Perché è importante per le forze di sinistra acquisire un’ottica “intersezionale” per risolvere i problemi della scuola sarda. E non solo della scuola.
Il 5 Maggio scorso alla Fondazione Berlinguer a Cagliari si è tenuto un incontro dal titolo “Ascoltare e discutere. Per costruire una Sardegna migliore”, organizzato da Sinistra Futura, federazione della Sinistra sarda.
Alla presenza di un folto, attento pubblico “con le dita incrociate” per questa federazione, vari interlocutori di associazioni e formazioni di sinistra – Paola Casula, sindaca di Guasila, Simona Fanzecco, Segretaria generale CdML CGIL di Cagliari, Salvatore Corrias, Consigliere regionale PD, Alessandra Todde, Deputata M5S e Giovanni Dore, Avvocato esperto di trasporti – hanno discusso di aree interne, turismo, lavoro e sviluppo, trasporti.
Nei vari interventi attentamente moderati da Andrea Dettori, Consigliere comunale di Cagliari, è risultato evidente come i problemi del territorio risultino strettamente connessi tra loro e come aggravino il dato drammatico dell’abbandono scolastico che vede la Sardegna, tra le regioni peggiori in Italia.
I problemi territoriali descritti dai relatori mi sono sembrati legati da un fil rouge in negativo che attraversa le diverse dimensioni della povertà educativa in Sardegna.
Partiamo dal dato sull’abbandono scolastico, con una doverosa premessa.
Per misurare gli abbandoni scolastici prima dell’obbligo (in Italia fissato per legge a 16 anni) la scelta metodologica adottata a livello europeo è quello di misurare come indicatore indiretto la percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che hanno solo la licenza media. Tra questi viene incluso anche chi ha conseguito una qualifica professionale regionale di primo livello con durata inferiore ai due anni.
In Sardegna nel 2021 questa quota ha raggiunto secondo l’osservatorio Con i bambini sulla povertà educativa il 13,2% (dati su elaborazione di Openpolis consultabili alla pagina web: https://www.conibambini.org/osservatorio/abbandono-scolastico-in-italia-3-regioni-superano-ancora-i15/#:~:text=FONTE%3A%20elaborazione%20openpolis%20-%20Con%20i%20Bambini%20su,queste%2C%20altre%203%20sono%20comunque%20sotto%20quota%2010%25.). Ma la percentuale sale se si esaminano i dati della dispersione scolastica che comprende oltre all’abbandono in senso stretto, le ripetenze, il mancato raggiungimento delle competenze previste per il grado scolastico nelle rilevazioni nazionali ed internazionali. È questo il fattore che si ripercuote con più forza sulla percentuale di occupati tra i residenti tra i 15 e i 24 anni, un indicatore indiretto utile a inquadrare l’effetto degli abbandoni nel tempo. La percentuale attestata dall’Istat per il 2022 è del 27.4% (http://dati-giovani.istat.it/).
Negli interventi dei vari interlocutori la parola abbandono scolastico e diritto ad un’istruzione di qualità in Sardegna, dicevo, sono tornate più volte perché è chiaro che il problema è strutturale e sarebbe impensabile affidarne all’istituzione scolastica la
soluzione. Riguarda infatti e va collegato ad alcuni deficit del sistema scolastico in termini di spazi, servizi e tempi educativi, come mensa e tempo pieno, palestra, agibilità delle scuole ma anche a servizi pubblici la cui mancanza incide negativamente come l’assenza di biblioteche pubbliche e private, di spazi ricreativi, e l’efficienza dei trasporti locali.
Insomma ’impossibilità di avere accesso ad un’istruzione di qualità produce anche, nelle aree interne, un progressivo spopolamento. L’Istat prevede per il 2030 che nelle province con tanti bambini che vivono in aree interne tale spopolamento procederà a un ritmo molto più sostenuto. A Nuoro (prima per quota di residenti 0-2 anni in comuni periferici e ultraperiferici: 85% del totale nel 2020) i bambini nel 2030 potrebbero essere il 19,1% in meno di oggi. Nella previsione Istat delle 35 province a rischio spopolamento legato alla mancanza di servizi per la prima infanzia compaiono anche quelle del Sud-Sardegna, di Sassari e di Oristano.
