine “Nazione” è storicamente connesso a orizzonti “nazionalistici” sul piano delle relazioni internazionali, è sempre stato usato sul piano sociale interno come evocazione di un interesse supremo al quale sottomettere ogni confronto o peggio conflitto sociale e sul piano istituzionale spesso è stato usato per evocare una visione statalista e centralista dell’ordinamento.
Però è vero che il termine “Nazione”, sia pure con molte ambivalenze, tutte temperabili dentro gli algoritmi della doverosa interpretazione democratica, è un termine ricorrente nella Costituzione.
“Governo per la Nazione” perciò non è un’espressione impropria, se non fosse che appunto, ancora nella temperie attuale, svincolata da quei canoni costituzionali, essa evoca in Italia contrapposizioni ideologiche non risolte.
Il termine costituzionale più corretto sarebbe stato e sarebbe “Governo della Repubblica”.
Perché nel nostro sistema è la Repubblica “democratica”, che include tutte le pluralità della “Nazione”, quelle sociali come quelle istituzionali, quelle culturali e persino quelle etniche e linguistiche. Le include per rispettarle e per promuoverle e valorizzarle (articoli 3 e 5), non per conculcarle in un’astratta unicità quasi metafisica.
In questo senso persino la “sovranità popolare”, massima espressione politica della “Nazione”, soggiace alla democrazia repubblicana, in virtù del limite invalicabile che la stessa Costituzione stabilisce nell’articolo di esordio, l’incipit fondativo contenuto nell’articolo 1, in particolare nel secondo comma.
Forse per esigenze comunicative, svincolate tanto da sospetti ideologici quanto dal rischio di dare un’impressione formalmente ingessata, sarebbe stato meglio dire “un Governo per l’Italia” (l’Italia è un termine presente in Costituzione a partire dal citato articolo 1), oppure ricorrere a un altro lessico, per esempio “un Governo per il Paese”, meno suscettibile di controversie.
Tuttavia lamentarsi perché Giorgia Meloni non abbia usato il termine “Stato” (avrebbe cioè dovuto secondo alcune e alcuni dire: “un Governo per lo Stato”), come ho letto in certi post di sinceri progressisti e progressiste, in qualche caso col sussiegoso ricorso ai dizionari della lingua italiana, questo non può non suonarmi, come dire, difettoso, deficitario, inconsapevolmente non meno di destra e forse persino più di destra del termine “Nazione”.
“Stato” fu usato dal regime petainista di Vichy in luogo di “Repubblica” e poco prima da quello franchista spagnolo allo stesso scopo.
L’articolo 114 della Costituzione elenca infine lo Stato, insieme alle Regioni e alle autonomie comunali, provinciali e metropolitane, come uno dei soggetti istituzionali in cui si articola la Repubblica.
Perciò davvero, stiamo più attenti a noi stessi, perché qualcosa di incompiuto e di irrisolto emerge anche tra noi.
In ogni caso oggi il Governo ha giurato nell’ordine:
1) di essere fedele alla Repubblica;
2) di osservarne la Costituzione e le leggi dello Stato;
3) di esercitare le proprie funzioni nell’esclusivo interesse della Nazione.
In questa formula, analoga a quella che tutti noi pubblici funzionari abbiamo recitato nelle occasioni dovute, sta la “linea politica costituzionale”.
Sarà opportuno che, nella vigilanza cui ci apprestiamo, non ignoriamo nè saltiamo nè sottovalutiamo nemmeno un concetto, neppure un passaggio.
Lessico postfascista (di Tonino Dessì)
Parliamoci chiaro: l’impronta politica del Governo Meloni, che si evince direttamente dalle biografie dei ministri e delle ministre, è programmaticamente reazionaria.
Se qualche cautela sarà imposta a questo Governo, essa deriverà principalmente dalla condizione economico-finanziaria del Paese, ma col tempo sarà la sua maggioranza a far valere con forza gli interessi sociali che articolatamente rappresenta.
Vedremo sul versante fiscale, su quello del welfare e in particolare della sanità, sull’istruzione, sul sostegno ai ceti più colpiti dalla situazione economica, quanto le forze organizzate della società italiana sapranno instaurare un confronto robusto, non solo difensivo.
Certamente invece sui temi più connessi ai diritti civili, dei cittadini come degli stranieri, possiamo aspettarci presto il peggio appena compatibile col quadro costituzionale vigente e col relativo controllo giurisdizionale, costituzionale e ordinario.
