No alla proposta di inserire nucleare e gas nella tassonomia verde dell’Europa
La sostenibilità, la transizione ecologica ed energetica si realizzano con un modello energetico costituito solo dalle rinnovabili, sia per l’Italia sia, e a maggior ragione, per la Sardegna che oggi è tenuta all’amo della canna del gas.
Quando la Commissione Europea, cedendo alle forti pressioni delle lobbies industriali dell’oil&gas e della Francia sul nucleare, propone di riclassificare l’energia nucleare e il gas come fonti rinnovabili, ancorché quest’ultimo visto come combustibile di transizione, rinnega almeno due decenni di decisioni e direttive in campo energetico di orientamento opposto.
Si tratta di decisioni da respingere con fermezza perché frutto di una vera e propria provocazione contro il buon senso e l’intelligenza dei popoli europei.
Accettandole, non solo la Commissione ma tutti noi europei faremmo un errore madornale con ripercussioni difficili da prevedere e un percorso difficile da invertire una volta intrapreso perché di fatto si rischia di negare nei fatti ogni possibile transizione.
C’ è bisogno di una transizione ecologia ed energetica in una prospettiva di sostenibilità per il pianeta, sostenibilità fisica, economica e sociale, come condizione necessaria per la continuazione della specie homo sapiens sulla terra.
Il problema, si badi bene, non è il pianeta in sé che può fare benissimo a meno di noi umani, ma di noi umani che non possiamo sopravvivere fuori da questo pianeta.
E’ per questo motivo che dobbiamo essere sempre più convinti della necessità di questa transizione e ci dobbiamo organizzare con tutte le nostre migliori energie intellettuali, politiche e culturali per perseguire con la massima determinazione il processo di transizione, a partire da ora perché il tempo a disposizione è sempre più limitato.
In questo processo di necessaria transizione ecologica ed energetica per la sostenibilità di tutti i processi produttivi e di consumo sulla terra, il ruolo dell’Europa è insostituibile: come parte culturalmente determinante degli equilibri mondiali, riconosciuti in questo periodo storico non tanto per essere una potenza politico militare e tecnologica, cosa di cui ci sarebbe comunque bisogno per avere un’incidenza ancora maggiore nello scacchiere internazionale, quanto per la sua innegabile dimostrata capacità regolatoria, con produzione di direttive e normative fatte proprie in altri posti del mondo fuori dal territorio di tutti i paesi che oggi fanno parte dell’Unione europea.
E’ a partire da questa considerazione che bisogna escludere dalla nuova tassonomia energetica suggerita dalla Commissione europea il capitolo del nucleare e quello del gas che sono e restano componenti del mondo fossile, indipendentemente dalle nuove riclassificazioni.
Il nucleare di “nuova generazione” di cui si parla, infatti, continua ad essere il nucleare da fissione di Chernobyl e Fukuschima Dai-ihi e non quello da fusione, sulla cui ricerca auspichiamo con convinzione maggiori finanziamenti.
Quanto al gas, certo presenta dei vantaggi nel rapporto C02/kWh rispetto al carbone e agli altri derivati del petrolio utilizzati come combustibile nelle centrali elettriche, ma è sempre un combustibile fossile a termine.
Così come si è indicata una data per la decarbonizzazione che, però, non è vincolante e gli Stati possono continuare a spostarla nel tempo, andrebbe con altrettanta determinazione e lungimiranza indicare una data ultima per l’utilizzo del gas, senza bisogno alcuno di colorarlo di “verde” giacché verde non è.
Se le indicazioni tassonomiche venissero accettate avrebbe ragione su tutta la linea la giovane Greta Thunberg: gli impegni solenni dei consessi internazionali come le COP si riducono solo alla passerella dei potenti del mondo e allo sciorinamento del bla, bla, bla di turno.
Si potrebbe facilmente dire che il moloch è invincibile o, per lo meno, che gli impegni continuamente proclamati da tutti gli Stati aderenti sotto l’egida della massima organizzazione sovranazionale costruita nell’immediato dopoguerra, l’ONU, dal primo incontro/conferenza di Rio de Janeiro all’ultimo di Glasgow, le cosiddette COP oramai giunte alla ventiseiesima edizione, non hanno prodotto alcun risultato concreto.
Solo impegni formali, totalmente disattesi, anche perché frutto di compromessi al ribasso con indicazione di obiettivi scritti solo sulla carta, senza intenzione alcuna di verificarli nel tempo. Infatti gli Stati continuano ad essere sovrani nelle loro decisioni attuative, e con nessuna sanzione prevista per gli Stati inadempienti.
E intanto la folle corsa verso il disastro continua e avanza con un’accelerazione crescente.
Il vecchio equilibrio sulla reversibilità dei processi che si attuano nel nostro piccolo pianeta garantito da un percentuale massima di CO2 in atmosfera pari a 360 ppm (parti per milione), rilevato ancora negli anni ’70 del secolo scorso è stato superato da tempo.
Per farci un’idea più precisa di cosa stiamo parlando, nei due grafici seguenti vengono riportati i valori di CO2 in atmosfera in un periodo remoto a partire dall’ultima glaciazione e dal 1960 ad oggi.
Ora siamo a 419 ppm. Per un grande numero di climatologi e studiosi vari dei cambiamenti climatici dal punto di vista fisico, chimico, economico e sociale si tratta di un numero fuori portata, impossibile da riportare indietro.
Eppure questa lettura, pur giustificabile, a me pare troppo negativa e per certi aspetti paralizzante perché condurrebbe alla conclusione che non si può far nulla per fermare questa deriva a causa sia della disparità delle forze in campo sia, quanto meno, dell’asimmetria informativa tra i diversi attori presenti nello scacchiere internazionale.
Personalmente non la vedo così.
Nel bene e nel male, gli attori principali dei processi in atto nel pianeta sono gli uomini e ciò che viene fatto dall’uomo può essere sempre rivisto, rimodellato, corretto e riprogettato da capo.
Questo è però possibile solo se ci si rende conto che i processi economici e sociali in campo non sono facilmente interrompibili e che alcune decisioni che andrebbero prese, proprio per le scale in gioco, che a questi livelli sono sempre su scala sovranazionale, richiedono risorse, accordi e tempistiche adeguate.
E per garantire il rispetto degli accordi che via via vengono sottoscritti sono necessari sempre adeguati meccanismi sanzionatori ad oggi inesistenti.
Sui prezzi dell’energia e del gas
L’aumento vertiginoso del prezzo dell’energia elettrica e del gas dipende dalla congiuntura geopolitica che stiamo attraversando, a sua volta amplificata in parte strumentalmente dalla persistenza e diffusione in ogni parte del mondo della pandemia da Covid-19 con le sue varianti, ma l’andamento di questi prezzi non ha alcun rapporto né con l’energia nucleare (infatti la importiamo dalla Francia e i prezzi dell’energia non diminuiscono) né con l’aiuto delle navi gasiere statunitensi che hanno dato un minimo di respiro all’Europa sulla vicenda dei prezzi energetici in questi ultimi due mesi.
In effetti basterebbe conoscere il meccanismo di determinazione del prezzo dell’energia elettrica che è funzionalmente dipendente dall’aumento all’origine del prezzo di alcune materie prime “fossili”, come il petrolio e il gas, ancorché matematicamente ribaltati su un lasso di tempo trimestrale o semestrale per attutirne l’estrema volatilità.
Al riguardo è illuminante la lettura del comunicato stampa di ARERA, Autorità di Regolazione per l’energia Reti e Ambiente, diramato il 30/12/2021 che ha definito gli aumenti previsti nel I trimestre 2022 per la materia energia e gas, rispettivamente del 55% per l’energia elettrica e del 41,8% per il gas.
Dice ARERA “Tali aumenti, di entità eccezionale e che seguono quelli già occorsi nel III e nel IV trimestre 2021, riflettono il trend di forte crescita delle quotazioni internazionali delle materie prime energetiche e del prezzo della CO2.
In particolare, il prezzo spot del gas naturale al TTF (il mercato di riferimento europeo per il gas naturale stabilito in Olanda) è aumentato, da gennaio a dicembre del 2021, di quasi il 500% (da 21 a 120 €/MWh nei valori medi mensili); nello stesso periodo, il prezzo della CO2 è più che raddoppiato (da 33 a 79 €/tCO2). La crescita marcata dei costi del combustibile e della CO2 si è riflessa, quindi, nel prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso che, nello stesso periodo, è aumentato di quasi il 400% (da 61 a 288 €/MWh nei valori medi mensili).”
Si tratta, perciò, di aumenti dovuti a problemi geopolitici internazionali che si riverberano nei prezzi in quanto il nostro mix produttivo dipende in larga parte da fonti fossili di produzione extra nazionale.
E’ da qui che nasce l’aumento dei prezzi dell’energia e non certo come effetto indesiderato del COVID-19 e questo aumento in larghissima parte si è verificato e continua a verificarsi non solo in Italia, ma nella maggior parte dei paesi europei che dipendono energeticamente dall’estero, a partire dall’onnipresente gas russo.