Il 2030 è praticamente domani in termini di programmazione politica: un concetto che sembra non essere caro alla politica regionale, come ha ricordato la deputata Alessandra Todde.
Per le politiche pubbliche chiave per il futuro della Regione, lo scopo dovrebbe essere allora invertire la tendenza. Ovviamente nidi e altri servizi rivolti ai minori, come quelli scolastici, sono solo una parte di una strategia per fermare il declino demografico. Ma è anche dalla capacità di offrire servizi per le famiglie e i minori, su tutto il territorio regionale, che passa la sfida per interrompere il calo della natalità. Anche e soprattutto nelle aree più distanti dalle città. per esempio attraverso una rete di trasporti pubblici efficiente.
Il loop si ripete: non è difficile intravedere una stretta correlazione tra la possibilità di raggiungere la scuola più vicina da questi territori più remoti e l’abbandono scolastico. I tempi che occorrono ogni giorno per andare a scuola e tornare a casa incidono profondamente sull’apprendimento, per evidenti motivi di disagio e ancora prima per l’impossibilità di avere una gamma significativa di scelte nel passaggio dalla scuola superiore di 1^ grado a quella di 2^ grado: il Comune polo più vicino alla residenza è in genere un centro urbano che potrebbe non garantire l’offerta formativa in termini di indirizzi di studio come fanno i centri più grandi.
E torniamo così all’abbandono delle aree interne per famiglie con figli in età scolare. La mancanza di una rete di trasporti efficiente incide sulla vita quotidiana di famiglie e studenti, è una delle cause del progressivo spopolamento di intere aree, e rende più concreto anche il rischio di dispersione e di abbandono precoce della scuola.
Nella classifica dei Comuni con presenza di studenti “lontani” più di 100’ dal polo scolastico di riferimento troviamo molti comuni del nuorese Triei, Baunei, Ussassai, Lotzorai, Girasole, Tortolì.
Per approfondire la raggiungibilità delle scuole situate nei poli dai comuni più remoti, la prima cosa da fare è individuare quali comuni polo sono baricentrici per il maggior numero di giovani tra 6 e 18 anni.
Tra i 10 comuni italiani che sono associati a territori dove i più giovani vivono in comuni collocati a oltre un’ora di distanza figurano Oristano e Cagliari (dati consultabili alla pagina https://www.openpolis.it/quanto-tempo-serve-per-raggiungere-la-scuola-dai-comuni-piu-lontani/).
Per un adolescente la possibilità di spostarsi e raggiungere un comune polo non riguarda solo la scuola ma anche la vita fuori dalla scuola: la retorica della attrattività della vita nei piccoli centri nell’età adolescenziale suona piuttosto fasulla.
Nella mia esperienza di insegnamento in Sardegna ricordo con particolare vividezza due episodi legati al tema della distanza dalla “città” di studenti residenti in aree remote. Il primo è il pianto di una studentessa di Escalaplano alla fine dell’anno scolastico che aveva frequentato in un Istituto di Muravera. Le chiesi se piangesse perché non era stata ammessa alla classe successiva. Mi rispose che aveva riportato la media dell’otto in pagella ma dal giorno dopo sarebbe stata risucchiata in una sorta di vuoto esistenziale. “Tre mesi lontano da tutto”: proprio così mi disse. Il secondo è la risposta sconsolata di un ragazzo di Fluminimaggiore che frequentava un Istituto di Iglesias, con risultati piuttosto scadenti. Per cercare di capire quale fosse il problema gli chiesi come passasse il pomeriggio, posto che lo studio non rientrava nelle sue occupazioni quotidiane. Con grande superficialità azzardai un “passi il tempo al bar con gli amici? Ti vedi con la ragazza? Fai sport…” Mi rispose che dormiva tutto il pomeriggio perché si alzava ogni giorno alle sei per venire a scuola. Niente amici, niente ragazza, nessuno sport… Solo un sonno senza sogni.