Ma già ai tempi del Governo Conte 1 abbiamo visto che si tratta di trincee non del tutto insormontabili.
Sarà un terreno durissimo di scontro anche ideologico con un’opinione pubblica “democratica” già abbastanza precaria e disomogenea su molti di questi argomenti fondamentali.
Mi aggancio a quest’ultimo spunto per confessare che la lettura di certi ragionamenti scritti all’impronta, dopo la dichiarazione di Giorgia Meloni, ieri mattina, di accettazione dell’incarico, mi ha destato molte preoccupazioni.
Anche a me il ricorso al termine “Nazione”, ripetuto tre volte, in quelle dichiarazioni, ha inevitabilmente suscitato una diffidenza motivata dal retaggio che vi ho percepito della più radicata ideologia della destra.
Nel lessico della destra italiana il termine “Nazione” è storicamente connesso a orizzonti “nazionalistici” sul piano delle relazioni internazionali, è sempre stato usato sul piano sociale interno come evocazione di un interesse supremo al quale sottomettere ogni confronto o peggio conflitto sociale e sul piano istituzionale spesso è stato usato per evocare una visione statalista e centralista dell’ordinamento.
Però è vero che il termine “Nazione”, sia pure con molte ambivalenze, tutte temperabili dentro gli algoritmi della doverosa interpretazione democratica, è un termine ricorrente nella Costituzione.
“Governo per la Nazione” perciò non è un’espressione impropria, se non fosse che appunto, ancora nella temperie attuale, svincolata da quei canoni costituzionali, essa evoca in Italia contrapposizioni ideologiche non risolte.
Il termine costituzionale più corretto sarebbe stato e sarebbe “Governo della Repubblica”.
Perché nel nostro sistema è la Repubblica “democratica”, che include tutte le pluralità della “Nazione”, quelle sociali come quelle istituzionali, quelle culturali e persino quelle etniche e linguistiche. Le include per rispettarle e per promuoverle e valorizzarle (articoli 3 e 5), non per conculcarle in un’astratta unicità quasi metafisica.
In questo senso persino la “sovranità popolare”, massima espressione politica della “Nazione”, soggiace alla democrazia repubblicana, in virtù del limite invalicabile che la stessa Costituzione stabilisce nell’articolo di esordio, l’incipit fondativo contenuto nell’articolo 1, in particolare nel secondo comma.
Forse per esigenze comunicative, svincolate tanto da sospetti ideologici quanto dal rischio di dare un’impressione formalmente ingessata, sarebbe stato meglio dire “un Governo per l’Italia” (l’Italia è un termine presente in Costituzione a partire dal citato articolo 1), oppure ricorrere a un altro lessico, per esempio “un Governo per il Paese”, meno suscettibile di controversie.
Tuttavia lamentarsi perché Giorgia Meloni non abbia usato il termine “Stato” (avrebbe cioè dovuto secondo alcune e alcuni dire: “un Governo per lo Stato”), come ho letto in certi post di sinceri progressisti e progressiste, in qualche caso col sussiegoso ricorso ai dizionari della lingua italiana, questo non può non suonarmi, come dire, difettoso, deficitario, inconsapevolmente non meno di destra e forse persino più di destra del termine “Nazione”.
“Stato” fu usato dal regime petainista di Vichy in luogo di “Repubblica” e poco prima da quello franchista spagnolo allo stesso scopo.
L’articolo 114 della Costituzione elenca infine lo Stato, insieme alle Regioni e alle autonomie comunali, provinciali e metropolitane, come uno dei soggetti istituzionali in cui si articola la Repubblica.
Perciò davvero, stiamo più attenti a noi stessi, perché qualcosa di incompiuto e di irrisolto emerge anche tra noi.
In ogni caso oggi il Governo ha giurato nell’ordine:
1) di essere fedele alla Repubblica;
2) di osservarne la Costituzione e le leggi dello Stato;
3) di esercitare le proprie funzioni nell’esclusivo interesse della Nazione.
In questa formula, analoga a quella che tutti noi pubblici funzionari abbiamo recitato nelle occasioni dovute, sta la “linea politica costituzionale”.
Sarà opportuno che, nella vigilanza cui ci apprestiamo, non ignoriamo nè saltiamo nè sottovalutiamo nemmeno un concetto, neppure un passaggio.
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Redazione Scuola