Per quanto riguarda il nostro paese l’aumento così significativo del prezzo dell’energia dipende anche dalle scelte fatte nei decenni precedenti che non hanno visto un adeguato sviluppo delle fonti rinnovabili da parte di famiglie e imprese italiane, pur a fronte di incentivi più che generosi messi in campo dai governi della prima decade degli anni 2000, al punto che in Italia c’è stato l’arrivo dei “Lanzichenecchi” per l’accaparramento di incentivi che garantivano un rendimento economico del 12-15% a fronte di un costo del denaro del 5%.
Insomma, eravamo nelle condizioni di sviluppare un’industria del vento e del solare e non siamo stati capaci neanche di far tesoro degli incentivi messi a disposizione dai governi di quel periodo che sono andati a vantaggio di grandi gruppi, spesso multinazionali e non delle famiglie, delle imprese o dei nostri territori.
Ma non tutto è perduto, i giochi sono ancora aperti e vi può essere un nuovo e più decisivo protagonismo da parte delle comunità locali, cittadini e imprese, a tutte le latitudini dell’Italia.
Investire sulle rinnovabili in Italia
Per approfondire l’argomento torniamo pure sul tema concreto dell’energia, tanto più dibattuto e discusso in questo ultimo periodo di aumenti del prezzo dell’energia elettrica e del gas, con conseguente aumento vertiginoso delle bollette per famiglie e imprese.
Secondo il Sole 24 ore ”riposano indisturbati almeno 90 miliardi di mc di metano nel territorio italiano”. Secondo uno studio presentato al dibattito sul PiTESAI (Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee) dall’Assorisorse, che riunisce le industrie minerarie, per raddoppiare la produzione di gas nelle aree dell’Emilia Romagna e dell’Adriatico bisognerebbe investire circa 322 milioni per raddoppiare da 800 milioni di mc a 1,6 miliardi di mc estratti. Per estrapolazione, si può ipotizzare di investire circa 2 miliardi di euro all’anno per estrarre circa 2 miliardi di mc all’anno per 10 anni, portando quindi la stima delle nostre disponibilità di gas nel sottosuolo a circa 100 miliardi di metri cubi.
Le stime sono realistiche, ma una scelta del genere è da definire folle alla luce di tutti i discorsi e gli impegni sottesi dalla parola “sostenibilità” e dal famoso e fumoso PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
E’ folle perché un investimento di quel tipo non garantirebbe nulla sulla reale diminuzione del prezzo dell’energia, a meno di cambiare radicalmente le modalità di attribuzione dei prezzi nel mercato energetico italiano, mentre si sarebbe ben più garantiti se un tale investimento venisse programmato nella realizzazione di impianti di energia rinnovabile, l’unica scelta saggia che può condurre in un orizzonte temporale di due-tre decenni all’indipendenza energetica del nostro Paese, che dipende quasi interamente dall’estero, così come per l’intera Europa.
Nelle tabelle che seguono vengono riportati i dati degli impianti di energia da fonte rinnovabile presenti in Italia alla data del 31 ottobre 2021, suddivisi per tipologia [Bionergie, Eolica, idroelettrico, Solare] e per fasce di potenza.
I due miliardi all’anno stimati come necessari da dedicare al gas, secondo il ministro Cingolani, andrebbero più utilmente dedicati alla realizzazione di impianti da energia rinnovabile in grado di colmare il deficit con l’estero nei prossimi cinque anni.
Assumendo ipotesi di lavoro conservative che conducono a stimare il numero di ore di funzionamento annuo pari a 1500 i nuovi impianti solari da realizzare, una potenza di 21-22 GW sarebbe sufficiente per raggiungere l’obiettivo di evitare il ricorso alle forniture di energia dall’estero.
Si tenga conto che l’eolico offshore, quello in mare, da realizzare a distanze significative dalle coste permetterebbe in alcune latitudini particolarmente ventose di avere 2500 ore di funzionamento annuo. Un adeguato mix almeno di queste due tecnologie con il necessario corredo della programmabilità garantita dai sistemi fisico-chimici di accumulo, permetterebbe all’Italia di imboccare un percorso virtuoso verso il modello sostenibile di cui si parla da tempo.
I due miliardi all’anno stimati come necessari da dedicare al gas, secondo il ministro Cingolani, andrebbero più utilmente dedicati alla realizzazione di impianti da energia rinnovabile in grado di colmare il deficit con l’estero nei prossimi cinque anni.
Assumendo ipotesi di lavoro conservative che conducono a stimare il numero di ore di funzionamento annuo pari a 1500 i nuovi impianti solari da realizzare, una potenza di 21-22 GW sarebbe sufficiente per raggiungere l’obiettivo di evitare il ricorso alle forniture di energia dall’estero.
Si tenga conto che l’eolico offshore, quello in mare, da realizzare a distanze significative dalle coste permetterebbe in alcune latitudini particolarmente ventose di avere 2500 ore di funzionamento annuo. Un adeguato mix almeno di queste due tecnologie con il necessario corredo della programmabilità garantita dai sistemi fisico-chimici di accumulo, permetterebbe all’Italia di imboccare un percorso virtuoso verso il modello sostenibile di cui si parla da tempo.
L’andamento dei prezzi dell’energia elettrica e del gas
Nel documento di aggiornamento dei prezzi relativi alle condizioni del mercato tutelato dell’energia nel I trimestre del 2022, pubblicato in data 30 dicembre 2021 da parte di ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) si leggono le seguenti informazioni:
“Energia elettrica – Nel primo trimestre 2022 si registrerà un aumento del costo per l’energia elettrica per la famiglia tipo con una variazione della spesa complessiva del 55% rispetto al trimestre precedente.
Gas naturale – Nel primo trimestre 2022 si registrerà un aumento del prezzo del gas naturale per la famiglia tipo, con una variazione della spesa complessiva del +41,8% rispetto al trimestre precedente”.
Tanto per citare un esempio di paese che, anche nella congiuntura economica che si sta vivendo a causa della pandemia da COVID 19, non ha visto oscillazioni nel prezzo dell’energia si citano gli USA in quanto paese totalmente indipendente sotto il profilo energetico e ora anche grande esportatore di gas. Al riguardo si cita la recente attività di fornitura americana via nave di gas naturale verso l’Europa che ha consentito di mitigare temporaneamente la quasi totale dipendenza dal gas russo.
Le caratteristiche del territorio italiano consentirebbero di raggiungere la piena autonomia energetica pur di investire adeguatamente in impianti di energia rinnovabile programmabile perché ci sono le risorse economiche, tecnologiche e umane in grado di realizzare un simile modello di generazione e distribuzione dell’energia.
Un modello energetico sostenibile totalmente rinnovabile per la Sardegna
In Sardegna ci sono ancora le condizioni per realizzare un sistema energetico sostenibile, costituito da impianti di produzione da fonte totalmente rinnovabile che rendano sostenibili anche i consumi a valle.
Al riguardo andrebbe fatto qualche ragionamento con il conforto dei dati e ipotizzando una progettualità concreta, indicandone la fattibilità, quantificandone le risorse necessarie, i luoghi fisico geografici di ubicazione, le fasi temporali e i soggetti che concretamente potrebbero attuarlo.
In questo contesto, assume particolare rilevanza il concetto di comunità energetica. Queste possono essere realizzate praticamente dal livello condominiale a quello comunale, provinciale e quindi regionale, pur di perfezionare anche mediante opportune integrazioni della legislazione quanto previsto attualmente dalle norme di riferimento.
Al riguardo, la regione Sardegna è nelle condizioni ideali per diventare una unica comunità energetica regionale: ci sono le condizioni strutturali, normative e tecniche che permettono di realizzarla.
Le condizioni strutturali sono insite nella nostra insularità e principalmente nelle caratteristiche del nostro sistema elettrico regionale che vede ad oggi una capacità produttiva di circa il 42% dei nostri consumi di energia elettrica prodotta da impianti di energia rinnovabile.
Le altre condizioni strutturali si riferiscono alla sovrabbondanza di specifiche aree marginali, di tipo industriale e contermini, di vaste aree soggette a servitù militari (almeno 10 mila ettari utilizzabili per produrre energia da fonte solare), di tetti non solo in ambito urbano ma nelle oltre 250 mila abitazioni presenti nelle coste sarde che vengono utilizzate nel migliore dei casi per uno o due mesi all’anno.
Insomma, si potrebbe completare la dotazione delle rinnovabili con tecnologie programmabili per avere l’intero fabbisogno, compreso quello termico e per la mobilità da fonte rinnovabile, senza altro consumo di suolo.
Le condizioni normative risiedono nelle competenze attribuite alla Regione Sardegna dallo Statuto e dalla Costituzione.