Un’ultima preoccupazione per il futuro del sistema scolastico pubblico (non solo sardo) e quindi per la Sardegna e il Paese.
L’effetto delle politiche scolastiche definite comunemente “neoliberiste” degli ultimi decenni ha portato ad una sorta d’insana competizione tra gli Istituti, spinti a conquistare quote di mercato – leggi iscritti – pena periodici e drammatici tagli di personale, dimensionamenti e accorpamenti.
Queste logiche “del mercato” si sono rivelate nefaste per la scuola pubblica italiana, hanno sfarinato anzi appunto “disperso” il senso e la filosofia stessa che dovrebbe animarla se la si intende come la scuola descritta dalla Costituzione: un diritto fondamentale, volto a rimuovere non certo ad approfondire le disuguaglianze iniziali. Queste logiche e politiche invece hanno prodotto sul territorio divari tra le scuole dello stesso Comune che si sommano a quelli presenti sul territorio, poco prima accennati.
Una politica scolastica seria dovrebbe interrogarsi anche su questo aspetto: garantire a tutte le studentesse e gli studenti dello stesso ambito scolastico le stesse possibilità di scelta e di risultati andando a riannodare i fili, a tessere reti tra istituti scolastici e a creare servizi pubblici di qualità per tutte e tutti.
Il diritto ad avere un futuro migliore non può basarsi solo sulle carte che ci serve alla nascita il destino: non può passare dalla famiglia d’origine o dal posto nel quale si nasce. E sicuramente neanche dal numero del personale docente e non docente della scuola che si frequenta.
Deve passare dalla scuola e dall’accesso ai servizi e dalla loro qualità, si spera alta. E la politica, specie di sinistra, di questo si deve occupare.
Perché è importante per le forze di sinistra acquisire un’ottica “intersezionale” per risolvere i problemi della scuola sarda (di Lorella Villa, presidente CIDI-Cagliari)
Perché è importante per le forze di sinistra acquisire un’ottica “intersezionale” per risolvere i problemi della scuola sarda. E non solo della scuola.
Il 5 Maggio scorso alla Fondazione Berlinguer a Cagliari si è tenuto un incontro dal titolo “Ascoltare e discutere. Per costruire una Sardegna migliore”, organizzato da Sinistra Futura, federazione della Sinistra sarda.
Alla presenza di un folto, attento pubblico “con le dita incrociate” per questa federazione, vari interlocutori di associazioni e formazioni di sinistra – Paola Casula, sindaca di Guasila, Simona Fanzecco, Segretaria generale CdML CGIL di Cagliari, Salvatore Corrias, Consigliere regionale PD, Alessandra Todde, Deputata M5S e Giovanni Dore, Avvocato esperto di trasporti – hanno discusso di aree interne, turismo, lavoro e sviluppo, trasporti.
Nei vari interventi attentamente moderati da Andrea Dettori, Consigliere comunale di Cagliari, è risultato evidente come i problemi del territorio risultino strettamente connessi tra loro e come aggravino il dato drammatico dell’abbandono scolastico che vede la Sardegna, tra le regioni peggiori in Italia.
I problemi territoriali descritti dai relatori mi sono sembrati legati da un fil rouge in negativo che attraversa le diverse dimensioni della povertà educativa in Sardegna.
Partiamo dal dato sull’abbandono scolastico, con una doverosa premessa.
Per misurare gli abbandoni scolastici prima dell’obbligo (in Italia fissato per legge a 16 anni) la scelta metodologica adottata a livello europeo è quello di misurare come indicatore indiretto la percentuale di giovani tra i 15 e i 24 anni che hanno solo la licenza media. Tra questi viene incluso anche chi ha conseguito una qualifica professionale regionale di primo livello con durata inferiore ai due anni.
