Lettera di Matteo Meloni per l’incontro su “Libertà di stampa, libertà di opinione, censura”
Carissimi,
Sono estremamente dispiaciuto di non poter prendere parte alla necessaria e quanto mai importante iniziativa organizzata per la giornata odierna della Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco, in collaborazione con l’ANPI. L’improvvisa nascita pre termine di mio figlio, venuto al mondo questa mattina, mi costringe a non essere lì con voi per ragionare sullo stato desolante della libertà di stampa nel nostro Paese. Saluto chi prenderà parte all’iniziativa e con particolare affetto Rita Sanna, Fernando Codonesu, Antonello Murgia e Roberto Loddo, amici che hanno avuto la pazienza di ascoltarmi, offrendomi la loro vicinanza in questi ultimi mesi tortuosi.
La gioia di una vita che nasce sicuramente appiana in parte le delusioni che circondano il mondo del giornalismo, quello di cui faccio parte, mondo oramai sempre più al servizio del potere e distante anni luce dal rappresentare quel baluardo democratico e di libero pensiero, spesso millantato ma solo a sprazzi concretizzatosi nel panorama mediatico italiano.
L’invito che mi è stato rivolto a prendere parte all’incontro di oggi scaturisce non a caso, ma in seguito alla denuncia pubblica che ho avuto modo di esprimere nelle scorse settimane, denuncia ascoltata e condivisa dagli amici della Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco e dall’ANPI. Dopo mesi di ansie e paure, valutazioni e passaggi con Ordine dei Giornalisti, Assostampa e Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ho deciso di raccontare apertamente l’assurdità della vicenda di censura che mi vede direttamente coinvolto.
La mia critica personale, palesata sui canali social, nei confronti delle azioni del Governo di Israele contro i civili di Gaza non sono piaciute ad alcuni personaggi vicini all’esecutivo in carica nel nostro Paese. Tanto che, pressioni istituzionali a livello ministeriale, hanno coinvolto il direttore del giornale di geopolitica per il quale ho scritto negli ultimi 5 anni circa 800 articoli, trovandomi sospeso e poi allontanato dalla redazione.
La mia colpa è quella di aver scritto nero su bianco delle violenze delle Forze Militari israeliane contro ospedali, scuole, istituti gestiti dalle Nazioni Unite, chiese e moschee. Davanti a 25 mila morti, di cui più di 10 mila minori, nel giro di soli 3 mesi, il mondo intero sta assistendo al genocidio di una popolazione intera, una vera e propria pulizia etnica come definita dallo storico israeliano Ilan Pappé.
Aver definito Netanyahu criminale di guerra come Mladić, che a Srebrenica ha ucciso 8000 mila persone e per questo giudicato da un tribunale internazionale, non è andato giù agli esponenti ministeriali guidati dal Governo Meloni, il più a destra della storia italiana, il più vicino ideologicamente all’esecutivo israeliano. Al quale si perdona qualunque illegittima azione. Per queste mie considerazioni, è stata interrotta la collaborazione con la rivista di geopolitica. Non per idee espresse e pubblicate sul giornale, ma per le mie personali idee.
A distanza di due mesi dall’accaduto, a inizio gennaio, ho chiesto al direttore via e-mail chiarimenti ulteriori sulla mia sospensione. Senza giri di parole, ha parlato espressamente di Farnesina come suo interlocutore, riferendomi dunque una sua sudditanza verso il Ministero degli Esteri dove, tra l’altro, ho lavorato in due occasioni: a New York come consulente per la comunicazione alla rappresentanza italiana presso le Nazioni Unite, a Roma come addetto stampa di una vice ministra.
Trovo la vicenda inquietante, ma purtroppo non unica nel panorama giornalistico e di ricerca del nostro Paese. Le intimidazioni subite per le critiche contro Israele sono all’ordine del giorno, come se ci fosse uno scudo totale nei confronti di Tel Aviv e non si potesse avanzare la ben che minima valutazione negativa sull’operato di quella che, da alcuni lacchè di Governo e macchiette del mondo dell’informazione mainstream, è chiamata “l’unica democrazia del medio oriente”.