Si ricorda, al riguardo, l’articolo 4 del nostro Statuto: “ … la Regione emana norme legislative sulle seguenti materie: … e) produzione e distribuzione di energia elettrica;
Art. 13: Lo Stato col concorso della Regione predispone un piano organico per favorire la rinascita economico e sociale dell’isola;
Art. 14: La Regione, nell’ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo.
Quest’ultimo articolo è particolarmente importante in un processo di ridimensionamento della presenza dei poligoni militari in Sardegna e di un utilizzo di vaste aree per fini di pace.
L’articolo 117 della Costituzione, in seguito alla modifica del Titolo V del 2001, dispone:
“Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: …. ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; …. produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; …
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.
Le condizioni tecniche sono riferite alle capacità di progettazione e realizzazione di sistemi di produzione e distribuzione di energia elettrica da qualunque fonte rinnovabile, alla presenza di facoltà universitarie dedicate, alla presenza di istituti di ricerca, reti di professionisti e, per gli i risvolti diretti sui nostri territori alla presenza di alcune comunità energetiche ampiamente operative da sempre nella nostra isola (alcune sono passate indenni dal processo di nazionalizzazione dell’energia elettrica dei primi anni ’60 del secolo scorso, come i Comuni di Benetutti e Berchidda).
Vi sono ora anche alcune altre Comunità Energetiche Rinnovabili come quelle di Villanovaforru, Ussaramanna e altre si stanno costruendo anche con il ricorso a forme cooperativistiche tra cittadini.
Dal punto di vista giuridico e normativo le comunità energetiche poggiano sulla Direttiva UE 2018/2001, in cui sono riportate le definizioni di autoconsumo collettivo e di Comunità di Energia Rinnovabile (CER) e sulla direttiva sul mercato interno dell’energia elettrica, Direttiva UE 2019/944, che definisce la Comunità Energetica dei Cittadini (CEC).
Entrambe le Direttive definiscono la comunità energetica come un “soggetto giuridico” fondato sulla “partecipazione aperta e volontaria”, il cui obiettivo principale è il raggiungimento di benefici ambientali, economici e sociali per i suoi membri o soci o del territorio in cui opera.
La CER si basa sul principio di autonomia tra i membri e sulla necessità di prossimità con gli impianti di generazione. Questo tipo di comunità può gestire tutte le forme dell’energia, elettricità, calore e gas, purché siano generate da fonte rinnovabile; la CEC, di contro, non prevede i principi di autonomia e prossimità e può gestire solo l’energia elettrica, ma è ammessa anche la produzione da fonte fossile.
Il recepimento delle suddette direttive europee da parte degli Stati a Direttiva di istituzione delle CEC è il 31 dicembre 2020, mentre per la CER la data di recepimento era fissata al 30 giugno 2021.
Ad oggi, la regolamentazione italiana in materia di autoconsumo collettivo e comunità risiede nell’articolo 42-bis del Decreto Milleproroghe convertito nella legge n. 8/2020 del 29 febbraio 2020.
Secondo tale articolo, l’autoconsumo collettivo è costituito da una pluralità di consumatori ubicati all’interno di un edificio in cui è presente uno o più impianti alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili.
La disposizione relativa alle comunità energetiche prevede che i soggetti che vi partecipano devono produrre energia destinata al proprio consumo con impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza non superiore a 200 kW. Per condividere l’energia prodotta, gli utenti possono utilizzare sia reti di distribuzione già esistenti, tipicamente in bassa tensione, come utilizzare forme di autoconsumo virtuale.
Queste realtà economiche, culturali e sociali, dal nostro punto di vista, vanno prese come esempio e possono essere replicate su scala più ampia fino ad arrivare ad un processo politico economico in grado di coinvolgere tutti i Comuni della Sardegna: è questa la sfida che dovrebbe essere raccolta coralmente da tutte le forze politiche sarde e dalla società civile.
Un progetto politico, culturale, economico, sociale e tecnologico di questa portata richiede uno sguardo lungo, non di parte, soprattutto una responsabilità politica bipartisan giacché in Sardegna quasi tutto ruota intorno alla politica, se si vuole riempire di contenuti ogni discorso sulla sostenibilità, sui programmi e progetti del PNRR e sulla necessità di intervenire significativamente contro il caro energia.
Ci si riferisce naturalmente ad ogni forma di energia, elettrica, termica e frigorifera in tutti i settori di utilizzo: industria, civile e mobilità.
La Sardegna
Ai dati sugli impianti presenti in Italia e a quanto discusso nelle pagine precedenti associamo tre grafici ottenuti da fonte Terna nelle statistiche consolidate del 2020 riguardanti gli impianti, la richiesta di energia in Sardegna e i consumi per settore di utilizzazione e provincia.
Grafico dei consumi dal 1973 al 2020
L’andamento dei consumi ci permette di osservare che in Sardegna si è avuta una crescita lineare caratterizzata da un pendenza positiva costante dal 1983 al 2000, ancora sostenuta fino a metà degli anni 2000, per poi presentare una diminuzione continua fino al 2016.
Se analizziamo l’andamento dei consumi per settori di utilizzazione qui riportati solo nell’anno 2020, questo si presenta con andamento costante per il periodo 1997/2016 nel settore domestico con una sensibile crescita nel settore terziario e agricolo.
Il picco complessivo dei consumi può essere letto nel grafico intorno al 2010.
Il declino dei consumi industriali va di pari passo con la chiusura e dismissione delle industrie dei poli industriali isolani, un tempo di proprietà della partecipazioni statali e poi in parte vendute ad alcune multinazionali.
Il grafico dei consumi ci dice qualcosa di particolarmente interessante sul fronte delle esportazioni. Infatti, al netto del collegamento con la Corsica attraverso il vecchio cavo SACOI (SArdegna-COrsica-Italia) da 300 MW di potenza, stabili fino al 2005 e poi cresciute fino a raddoppiare nel 2017 a seguito del rafforzamento della capacità di trasporto del cavo SAPEI (SArdegna-PEnisola Italiana), vedono la Sardegna importare energia fino al 2001 per poi diventarne esportatore netto, con una crescita verticale dovuta sia all’entrata del cavo già detto che ha una capacità di 1000 MW di potenza e soprattutto alla forte presenza di grandi impianti di energia rinnovabile da eolico e solare fotovoltaico.
L’andamento del grafico delle esportazioni nel tempo consente di affermare che gli anni della messa in esercizio del primo cavo SAPEI da 500 MW avvenuta nel 2009 e dei secondi 500 MW di potenza nel 2011 sono proprio coincisi con gli anni di chiusura definitiva delle attività industriali massimamente energivore della Sardegna, consentendo quindi l’esportazione di energia per circa 3.000-3.600 MWh annui, tanto quanto veniva a suo tempo assorbita dalle produzioni industriali ora chiuse.
La mobilità sostenibile
La mobilità sostenibile è rappresentata oggi dall’uso di macchine elettriche, ibride, a biofuel, a celle a combustibile, a idrogeno.
Detto questo, bisogna guardare con favore alla diffusione e all’incentivazione della mobilità elettrica pur di riconoscere i vantaggi e gli svantaggi insiti in tale tecnologia, come in tutte le tecnologie, almeno nelle prime fasi di sviluppo e implementazione pratica su grande scala.
Quando si parla di contributo alla diminuzione dell’inquinamento, per esempio, bisogna intendersi perché se è vero che l’uso del motore elettrico evita l’inquinamento dei motori a benzina o diesel permettendo con tale scelta l’abbattimento della produzione dell’inquinamento e della CO2 soprattutto in ambito urbano, è altrettanto vero che l’inquinamento viene spostato sul lato della produzione dell’energia elettrica con cui si alimentano le auto che continua ad essere in maggior parte dovuta all’uso di combustibili fossili come petrolio e suoi derivati e gas.
Un altro problema non sufficientemente trattato dal main stream mediatico riguarda lo smaltimento delle batterie, soprattutto se pensiamo ai grandi numeri costituiti da circa 1,3 miliardi di auto circolanti nel mondo da riconvertire all’elettrico, ancorché in prospettiva ci saranno metodi di progettazione e realizzazione delle batterie come di tutti gli altri manufatti costruiti dall’uomo che prevederanno già il riuso e lo smaltimento delle sole parti non più recuperabili nel ciclo economico produttivo e di consumo.
Detto questo, vediamo cosa caratterizza un’auto elettrica, ovvero la sua batteria che oggi è costituita soprattutto dalla tecnologia del litio, come già avvenuto nell’ultimo decennio per le batterie dei cellulari.
La batteria è un dispositivo che converte l’energia chimica in energia elettrica che si trasforma a sua volta in energia meccanica permettendo il movimento del veicolo.
Questo processo avviene all’interno del dominio lineare per cui si tratta di un processo reversibile.
Ciò significa che non c’è bisogno di altro carburante se non di una ricarica elettrica della batteria quando raggiunge un valore soglia, tipicamente il 15% della carica, esattamente come avviene per i cellulari che ci avvisano quando c’è bisogno che vengano rimessi in carica.