In Sardegna nel 2021 questa quota ha raggiunto secondo l’osservatorio Con i bambini sulla povertà educativa il 13,2% (dati su elaborazione di Openpolis consultabili alla pagina web: https://www.conibambini.org/osservatorio/abbandono-scolastico-in-italia-3-regioni-superano-ancora-i15/#:~:text=FONTE%3A%20elaborazione%20openpolis%20-%20Con%20i%20Bambini%20su,queste%2C%20altre%203%20sono%20comunque%20sotto%20quota%2010%25.). Ma la percentuale sale se si esaminano i dati della dispersione scolastica che comprende oltre all’abbandono in senso stretto, le ripetenze, il mancato raggiungimento delle competenze previste per il grado scolastico nelle rilevazioni nazionali ed internazionali. È questo il fattore che si ripercuote con più forza sulla percentuale di occupati tra i residenti tra i 15 e i 24 anni, un indicatore indiretto utile a inquadrare l’effetto degli abbandoni nel tempo. La percentuale attestata dall’Istat per il 2022 è del 27.4% (http://dati-giovani.istat.it/).
Negli interventi dei vari interlocutori la parola abbandono scolastico e diritto ad un’istruzione di qualità in Sardegna, dicevo, sono tornate più volte perché è chiaro che il problema è strutturale e sarebbe impensabile affidarne all’istituzione scolastica la
soluzione. Riguarda infatti e va collegato ad alcuni deficit del sistema scolastico in termini di spazi, servizi e tempi educativi, come mensa e tempo pieno, palestra, agibilità delle scuole ma anche a servizi pubblici la cui mancanza incide negativamente come l’assenza di biblioteche pubbliche e private, di spazi ricreativi, e l’efficienza dei trasporti locali.
Insomma ’impossibilità di avere accesso ad un’istruzione di qualità produce anche, nelle aree interne, un progressivo spopolamento. L’Istat prevede per il 2030 che nelle province con tanti bambini che vivono in aree interne tale spopolamento procederà a un ritmo molto più sostenuto. A Nuoro (prima per quota di residenti 0-2 anni in comuni periferici e ultraperiferici: 85% del totale nel 2020) i bambini nel 2030 potrebbero essere il 19,1% in meno di oggi. Nella previsione Istat delle 35 province a rischio spopolamento legato alla mancanza di servizi per la prima infanzia compaiono anche quelle del Sud-Sardegna, di Sassari e di Oristano.
Il 2030 è praticamente domani in termini di programmazione politica: un concetto che sembra non essere caro alla politica regionale, come ha ricordato la deputata Alessandra Todde.
Per le politiche pubbliche chiave per il futuro della Regione, lo scopo dovrebbe essere allora invertire la tendenza. Ovviamente nidi e altri servizi rivolti ai minori, come quelli scolastici, sono solo una parte di una strategia per fermare il declino demografico. Ma è anche dalla capacità di offrire servizi per le famiglie e i minori, su tutto il territorio regionale, che passa la sfida per interrompere il calo della natalità. Anche e soprattutto nelle aree più distanti dalle città. per esempio attraverso una rete di trasporti pubblici efficiente.
Il loop si ripete: non è difficile intravedere una stretta correlazione tra la possibilità di raggiungere la scuola più vicina da questi territori più remoti e l’abbandono scolastico. I tempi che occorrono ogni giorno per andare a scuola e tornare a casa incidono profondamente sull’apprendimento, per evidenti motivi di disagio e ancora prima per l’impossibilità di avere una gamma significativa di scelte nel passaggio dalla scuola superiore di 1^ grado a quella di 2^ grado: il Comune polo più vicino alla residenza è in genere un centro urbano che potrebbe non garantire l’offerta formativa in termini di indirizzi di studio come fanno i centri più grandi.
E torniamo così all’abbandono delle aree interne per famiglie con figli in età scolare. La mancanza di una rete di trasporti efficiente incide sulla vita quotidiana di famiglie e studenti, è una delle cause del progressivo spopolamento di intere aree, e rende più concreto anche il rischio di dispersione e di abbandono precoce della scuola.