Di democratico c’è ben poco in Israele: una nazione che pratica l’apartheid contro gli arabi israeliani e occupa territori non suoi può essere mai considerata una democrazia? In seguito a 25 mila morti innocenti causate dall’esercito israeliano come può ancora il mondo occidentale dar credito a quella realtà? Perché la Spagna e il Belgio hanno assunto una postura del tutto contraria a quella di Italia, Germania, Francia, Stati Uniti e Regno Unito, mentre da noi passa il messaggio che qualunque critica a Israele è di carattere antisemita?
Una simile affermazione fa rabbrividire, ma è questo il punto: aver sfruttato ignobilmente un’identità religiosa, quella ebraica, ad uso e consumo dell’ideologia sionista. Nel mondo non si contano le innumerevoli manifestazioni degli ebrei anti sionisti, contrari alle azioni e alle pratiche di Israele. Come detto dalla stessa Senatrice Liliana Segre, “Non penso proprio di dovermi discolpare, in quanto ebrea, di quello che fa lo Stato d’Israele”.
Questo è importantissimo da capire e da chiarire in ogni occasione possibile: è profondamente razzista e antisemita equiparare Israele agli ebrei. I milioni di fedeli ebrei contrari alle pratiche israeliane lo dimostrano. Chi lo fa è in malafede o preferisce aizzare l’odio interreligioso. L’appunto di Segre è sacrosanto e fa comprendere esattamente quanto diciamo da sempre: la critica a Israele è totalmente legittima, la lotta al sionismo una battaglia di civiltà.
La libertà di stampa è stata azzoppata inesorabilmente nel corso degli anni, ma è nel corso dei conflitti bellici che mostra tutta la sua fragilità. I segni di un avvicinamento repentino a una guerra realmente mondiale ci sono tutti. Dall’invasione russa in Ucraina ai fatti in svolgimento a Gaza, passando per la crisi dei trasporti marittimi e della catena di approvvigionamento mondiale e per le elezioni statunitensi, che potrebbero veder trionfare un Presidente isolazionista come Trump il prossimo novembre, sono tutti gravi sentori di un mondo spinto sull’orlo di un burrone. Solo la società civile, l’opinione pubblica e la partecipazione democratica salveranno le nazioni dalla deriva neo fascista, che crede fermamente nella cancellazione delle voci contrarie all’ordine costituito. Grazie per l’attenzione.
Lettera di Matteo Meloni per l’incontro su “Libertà di stampa, libertà di opinione, censura”
Carissimi,
Sono estremamente dispiaciuto di non poter prendere parte alla necessaria e quanto mai importante iniziativa organizzata per la giornata odierna della Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco, in collaborazione con l’ANPI. L’improvvisa nascita pre termine di mio figlio, venuto al mondo questa mattina, mi costringe a non essere lì con voi per ragionare sullo stato desolante della libertà di stampa nel nostro Paese. Saluto chi prenderà parte all’iniziativa e con particolare affetto Rita Sanna, Fernando Codonesu, Antonello Murgia e Roberto Loddo, amici che hanno avuto la pazienza di ascoltarmi, offrendomi la loro vicinanza in questi ultimi mesi tortuosi.
La gioia di una vita che nasce sicuramente appiana in parte le delusioni che circondano il mondo del giornalismo, quello di cui faccio parte, mondo oramai sempre più al servizio del potere e distante anni luce dal rappresentare quel baluardo democratico e di libero pensiero, spesso millantato ma solo a sprazzi concretizzatosi nel panorama mediatico italiano.
L’invito che mi è stato rivolto a prendere parte all’incontro di oggi scaturisce non a caso, ma in seguito alla denuncia pubblica che ho avuto modo di esprimere nelle scorse settimane, denuncia ascoltata e condivisa dagli amici della Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco e dall’ANPI. Dopo mesi di ansie e paure, valutazioni e passaggi con Ordine dei Giornalisti, Assostampa e Federazione Nazionale della Stampa Italiana, ho deciso di raccontare apertamente l’assurdità della vicenda di censura che mi vede direttamente coinvolto.
La mia critica personale, palesata sui canali social, nei confronti delle azioni del Governo di Israele contro i civili di Gaza non sono piaciute ad alcuni personaggi vicini all’esecutivo in carica nel nostro Paese. Tanto che, pressioni istituzionali a livello ministeriale, hanno coinvolto il direttore del giornale di geopolitica per il quale ho scritto negli ultimi 5 anni circa 800 articoli, trovandomi sospeso e poi allontanato dalla redazione.