Qui ricordiamo che ci sono tre componenti principali chiamati anodo, catodo ed elettrolita che consentono di avere un flusso di elettroni dall’anodo verso il catodo.
Nelle batterie delle auto a ioni di litio il catodo è costituito dal carbonio e l’elettrolita, inizialmente di tipo liquido come nelle vecchie batterie, è stato sostituito da un elettrolita solido perché garantisce prestazioni più elevate ed una maggiore durata della carica che a sua volta permette una più lunga percorrenza in totale autonomia.
Oggi sono presenti sul mercato auto che garantiscono fino a 1000 km di autonomia.
L’uso delle auto elettriche nella mobilità non genera CO2, mentre continua ad essere generata nelle auto ibride ancorché in forma ridotta perché si ha la coesistenza di un motore termico, alimentato a benzina o gas o biofuel, con uno elettrico e questo mix consente comunque di aumentare notevolmente il rendimento del motore complessivamente inteso, misurato per semplicità in km percorsi per litro di carburante.
Una maggior percorrenza media a parità di carburante consumato si riverbera sempre e comunque in una sostanziale diminuzione dei grammi di CO2 prodotti per ogni km percorso. Questo è particolarmente significativo nei percorsi urbani che costituiscono il circuito di massima utilizzazione delle auto e contemporaneamente di massimo inquinamento ambientale ed atmosferico prodotti.
Per la diffusione delle auto elettriche vanno create le infrastrutture a livello urbano e territoriale principalmente con la costruzione di una rete di colonnine di ricarica che ad oggi è assente. Su questo specifico aspetto possono giocare un ruolo importante le istituzioni pubbliche, oltre alle imprese e ai privati cittadini, specialmente nell’ottica della creazione massiccia di Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e Comunità Energetiche di Cittadini (CEC).
Sulla mobilità sostenibile, specialmente su lunghi percorsi o in ambito del trasporto pubblico locale oppure nei treni, è particolarmente interessante la tecnologia delle celle a combustibile e dell’idrogeno verde, quello cioè che si può ottenere dall’elettrolisi dell’acqua mediante energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
In definitiva se pensiamo alla Sardegna si può e si deve prendere atto che abbiamo tutto per poter programmare e realizzare un ecosistema energetico produttivo e di consumo sostenibile basato sul 100% di rinnovabile.
Sardegna sostenibile e totalmente rinnovabile
Secondo uno studio commissionato dal WWF e realizzato dall’Università di Padova e dal Politecnico di Milano, entro il 2050 la Sardegna può ambire a diventare un’isola a energia totalmente rinnovabile, abbandonando il carbone e creando dai 4mila ai 9mila posti di lavoro. Lo studio “Una valutazione socio-economica dello scenario rinnovabili per la Sardegna” ipotizza lo scenario di chiusura degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati a carbone entro il 2025, e la decarbonizzazione dell’intero sistema energetico al 2050, evitando nuovi investimenti in combustibili fossili.
Il medesimo studio prevede una quantificazione economica per il raggiungimento della piena sostenibilità con un investimento di circa 4 miliardi di euro entro il 2030 e di 20 miliardi nelle due decadi successive.
Risorse comunque accessibili, anche in considerazione del notevole risparmio delle famiglie sarde che troverebbero in questo progetto di sviluppo un valido modo alternativo di impiego.
Per mantenere in sicurezza il sistema elettrico sardo, l’analisi ipotizza due scenari di transizione al 2025-2030, senza prevedere investimenti nel metano: sviluppo di impianti di pompaggio per una capacità complessiva di 550 MW o sviluppo di generazione a idrogeno verde associata a impianti di accumulo del vettore stesso. Le simulazioni suggeriscono che la dismissione degli impianti a carbone sardi non deve essere necessariamente accompagnata dalla realizzazione di nuovi impianti termoelettrici a metano, ma può essere sostituita da nuovi impianti di pompaggio o nuovi impianti Power-To-Hydrogen.
La realizzazione degli scenari al 2030 necessiterebbe di circa 3-4 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2021-2030, mentre per lo scenario di neutralità climatica al 2050, gli investimenti addizionali richiesti sono stati valutati in circa 18-20 miliardi di euro. Di notevole importanza anche le ricadute economiche e occupazionali: al 2030 gli occupati diretti nel settore delle rinnovabili potrebbero ammontare a circa 3.000-4.000 unità a seconda delle diverse configurazioni, per arrivare al 2050 a circa 8.000-9.000 unità.
Anche l’Enel si è proposta di decarbonizzare l’isola con un orizzonte della potenziale neutralità climatica anticipato al 2030.
Personalmente credo che sia possibile raggiungere la neutralità climatica tra 15-20 anni, pur di volerlo fare veramente: le possibilità ci sono tutte.
E le risorse economiche necessarie possono essere calcolate in maniera sufficientemente attendibile sulla base dei seguenti dati certi.
La realizzazione di un MW di impianto fotovoltaico a concentrazione, del tipo a inseguitori solari su uno o due assi, comprensivo di un’adeguata dotazione di accumulo, per i grandi impianti ha un costo stimato di 650.000 euro.
Lo stesso costo unitario si può ritenere sufficiente per costruire un MW di eolico offshore o su suolo.
Rispetto ai bisogni energetici della Sardegna, la produzione da fonte rinnovabile è già oggi al 40%, ben al di sopra degli obiettivi stabiliti dall’Europa e dal piano nazionale.
Per il pieno soddisfacimento della richiesta energetica bisogna realizzare impianti in grado di produrre 5000 GWh. Come semplice esemplificazione, questo risultato si può ottenere in prima battuta con con 2,5 GW di impianti fotovoltaici a concentrazione e accumulo (ipotizzando 2000 ore annue di funzionamento) che, sulla base dei costi su indicati, richiederebbero un investimento di circa 16 miliardi di euro oppure con un mix di eolico e fotovoltaico perché considerato l’attuale numero e livello degli invasi idrici e degli impianti energetici già presenti, non si intravedono potenziali significativi nuovi impianti realizzabili da fonte idroelettrica.
Come si vede si tratta di un valore degli investimenti abbastanza allineato alle conclusioni dello studio ricordato all’inizio.
Le risorse presenti nell’isola permettono di traguardare anche la possibilità di generare ulteriore energia fino alla produzione attuale che viene esportata, pur di programmare bene gli interventi e facendo in modo che ci siano un effettivo protagonismo e condivisione da parte delle comunità locali, delle imprese sarde e delle istituzioni pubbliche.
Alcune considerazioni possono essere estese alla diffusione e al massiccio utilizzo delle pompe di calore per la climatizzazione degli edifici ad uso civile, industriali e dei servizi, anche come sostituzione delle caldaie a gas oggi esistenti.
Guardando alle città, già oggi nel territorio isolano c’è un’alta percentuale di elettrificazione dei consumi degli edifici, circa il 42%, ben 16 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale. C’è inoltre un ampio spazio per aumentare questa percentuale con la possibilità di sostituire consumi per circa 1,3 TWh di GPL (il TWh, o Terawattora, equivale a mille miliardi di Watt all’ora o a un miliardo di Chilowattora) e 0,8 TWh di gasolio.
Quanto alla mobilità, sul territorio sardo circolano circa 1,1 milioni di auto, con consumi per circa 6 TWh, con percorrenze basse rispetto alla media italiana che facilitano il processo di passaggio alla mobilità elettrica.
Oggi una famiglia, calcolando sistemi tradizionali per riscaldamento, acqua calda, cucina e mobilità, consuma complessivamente circa 15 Megawattora l’anno, spende poco più di 2.000 euro e produce 3,7 tonnellate di CO2 in dodici mesi.
La stessa famiglia “elettrificata” con pompe di calore, forni a induzione e auto elettriche consumerebbe 5 Megawattora, con un costo di 1.100 euro e una produzione di 600 chili di CO2, con un taglio delle emissioni pari all’80%.
Si calcola che la produzione dell’energia attraverso la transizione diretta a un sistema basato su rinnovabili e accumuli sia in grado di ridurre dell’80% l’intensità delle emissioni. Per fare questo la strada da percorrere è abbastanza semplice: partire subito con lo sviluppo delle rinnovabili, ulteriore collegamento alla rete elettrica nazionale peraltro già previsto da Terna con altra capacità trasmissiva di 1000-1500 MW, chiusura delle centrali a carbone e prospettiva di chiudere anche con l’uso del gas entro i prossimi 20 anni.
Perché chiudere col gas?
Perché il gas rappresenta il passato e va rifiutato con ogni mezzo dai sardi.
Un comportamento diverso avallerebbe ancora di più lo svuotamento delle prerogative stabilite dal nostro Statuto e previste dalla Costituzione.
Per la defossilizzazione dei processi produttivi e dei consumi nel pianeta
Per un modello energetico sardo sostenibile e rinnovabile
DI FERNANDO CODONESU
No alla proposta di inserire nucleare e gas nella tassonomia verde dell’Europa
La sostenibilità, la transizione ecologica ed energetica si realizzano con un modello energetico costituito solo dalle rinnovabili, sia per l’Italia sia, e a maggior ragione, per la Sardegna che oggi è tenuta all’amo della canna del gas.