Nella classifica dei Comuni con presenza di studenti “lontani” più di 100’ dal polo scolastico di riferimento troviamo molti comuni del nuorese Triei, Baunei, Ussassai, Lotzorai, Girasole, Tortolì.
Per approfondire la raggiungibilità delle scuole situate nei poli dai comuni più remoti, la prima cosa da fare è individuare quali comuni polo sono baricentrici per il maggior numero di giovani tra 6 e 18 anni.
Tra i 10 comuni italiani che sono associati a territori dove i più giovani vivono in comuni collocati a oltre un’ora di distanza figurano Oristano e Cagliari (dati consultabili alla pagina https://www.openpolis.it/quanto-tempo-serve-per-raggiungere-la-scuola-dai-comuni-piu-lontani/).
Per un adolescente la possibilità di spostarsi e raggiungere un comune polo non riguarda solo la scuola ma anche la vita fuori dalla scuola: la retorica della attrattività della vita nei piccoli centri nell’età adolescenziale suona piuttosto fasulla.
Nella mia esperienza di insegnamento in Sardegna ricordo con particolare vividezza due episodi legati al tema della distanza dalla “città” di studenti residenti in aree remote. Il primo è il pianto di una studentessa di Escalaplano alla fine dell’anno scolastico che aveva frequentato in un Istituto di Muravera. Le chiesi se piangesse perché non era stata ammessa alla classe successiva. Mi rispose che aveva riportato la media dell’otto in pagella ma dal giorno dopo sarebbe stata risucchiata in una sorta di vuoto esistenziale. “Tre mesi lontano da tutto”: proprio così mi disse. Il secondo è la risposta sconsolata di un ragazzo di Fluminimaggiore che frequentava un Istituto di Iglesias, con risultati piuttosto scadenti. Per cercare di capire quale fosse il problema gli chiesi come passasse il pomeriggio, posto che lo studio non rientrava nelle sue occupazioni quotidiane. Con grande superficialità azzardai un “passi il tempo al bar con gli amici? Ti vedi con la ragazza? Fai sport…” Mi rispose che dormiva tutto il pomeriggio perché si alzava ogni giorno alle sei per venire a scuola. Niente amici, niente ragazza, nessuno sport… Solo un sonno senza sogni.
Un’ultima preoccupazione per il futuro del sistema scolastico pubblico (non solo sardo) e quindi per la Sardegna e il Paese.
L’effetto delle politiche scolastiche definite comunemente “neoliberiste” degli ultimi decenni ha portato ad una sorta d’insana competizione tra gli Istituti, spinti a conquistare quote di mercato – leggi iscritti – pena periodici e drammatici tagli di personale, dimensionamenti e accorpamenti.
Queste logiche “del mercato” si sono rivelate nefaste per la scuola pubblica italiana, hanno sfarinato anzi appunto “disperso” il senso e la filosofia stessa che dovrebbe animarla se la si intende come la scuola descritta dalla Costituzione: un diritto fondamentale, volto a rimuovere non certo ad approfondire le disuguaglianze iniziali. Queste logiche e politiche invece hanno prodotto sul territorio divari tra le scuole dello stesso Comune che si sommano a quelli presenti sul territorio, poco prima accennati.
Una politica scolastica seria dovrebbe interrogarsi anche su questo aspetto: garantire a tutte le studentesse e gli studenti dello stesso ambito scolastico le stesse possibilità di scelta e di risultati andando a riannodare i fili, a tessere reti tra istituti scolastici e a creare servizi pubblici di qualità per tutte e tutti.
Il diritto ad avere un futuro migliore non può basarsi solo sulle carte che ci serve alla nascita il destino: non può passare dalla famiglia d’origine o dal posto nel quale si nasce. E sicuramente neanche dal numero del personale docente e non docente della scuola che si frequenta.
Deve passare dalla scuola e dall’accesso ai servizi e dalla loro qualità, si spera alta. E la politica, specie di sinistra, di questo si deve occupare.
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Redazione Scuola