La mia colpa è quella di aver scritto nero su bianco delle violenze delle Forze Militari israeliane contro ospedali, scuole, istituti gestiti dalle Nazioni Unite, chiese e moschee. Davanti a 25 mila morti, di cui più di 10 mila minori, nel giro di soli 3 mesi, il mondo intero sta assistendo al genocidio di una popolazione intera, una vera e propria pulizia etnica come definita dallo storico israeliano Ilan Pappé.
Aver definito Netanyahu criminale di guerra come Mladić, che a Srebrenica ha ucciso 8000 mila persone e per questo giudicato da un tribunale internazionale, non è andato giù agli esponenti ministeriali guidati dal Governo Meloni, il più a destra della storia italiana, il più vicino ideologicamente all’esecutivo israeliano. Al quale si perdona qualunque illegittima azione. Per queste mie considerazioni, è stata interrotta la collaborazione con la rivista di geopolitica. Non per idee espresse e pubblicate sul giornale, ma per le mie personali idee.
A distanza di due mesi dall’accaduto, a inizio gennaio, ho chiesto al direttore via e-mail chiarimenti ulteriori sulla mia sospensione. Senza giri di parole, ha parlato espressamente di Farnesina come suo interlocutore, riferendomi dunque una sua sudditanza verso il Ministero degli Esteri dove, tra l’altro, ho lavorato in due occasioni: a New York come consulente per la comunicazione alla rappresentanza italiana presso le Nazioni Unite, a Roma come addetto stampa di una vice ministra.
Trovo la vicenda inquietante, ma purtroppo non unica nel panorama giornalistico e di ricerca del nostro Paese. Le intimidazioni subite per le critiche contro Israele sono all’ordine del giorno, come se ci fosse uno scudo totale nei confronti di Tel Aviv e non si potesse avanzare la ben che minima valutazione negativa sull’operato di quella che, da alcuni lacchè di Governo e macchiette del mondo dell’informazione mainstream, è chiamata “l’unica democrazia del medio oriente”.
Di democratico c’è ben poco in Israele: una nazione che pratica l’apartheid contro gli arabi israeliani e occupa territori non suoi può essere mai considerata una democrazia? In seguito a 25 mila morti innocenti causate dall’esercito israeliano come può ancora il mondo occidentale dar credito a quella realtà? Perché la Spagna e il Belgio hanno assunto una postura del tutto contraria a quella di Italia, Germania, Francia, Stati Uniti e Regno Unito, mentre da noi passa il messaggio che qualunque critica a Israele è di carattere antisemita?
Una simile affermazione fa rabbrividire, ma è questo il punto: aver sfruttato ignobilmente un’identità religiosa, quella ebraica, ad uso e consumo dell’ideologia sionista. Nel mondo non si contano le innumerevoli manifestazioni degli ebrei anti sionisti, contrari alle azioni e alle pratiche di Israele. Come detto dalla stessa Senatrice Liliana Segre, “Non penso proprio di dovermi discolpare, in quanto ebrea, di quello che fa lo Stato d’Israele”.
Questo è importantissimo da capire e da chiarire in ogni occasione possibile: è profondamente razzista e antisemita equiparare Israele agli ebrei. I milioni di fedeli ebrei contrari alle pratiche israeliane lo dimostrano. Chi lo fa è in malafede o preferisce aizzare l’odio interreligioso. L’appunto di Segre è sacrosanto e fa comprendere esattamente quanto diciamo da sempre: la critica a Israele è totalmente legittima, la lotta al sionismo una battaglia di civiltà.
La libertà di stampa è stata azzoppata inesorabilmente nel corso degli anni, ma è nel corso dei conflitti bellici che mostra tutta la sua fragilità. I segni di un avvicinamento repentino a una guerra realmente mondiale ci sono tutti. Dall’invasione russa in Ucraina ai fatti in svolgimento a Gaza, passando per la crisi dei trasporti marittimi e della catena di approvvigionamento mondiale e per le elezioni statunitensi, che potrebbero veder trionfare un Presidente isolazionista come Trump il prossimo novembre, sono tutti gravi sentori di un mondo spinto sull’orlo di un burrone. Solo la società civile, l’opinione pubblica e la partecipazione democratica salveranno le nazioni dalla deriva neo fascista, che crede fermamente nella cancellazione delle voci contrarie all’ordine costituito. Grazie per l’attenzione.
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