Quando la Commissione Europea, cedendo alle forti pressioni delle lobbies industriali dell’oil&gas e della Francia sul nucleare, propone di riclassificare l’energia nucleare e il gas come fonti rinnovabili, ancorché quest’ultimo visto come combustibile di transizione, rinnega almeno due decenni di decisioni e direttive in campo energetico di orientamento opposto.
Si tratta di decisioni da respingere con fermezza perché frutto di una vera e propria provocazione contro il buon senso e l’intelligenza dei popoli europei.
Accettandole, non solo la Commissione ma tutti noi europei faremmo un errore madornale con ripercussioni difficili da prevedere e un percorso difficile da invertire una volta intrapreso perché di fatto si rischia di negare nei fatti ogni possibile transizione.
C’ è bisogno di una transizione ecologia ed energetica in una prospettiva di sostenibilità per il pianeta, sostenibilità fisica, economica e sociale, come condizione necessaria per la continuazione della specie homo sapiens sulla terra.
Il problema, si badi bene, non è il pianeta in sé che può fare benissimo a meno di noi umani, ma di noi umani che non possiamo sopravvivere fuori da questo pianeta.
E’ per questo motivo che dobbiamo essere sempre più convinti della necessità di questa transizione e ci dobbiamo organizzare con tutte le nostre migliori energie intellettuali, politiche e culturali per perseguire con la massima determinazione il processo di transizione, a partire da ora perché il tempo a disposizione è sempre più limitato.
In questo processo di necessaria transizione ecologica ed energetica per la sostenibilità di tutti i processi produttivi e di consumo sulla terra, il ruolo dell’Europa è insostituibile: come parte culturalmente determinante degli equilibri mondiali, riconosciuti in questo periodo storico non tanto per essere una potenza politico militare e tecnologica, cosa di cui ci sarebbe comunque bisogno per avere un’incidenza ancora maggiore nello scacchiere internazionale, quanto per la sua innegabile dimostrata capacità regolatoria, con produzione di direttive e normative fatte proprie in altri posti del mondo fuori dal territorio di tutti i paesi che oggi fanno parte dell’Unione europea.
E’ a partire da questa considerazione che bisogna escludere dalla nuova tassonomia energetica suggerita dalla Commissione europea il capitolo del nucleare e quello del gas che sono e restano componenti del mondo fossile, indipendentemente dalle nuove riclassificazioni.
Il nucleare di “nuova generazione” di cui si parla, infatti, continua ad essere il nucleare da fissione di Chernobyl e Fukuschima Dai-ihi e non quello da fusione, sulla cui ricerca auspichiamo con convinzione maggiori finanziamenti.
Quanto al gas, certo presenta dei vantaggi nel rapporto C02/kWh rispetto al carbone e agli altri derivati del petrolio utilizzati come combustibile nelle centrali elettriche, ma è sempre un combustibile fossile a termine.
Così come si è indicata una data per la decarbonizzazione che, però, non è vincolante e gli Stati possono continuare a spostarla nel tempo, andrebbe con altrettanta determinazione e lungimiranza indicare una data ultima per l’utilizzo del gas, senza bisogno alcuno di colorarlo di “verde” giacché verde non è.
Se le indicazioni tassonomiche venissero accettate avrebbe ragione su tutta la linea la giovane Greta Thunberg: gli impegni solenni dei consessi internazionali come le COP si riducono solo alla passerella dei potenti del mondo e allo sciorinamento del bla, bla, bla di turno.
Si potrebbe facilmente dire che il moloch è invincibile o, per lo meno, che gli impegni continuamente proclamati da tutti gli Stati aderenti sotto l’egida della massima organizzazione sovranazionale costruita nell’immediato dopoguerra, l’ONU, dal primo incontro/conferenza di Rio de Janeiro all’ultimo di Glasgow, le cosiddette COP oramai giunte alla ventiseiesima edizione, non hanno prodotto alcun risultato concreto.
Solo impegni formali, totalmente disattesi, anche perché frutto di compromessi al ribasso con indicazione di obiettivi scritti solo sulla carta, senza intenzione alcuna di verificarli nel tempo. Infatti gli Stati continuano ad essere sovrani nelle loro decisioni attuative, e con nessuna sanzione prevista per gli Stati inadempienti.
E intanto la folle corsa verso il disastro continua e avanza con un’accelerazione crescente.
Il vecchio equilibrio sulla reversibilità dei processi che si attuano nel nostro piccolo pianeta garantito da un percentuale massima di CO2 in atmosfera pari a 360 ppm (parti per milione), rilevato ancora negli anni ’70 del secolo scorso è stato superato da tempo.
Per farci un’idea più precisa di cosa stiamo parlando, nei due grafici seguenti vengono riportati i valori di CO2 in atmosfera in un periodo remoto a partire dall’ultima glaciazione e dal 1960 ad oggi.
Ora siamo a 419 ppm. Per un grande numero di climatologi e studiosi vari dei cambiamenti climatici dal punto di vista fisico, chimico, economico e sociale si tratta di un numero fuori portata, impossibile da riportare indietro.
Eppure questa lettura, pur giustificabile, a me pare troppo negativa e per certi aspetti paralizzante perché condurrebbe alla conclusione che non si può far nulla per fermare questa deriva a causa sia della disparità delle forze in campo sia, quanto meno, dell’asimmetria informativa tra i diversi attori presenti nello scacchiere internazionale.
Personalmente non la vedo così.
Nel bene e nel male, gli attori principali dei processi in atto nel pianeta sono gli uomini e ciò che viene fatto dall’uomo può essere sempre rivisto, rimodellato, corretto e riprogettato da capo.
Questo è però possibile solo se ci si rende conto che i processi economici e sociali in campo non sono facilmente interrompibili e che alcune decisioni che andrebbero prese, proprio per le scale in gioco, che a questi livelli sono sempre su scala sovranazionale, richiedono risorse, accordi e tempistiche adeguate.
E per garantire il rispetto degli accordi che via via vengono sottoscritti sono necessari sempre adeguati meccanismi sanzionatori ad oggi inesistenti.
Sui prezzi dell’energia e del gas
L’aumento vertiginoso del prezzo dell’energia elettrica e del gas dipende dalla congiuntura geopolitica che stiamo attraversando, a sua volta amplificata in parte strumentalmente dalla persistenza e diffusione in ogni parte del mondo della pandemia da Covid-19 con le sue varianti, ma l’andamento di questi prezzi non ha alcun rapporto né con l’energia nucleare (infatti la importiamo dalla Francia e i prezzi dell’energia non diminuiscono) né con l’aiuto delle navi gasiere statunitensi che hanno dato un minimo di respiro all’Europa sulla vicenda dei prezzi energetici in questi ultimi due mesi.
In effetti basterebbe conoscere il meccanismo di determinazione del prezzo dell’energia elettrica che è funzionalmente dipendente dall’aumento all’origine del prezzo di alcune materie prime “fossili”, come il petrolio e il gas, ancorché matematicamente ribaltati su un lasso di tempo trimestrale o semestrale per attutirne l’estrema volatilità.
Al riguardo è illuminante la lettura del comunicato stampa di ARERA, Autorità di Regolazione per l’energia Reti e Ambiente, diramato il 30/12/2021 che ha definito gli aumenti previsti nel I trimestre 2022 per la materia energia e gas, rispettivamente del 55% per l’energia elettrica e del 41,8% per il gas.
Dice ARERA “Tali aumenti, di entità eccezionale e che seguono quelli già occorsi nel III e nel IV trimestre 2021, riflettono il trend di forte crescita delle quotazioni internazionali delle materie prime energetiche e del prezzo della CO2.
In particolare, il prezzo spot del gas naturale al TTF (il mercato di riferimento europeo per il gas naturale stabilito in Olanda) è aumentato, da gennaio a dicembre del 2021, di quasi il 500% (da 21 a 120 €/MWh nei valori medi mensili); nello stesso periodo, il prezzo della CO2 è più che raddoppiato (da 33 a 79 €/tCO2). La crescita marcata dei costi del combustibile e della CO2 si è riflessa, quindi, nel prezzo dell’energia elettrica all’ingrosso che, nello stesso periodo, è aumentato di quasi il 400% (da 61 a 288 €/MWh nei valori medi mensili).”
Si tratta, perciò, di aumenti dovuti a problemi geopolitici internazionali che si riverberano nei prezzi in quanto il nostro mix produttivo dipende in larga parte da fonti fossili di produzione extra nazionale.
E’ da qui che nasce l’aumento dei prezzi dell’energia e non certo come effetto indesiderato del COVID-19 e questo aumento in larghissima parte si è verificato e continua a verificarsi non solo in Italia, ma nella maggior parte dei paesi europei che dipendono energeticamente dall’estero, a partire dall’onnipresente gas russo.
Per quanto riguarda il nostro paese l’aumento così significativo del prezzo dell’energia dipende anche dalle scelte fatte nei decenni precedenti che non hanno visto un adeguato sviluppo delle fonti rinnovabili da parte di famiglie e imprese italiane, pur a fronte di incentivi più che generosi messi in campo dai governi della prima decade degli anni 2000, al punto che in Italia c’è stato l’arrivo dei “Lanzichenecchi” per l’accaparramento di incentivi che garantivano un rendimento economico del 12-15% a fronte di un costo del denaro del 5%.
Insomma, eravamo nelle condizioni di sviluppare un’industria del vento e del solare e non siamo stati capaci neanche di far tesoro degli incentivi messi a disposizione dai governi di quel periodo che sono andati a vantaggio di grandi gruppi, spesso multinazionali e non delle famiglie, delle imprese o dei nostri territori.
Ma non tutto è perduto, i giochi sono ancora aperti e vi può essere un nuovo e più decisivo protagonismo da parte delle comunità locali, cittadini e imprese, a tutte le latitudini dell’Italia.
Investire sulle rinnovabili in Italia
Per approfondire l’argomento torniamo pure sul tema concreto dell’energia, tanto più dibattuto e discusso in questo ultimo periodo di aumenti del prezzo dell’energia elettrica e del gas, con conseguente aumento vertiginoso delle bollette per famiglie e imprese.
Secondo il Sole 24 ore ”riposano indisturbati almeno 90 miliardi di mc di metano nel territorio italiano”. Secondo uno studio presentato al dibattito sul PiTESAI (Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee) dall’Assorisorse, che riunisce le industrie minerarie, per raddoppiare la produzione di gas nelle aree dell’Emilia Romagna e dell’Adriatico bisognerebbe investire circa 322 milioni per raddoppiare da 800 milioni di mc a 1,6 miliardi di mc estratti. Per estrapolazione, si può ipotizzare di investire circa 2 miliardi di euro all’anno per estrarre circa 2 miliardi di mc all’anno per 10 anni, portando quindi la stima delle nostre disponibilità di gas nel sottosuolo a circa 100 miliardi di metri cubi.
Le stime sono realistiche, ma una scelta del genere è da definire folle alla luce di tutti i discorsi e gli impegni sottesi dalla parola “sostenibilità” e dal famoso e fumoso PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.
E’ folle perché un investimento di quel tipo non garantirebbe nulla sulla reale diminuzione del prezzo dell’energia, a meno di cambiare radicalmente le modalità di attribuzione dei prezzi nel mercato energetico italiano, mentre si sarebbe ben più garantiti se un tale investimento venisse programmato nella realizzazione di impianti di energia rinnovabile, l’unica scelta saggia che può condurre in un orizzonte temporale di due-tre decenni all’indipendenza energetica del nostro Paese, che dipende quasi interamente dall’estero, così come per l’intera Europa.
Nelle tabelle che seguono vengono riportati i dati degli impianti di energia da fonte rinnovabile presenti in Italia alla data del 31 ottobre 2021, suddivisi per tipologia [Bionergie, Eolica, idroelettrico, Solare] e per fasce di potenza.
I due miliardi all’anno stimati come necessari da dedicare al gas, secondo il ministro Cingolani, andrebbero più utilmente dedicati alla realizzazione di impianti da energia rinnovabile in grado di colmare il deficit con l’estero nei prossimi cinque anni.
Assumendo ipotesi di lavoro conservative che conducono a stimare il numero di ore di funzionamento annuo pari a 1500 i nuovi impianti solari da realizzare, una potenza di 21-22 GW sarebbe sufficiente per raggiungere l’obiettivo di evitare il ricorso alle forniture di energia dall’estero.
Si tenga conto che l’eolico offshore, quello in mare, da realizzare a distanze significative dalle coste permetterebbe in alcune latitudini particolarmente ventose di avere 2500 ore di funzionamento annuo. Un adeguato mix almeno di queste due tecnologie con il necessario corredo della programmabilità garantita dai sistemi fisico-chimici di accumulo, permetterebbe all’Italia di imboccare un percorso virtuoso verso il modello sostenibile di cui si parla da tempo.
I due miliardi all’anno stimati come necessari da dedicare al gas, secondo il ministro Cingolani, andrebbero più utilmente dedicati alla realizzazione di impianti da energia rinnovabile in grado di colmare il deficit con l’estero nei prossimi cinque anni.
Assumendo ipotesi di lavoro conservative che conducono a stimare il numero di ore di funzionamento annuo pari a 1500 i nuovi impianti solari da realizzare, una potenza di 21-22 GW sarebbe sufficiente per raggiungere l’obiettivo di evitare il ricorso alle forniture di energia dall’estero.
Si tenga conto che l’eolico offshore, quello in mare, da realizzare a distanze significative dalle coste permetterebbe in alcune latitudini particolarmente ventose di avere 2500 ore di funzionamento annuo. Un adeguato mix almeno di queste due tecnologie con il necessario corredo della programmabilità garantita dai sistemi fisico-chimici di accumulo, permetterebbe all’Italia di imboccare un percorso virtuoso verso il modello sostenibile di cui si parla da tempo.
L’andamento dei prezzi dell’energia elettrica e del gas
Nel documento di aggiornamento dei prezzi relativi alle condizioni del mercato tutelato dell’energia nel I trimestre del 2022, pubblicato in data 30 dicembre 2021 da parte di ARERA (Autorità di regolazione per energia reti e ambiente) si leggono le seguenti informazioni:
“Energia elettrica – Nel primo trimestre 2022 si registrerà un aumento del costo per l’energia elettrica per la famiglia tipo con una variazione della spesa complessiva del 55% rispetto al trimestre precedente.
Gas naturale – Nel primo trimestre 2022 si registrerà un aumento del prezzo del gas naturale per la famiglia tipo, con una variazione della spesa complessiva del +41,8% rispetto al trimestre precedente”.
Tanto per citare un esempio di paese che, anche nella congiuntura economica che si sta vivendo a causa della pandemia da COVID 19, non ha visto oscillazioni nel prezzo dell’energia si citano gli USA in quanto paese totalmente indipendente sotto il profilo energetico e ora anche grande esportatore di gas. Al riguardo si cita la recente attività di fornitura americana via nave di gas naturale verso l’Europa che ha consentito di mitigare temporaneamente la quasi totale dipendenza dal gas russo.
Le caratteristiche del territorio italiano consentirebbero di raggiungere la piena autonomia energetica pur di investire adeguatamente in impianti di energia rinnovabile programmabile perché ci sono le risorse economiche, tecnologiche e umane in grado di realizzare un simile modello di generazione e distribuzione dell’energia.
Un modello energetico sostenibile totalmente rinnovabile per la Sardegna
In Sardegna ci sono ancora le condizioni per realizzare un sistema energetico sostenibile, costituito da impianti di produzione da fonte totalmente rinnovabile che rendano sostenibili anche i consumi a valle.
Al riguardo andrebbe fatto qualche ragionamento con il conforto dei dati e ipotizzando una progettualità concreta, indicandone la fattibilità, quantificandone le risorse necessarie, i luoghi fisico geografici di ubicazione, le fasi temporali e i soggetti che concretamente potrebbero attuarlo.
In questo contesto, assume particolare rilevanza il concetto di comunità energetica. Queste possono essere realizzate praticamente dal livello condominiale a quello comunale, provinciale e quindi regionale, pur di perfezionare anche mediante opportune integrazioni della legislazione quanto previsto attualmente dalle norme di riferimento.
Al riguardo, la regione Sardegna è nelle condizioni ideali per diventare una unica comunità energetica regionale: ci sono le condizioni strutturali, normative e tecniche che permettono di realizzarla.
Le condizioni strutturali sono insite nella nostra insularità e principalmente nelle caratteristiche del nostro sistema elettrico regionale che vede ad oggi una capacità produttiva di circa il 42% dei nostri consumi di energia elettrica prodotta da impianti di energia rinnovabile.
Le altre condizioni strutturali si riferiscono alla sovrabbondanza di specifiche aree marginali, di tipo industriale e contermini, di vaste aree soggette a servitù militari (almeno 10 mila ettari utilizzabili per produrre energia da fonte solare), di tetti non solo in ambito urbano ma nelle oltre 250 mila abitazioni presenti nelle coste sarde che vengono utilizzate nel migliore dei casi per uno o due mesi all’anno.
Insomma, si potrebbe completare la dotazione delle rinnovabili con tecnologie programmabili per avere l’intero fabbisogno, compreso quello termico e per la mobilità da fonte rinnovabile, senza altro consumo di suolo.
Le condizioni normative risiedono nelle competenze attribuite alla Regione Sardegna dallo Statuto e dalla Costituzione.
Si ricorda, al riguardo, l’articolo 4 del nostro Statuto: “ … la Regione emana norme legislative sulle seguenti materie: … e) produzione e distribuzione di energia elettrica;
Art. 13: Lo Stato col concorso della Regione predispone un piano organico per favorire la rinascita economico e sociale dell’isola;
Art. 14: La Regione, nell’ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo.
Quest’ultimo articolo è particolarmente importante in un processo di ridimensionamento della presenza dei poligoni militari in Sardegna e di un utilizzo di vaste aree per fini di pace.
L’articolo 117 della Costituzione, in seguito alla modifica del Titolo V del 2001, dispone:
“Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: …. ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi; …. produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; …
Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.
Le condizioni tecniche sono riferite alle capacità di progettazione e realizzazione di sistemi di produzione e distribuzione di energia elettrica da qualunque fonte rinnovabile, alla presenza di facoltà universitarie dedicate, alla presenza di istituti di ricerca, reti di professionisti e, per gli i risvolti diretti sui nostri territori alla presenza di alcune comunità energetiche ampiamente operative da sempre nella nostra isola (alcune sono passate indenni dal processo di nazionalizzazione dell’energia elettrica dei primi anni ’60 del secolo scorso, come i Comuni di Benetutti e Berchidda).
Vi sono ora anche alcune altre Comunità Energetiche Rinnovabili come quelle di Villanovaforru, Ussaramanna e altre si stanno costruendo anche con il ricorso a forme cooperativistiche tra cittadini.
Dal punto di vista giuridico e normativo le comunità energetiche poggiano sulla Direttiva UE 2018/2001, in cui sono riportate le definizioni di autoconsumo collettivo e di Comunità di Energia Rinnovabile (CER) e sulla direttiva sul mercato interno dell’energia elettrica, Direttiva UE 2019/944, che definisce la Comunità Energetica dei Cittadini (CEC).
Entrambe le Direttive definiscono la comunità energetica come un “soggetto giuridico” fondato sulla “partecipazione aperta e volontaria”, il cui obiettivo principale è il raggiungimento di benefici ambientali, economici e sociali per i suoi membri o soci o del territorio in cui opera.
La CER si basa sul principio di autonomia tra i membri e sulla necessità di prossimità con gli impianti di generazione. Questo tipo di comunità può gestire tutte le forme dell’energia, elettricità, calore e gas, purché siano generate da fonte rinnovabile; la CEC, di contro, non prevede i principi di autonomia e prossimità e può gestire solo l’energia elettrica, ma è ammessa anche la produzione da fonte fossile.
Il recepimento delle suddette direttive europee da parte degli Stati a Direttiva di istituzione delle CEC è il 31 dicembre 2020, mentre per la CER la data di recepimento era fissata al 30 giugno 2021.
Ad oggi, la regolamentazione italiana in materia di autoconsumo collettivo e comunità risiede nell’articolo 42-bis del Decreto Milleproroghe convertito nella legge n. 8/2020 del 29 febbraio 2020.
Secondo tale articolo, l’autoconsumo collettivo è costituito da una pluralità di consumatori ubicati all’interno di un edificio in cui è presente uno o più impianti alimentati esclusivamente da fonti rinnovabili.
La disposizione relativa alle comunità energetiche prevede che i soggetti che vi partecipano devono produrre energia destinata al proprio consumo con impianti alimentati da fonti rinnovabili di potenza non superiore a 200 kW. Per condividere l’energia prodotta, gli utenti possono utilizzare sia reti di distribuzione già esistenti, tipicamente in bassa tensione, come utilizzare forme di autoconsumo virtuale.
Queste realtà economiche, culturali e sociali, dal nostro punto di vista, vanno prese come esempio e possono essere replicate su scala più ampia fino ad arrivare ad un processo politico economico in grado di coinvolgere tutti i Comuni della Sardegna: è questa la sfida che dovrebbe essere raccolta coralmente da tutte le forze politiche sarde e dalla società civile.
Un progetto politico, culturale, economico, sociale e tecnologico di questa portata richiede uno sguardo lungo, non di parte, soprattutto una responsabilità politica bipartisan giacché in Sardegna quasi tutto ruota intorno alla politica, se si vuole riempire di contenuti ogni discorso sulla sostenibilità, sui programmi e progetti del PNRR e sulla necessità di intervenire significativamente contro il caro energia.
Ci si riferisce naturalmente ad ogni forma di energia, elettrica, termica e frigorifera in tutti i settori di utilizzo: industria, civile e mobilità.
La Sardegna
Ai dati sugli impianti presenti in Italia e a quanto discusso nelle pagine precedenti associamo tre grafici ottenuti da fonte Terna nelle statistiche consolidate del 2020 riguardanti gli impianti, la richiesta di energia in Sardegna e i consumi per settore di utilizzazione e provincia.
Grafico dei consumi dal 1973 al 2020
L’andamento dei consumi ci permette di osservare che in Sardegna si è avuta una crescita lineare caratterizzata da un pendenza positiva costante dal 1983 al 2000, ancora sostenuta fino a metà degli anni 2000, per poi presentare una diminuzione continua fino al 2016.
Se analizziamo l’andamento dei consumi per settori di utilizzazione qui riportati solo nell’anno 2020, questo si presenta con andamento costante per il periodo 1997/2016 nel settore domestico con una sensibile crescita nel settore terziario e agricolo.
Il picco complessivo dei consumi può essere letto nel grafico intorno al 2010.
Il declino dei consumi industriali va di pari passo con la chiusura e dismissione delle industrie dei poli industriali isolani, un tempo di proprietà della partecipazioni statali e poi in parte vendute ad alcune multinazionali.
Il grafico dei consumi ci dice qualcosa di particolarmente interessante sul fronte delle esportazioni. Infatti, al netto del collegamento con la Corsica attraverso il vecchio cavo SACOI (SArdegna-COrsica-Italia) da 300 MW di potenza, stabili fino al 2005 e poi cresciute fino a raddoppiare nel 2017 a seguito del rafforzamento della capacità di trasporto del cavo SAPEI (SArdegna-PEnisola Italiana), vedono la Sardegna importare energia fino al 2001 per poi diventarne esportatore netto, con una crescita verticale dovuta sia all’entrata del cavo già detto che ha una capacità di 1000 MW di potenza e soprattutto alla forte presenza di grandi impianti di energia rinnovabile da eolico e solare fotovoltaico.
L’andamento del grafico delle esportazioni nel tempo consente di affermare che gli anni della messa in esercizio del primo cavo SAPEI da 500 MW avvenuta nel 2009 e dei secondi 500 MW di potenza nel 2011 sono proprio coincisi con gli anni di chiusura definitiva delle attività industriali massimamente energivore della Sardegna, consentendo quindi l’esportazione di energia per circa 3.000-3.600 MWh annui, tanto quanto veniva a suo tempo assorbita dalle produzioni industriali ora chiuse.
La mobilità sostenibile
La mobilità sostenibile è rappresentata oggi dall’uso di macchine elettriche, ibride, a biofuel, a celle a combustibile, a idrogeno.
Detto questo, bisogna guardare con favore alla diffusione e all’incentivazione della mobilità elettrica pur di riconoscere i vantaggi e gli svantaggi insiti in tale tecnologia, come in tutte le tecnologie, almeno nelle prime fasi di sviluppo e implementazione pratica su grande scala.
Quando si parla di contributo alla diminuzione dell’inquinamento, per esempio, bisogna intendersi perché se è vero che l’uso del motore elettrico evita l’inquinamento dei motori a benzina o diesel permettendo con tale scelta l’abbattimento della produzione dell’inquinamento e della CO2 soprattutto in ambito urbano, è altrettanto vero che l’inquinamento viene spostato sul lato della produzione dell’energia elettrica con cui si alimentano le auto che continua ad essere in maggior parte dovuta all’uso di combustibili fossili come petrolio e suoi derivati e gas.
Un altro problema non sufficientemente trattato dal main stream mediatico riguarda lo smaltimento delle batterie, soprattutto se pensiamo ai grandi numeri costituiti da circa 1,3 miliardi di auto circolanti nel mondo da riconvertire all’elettrico, ancorché in prospettiva ci saranno metodi di progettazione e realizzazione delle batterie come di tutti gli altri manufatti costruiti dall’uomo che prevederanno già il riuso e lo smaltimento delle sole parti non più recuperabili nel ciclo economico produttivo e di consumo.
Detto questo, vediamo cosa caratterizza un’auto elettrica, ovvero la sua batteria che oggi è costituita soprattutto dalla tecnologia del litio, come già avvenuto nell’ultimo decennio per le batterie dei cellulari.
La batteria è un dispositivo che converte l’energia chimica in energia elettrica che si trasforma a sua volta in energia meccanica permettendo il movimento del veicolo.
Questo processo avviene all’interno del dominio lineare per cui si tratta di un processo reversibile.
Ciò significa che non c’è bisogno di altro carburante se non di una ricarica elettrica della batteria quando raggiunge un valore soglia, tipicamente il 15% della carica, esattamente come avviene per i cellulari che ci avvisano quando c’è bisogno che vengano rimessi in carica.
Qui ricordiamo che ci sono tre componenti principali chiamati anodo, catodo ed elettrolita che consentono di avere un flusso di elettroni dall’anodo verso il catodo.
Nelle batterie delle auto a ioni di litio il catodo è costituito dal carbonio e l’elettrolita, inizialmente di tipo liquido come nelle vecchie batterie, è stato sostituito da un elettrolita solido perché garantisce prestazioni più elevate ed una maggiore durata della carica che a sua volta permette una più lunga percorrenza in totale autonomia.
Oggi sono presenti sul mercato auto che garantiscono fino a 1000 km di autonomia.
L’uso delle auto elettriche nella mobilità non genera CO2, mentre continua ad essere generata nelle auto ibride ancorché in forma ridotta perché si ha la coesistenza di un motore termico, alimentato a benzina o gas o biofuel, con uno elettrico e questo mix consente comunque di aumentare notevolmente il rendimento del motore complessivamente inteso, misurato per semplicità in km percorsi per litro di carburante.
Una maggior percorrenza media a parità di carburante consumato si riverbera sempre e comunque in una sostanziale diminuzione dei grammi di CO2 prodotti per ogni km percorso. Questo è particolarmente significativo nei percorsi urbani che costituiscono il circuito di massima utilizzazione delle auto e contemporaneamente di massimo inquinamento ambientale ed atmosferico prodotti.
Per la diffusione delle auto elettriche vanno create le infrastrutture a livello urbano e territoriale principalmente con la costruzione di una rete di colonnine di ricarica che ad oggi è assente. Su questo specifico aspetto possono giocare un ruolo importante le istituzioni pubbliche, oltre alle imprese e ai privati cittadini, specialmente nell’ottica della creazione massiccia di Comunità Energetiche Rinnovabili (CER) e Comunità Energetiche di Cittadini (CEC).
Sulla mobilità sostenibile, specialmente su lunghi percorsi o in ambito del trasporto pubblico locale oppure nei treni, è particolarmente interessante la tecnologia delle celle a combustibile e dell’idrogeno verde, quello cioè che si può ottenere dall’elettrolisi dell’acqua mediante energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili.
In definitiva se pensiamo alla Sardegna si può e si deve prendere atto che abbiamo tutto per poter programmare e realizzare un ecosistema energetico produttivo e di consumo sostenibile basato sul 100% di rinnovabile.
Sardegna sostenibile e totalmente rinnovabile
Secondo uno studio commissionato dal WWF e realizzato dall’Università di Padova e dal Politecnico di Milano, entro il 2050 la Sardegna può ambire a diventare un’isola a energia totalmente rinnovabile, abbandonando il carbone e creando dai 4mila ai 9mila posti di lavoro. Lo studio “Una valutazione socio-economica dello scenario rinnovabili per la Sardegna” ipotizza lo scenario di chiusura degli impianti di produzione di energia elettrica alimentati a carbone entro il 2025, e la decarbonizzazione dell’intero sistema energetico al 2050, evitando nuovi investimenti in combustibili fossili.
Il medesimo studio prevede una quantificazione economica per il raggiungimento della piena sostenibilità con un investimento di circa 4 miliardi di euro entro il 2030 e di 20 miliardi nelle due decadi successive.
Risorse comunque accessibili, anche in considerazione del notevole risparmio delle famiglie sarde che troverebbero in questo progetto di sviluppo un valido modo alternativo di impiego.
Per mantenere in sicurezza il sistema elettrico sardo, l’analisi ipotizza due scenari di transizione al 2025-2030, senza prevedere investimenti nel metano: sviluppo di impianti di pompaggio per una capacità complessiva di 550 MW o sviluppo di generazione a idrogeno verde associata a impianti di accumulo del vettore stesso. Le simulazioni suggeriscono che la dismissione degli impianti a carbone sardi non deve essere necessariamente accompagnata dalla realizzazione di nuovi impianti termoelettrici a metano, ma può essere sostituita da nuovi impianti di pompaggio o nuovi impianti Power-To-Hydrogen.
La realizzazione degli scenari al 2030 necessiterebbe di circa 3-4 miliardi di euro di investimenti nel periodo 2021-2030, mentre per lo scenario di neutralità climatica al 2050, gli investimenti addizionali richiesti sono stati valutati in circa 18-20 miliardi di euro. Di notevole importanza anche le ricadute economiche e occupazionali: al 2030 gli occupati diretti nel settore delle rinnovabili potrebbero ammontare a circa 3.000-4.000 unità a seconda delle diverse configurazioni, per arrivare al 2050 a circa 8.000-9.000 unità.
Anche l’Enel si è proposta di decarbonizzare l’isola con un orizzonte della potenziale neutralità climatica anticipato al 2030.
Personalmente credo che sia possibile raggiungere la neutralità climatica tra 15-20 anni, pur di volerlo fare veramente: le possibilità ci sono tutte.
E le risorse economiche necessarie possono essere calcolate in maniera sufficientemente attendibile sulla base dei seguenti dati certi.
La realizzazione di un MW di impianto fotovoltaico a concentrazione, del tipo a inseguitori solari su uno o due assi, comprensivo di un’adeguata dotazione di accumulo, per i grandi impianti ha un costo stimato di 650.000 euro.
Lo stesso costo unitario si può ritenere sufficiente per costruire un MW di eolico offshore o su suolo.
Rispetto ai bisogni energetici della Sardegna, la produzione da fonte rinnovabile è già oggi al 40%, ben al di sopra degli obiettivi stabiliti dall’Europa e dal piano nazionale.
Per il pieno soddisfacimento della richiesta energetica bisogna realizzare impianti in grado di produrre 5000 GWh. Come semplice esemplificazione, questo risultato si può ottenere in prima battuta con con 2,5 GW di impianti fotovoltaici a concentrazione e accumulo (ipotizzando 2000 ore annue di funzionamento) che, sulla base dei costi su indicati, richiederebbero un investimento di circa 16 miliardi di euro oppure con un mix di eolico e fotovoltaico perché considerato l’attuale numero e livello degli invasi idrici e degli impianti energetici già presenti, non si intravedono potenziali significativi nuovi impianti realizzabili da fonte idroelettrica.
Come si vede si tratta di un valore degli investimenti abbastanza allineato alle conclusioni dello studio ricordato all’inizio.
Le risorse presenti nell’isola permettono di traguardare anche la possibilità di generare ulteriore energia fino alla produzione attuale che viene esportata, pur di programmare bene gli interventi e facendo in modo che ci siano un effettivo protagonismo e condivisione da parte delle comunità locali, delle imprese sarde e delle istituzioni pubbliche.
Alcune considerazioni possono essere estese alla diffusione e al massiccio utilizzo delle pompe di calore per la climatizzazione degli edifici ad uso civile, industriali e dei servizi, anche come sostituzione delle caldaie a gas oggi esistenti.
Guardando alle città, già oggi nel territorio isolano c’è un’alta percentuale di elettrificazione dei consumi degli edifici, circa il 42%, ben 16 punti percentuali in più rispetto alla media nazionale. C’è inoltre un ampio spazio per aumentare questa percentuale con la possibilità di sostituire consumi per circa 1,3 TWh di GPL (il TWh, o Terawattora, equivale a mille miliardi di Watt all’ora o a un miliardo di Chilowattora) e 0,8 TWh di gasolio.
Quanto alla mobilità, sul territorio sardo circolano circa 1,1 milioni di auto, con consumi per circa 6 TWh, con percorrenze basse rispetto alla media italiana che facilitano il processo di passaggio alla mobilità elettrica.
Oggi una famiglia, calcolando sistemi tradizionali per riscaldamento, acqua calda, cucina e mobilità, consuma complessivamente circa 15 Megawattora l’anno, spende poco più di 2.000 euro e produce 3,7 tonnellate di CO2 in dodici mesi.
La stessa famiglia “elettrificata” con pompe di calore, forni a induzione e auto elettriche consumerebbe 5 Megawattora, con un costo di 1.100 euro e una produzione di 600 chili di CO2, con un taglio delle emissioni pari all’80%.
Si calcola che la produzione dell’energia attraverso la transizione diretta a un sistema basato su rinnovabili e accumuli sia in grado di ridurre dell’80% l’intensità delle emissioni. Per fare questo la strada da percorrere è abbastanza semplice: partire subito con lo sviluppo delle rinnovabili, ulteriore collegamento alla rete elettrica nazionale peraltro già previsto da Terna con altra capacità trasmissiva di 1000-1500 MW, chiusura delle centrali a carbone e prospettiva di chiudere anche con l’uso del gas entro i prossimi 20 anni.
Perché chiudere col gas?
Perché il gas rappresenta il passato e va rifiutato con ogni mezzo dai sardi.
Un comportamento diverso avallerebbe ancora di più lo svuotamento delle prerogative stabilite dal nostro Statuto e previste dalla Costituzione.
Per un modello energetico sardo sostenibile e rinnovabile
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Presidente Scuola di Cultura Politica