Di CC BY-SA 4.0, Collegamento
Credo che l’orso grigio Putin, quando ha iniziato ad invadere e poi bombardare, l’Ucraina, avesse in mente il disegno ambizioso di unire il Dombass alla Crimea per aprire una finestra sul mondo occidentale occupando le spiagge del Mar D’Azov e del Mar Nero. Quindi sono più che convinto, gli analisti occidentali lo confermano, che l’obiettivo primario dello Zar Vladimir era quello di conquistare, prima di Kiev, le quattro città strategiche che si frappongono ed ostacolano il suo disegno: Volmovacha, Mariupol, Mycolaiv e Odessa. L’esercito russo, infatti, oltre a tenere sotto scacco le più importanti città ucraìne (Kharkiv, Kozacha Lopan, Merefà,Leopoli,Lutsk,Ternopil e la stessa Kiev) concentra gli attacchi su questi quattro obiettivi, che una volta conquistati, consentiranno a Vladimir Putin di dichiarare di aver unito il Dombass alla Crimea ripristinando cosi, soprattutto per quest’ultima regione, le forniture idriche ed elettriche sulla zona occupata dai russi nel 2014 e di avere dalla città di Odessa un affaccio strategico sul Mar Nero.
Qualora tutto ciò avvenga non si tratterà certamente di un trionfo di Putin, ma rappresenterà sicuramente per lui un piccolo trofeo e un obiettivo tangibile da offrire al popolo russo e all’occidente per nascondere la sconfitta rispetto agli obiettivi prefissati e ai tempi d’intervento della campagna di Ucraina che prevedeva di: conquistare in tempi brevissimi l’intero territorio ucraino; nominare a Kiev un Governo fantoccio; segnare nuovi confini per la grande Russia, per poi sedersi al tavolo del negoziato più forte di prima.
Putin, era anche convinto, imitando molti dittatori e aggressori di cui è ricco il nostro pianeta, che schierando sul pianeggiante fronte ucraino i suoi numerosi gruppi tattici mobili, l’artiglieria e l’aviazione, avrebbe potuto conquistare l’Ucraina in pochissime mosse. Niente di tutto questo: il popolo ucraino, guidato dal suo Presidente Zelensky, molto abile nel trovare il sostegno di tutta la popolazione e nel comunicare le sue difficoltà al mondo intero, ha trovato sostegno mediatico e aiuti militari che lo hanno messo in grado di resistere ormai da 27 giorni e di ribattere agli attacchi dell’aggressore.
Consentitemi, però, di dire che in questo conflitto tutto appare inusuale: si parla di guerra quando, invece, si tratta della invasione da parte della Federazione russa di uno stato sovrano e di una aggressione che aveva come presupposto gli obiettivi militari e che invece colpisce la popolazione civile, ignorando le stesse regole di ingaggio previsti dalla normativa e dagli accordi internazionali. Non a caso si parla già di efferati crimini di guerra a carico dell’esercito russo.
Mi domando, a tal fine, ma quali sono le colpe dei bambini ucraini privati delle loro famiglie e in fuga verso l’occidente, oppure quali sono le responsabilità delle mamme e dei bambini che muoiono, insieme ad altri civili, sotto le macerie e per colpa di un’assurda aggressione che ha radici storiche lontane. Che colpe ha Zelensky e il suo Governo se alcuni anni fa, qualcuno si è opposto al disegno di ricomposizione delle etnie russofone in un contesto completamente mutato rispetto al dissolvimento dell’impero sovietico. Senza dimenticare le ignare giovani reclute dell’esercito russo mandati al massacro da un disegno imperialista di espansione economica e politica senza confini: questi ragazzi, in fondo, non solo mancano della formazione necessaria per combattere al fronte, forse non sanno nemmeno dove si trovano e per cosa combattono.
Appare quindi in tutta evidenza che Putin con il suo esercito ha invaso un paese libero per espandere il proprio potere economico e militare e accrescere la propria influenza su territori ai confini dell’occidente, proprio mentre l’Ucraina stava cercando, oltre a migliori assetti istituzionali in Europa, una sua originale strada verso la democrazia.
Non condivido, pertanto, l’idea di coloro che auspicano una resa immediata dell’Ucraina per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Ma sbagliano anche coloro che fanno delle analisi un pochino fantasiose richiamando il fatto che Putin potrebbe, con il suo comportamento aggressivo, innescare nel confine ucraino-polacco qualche scaramuccia per far intervenire la Nato, provocando cosi l’inizio della terza guerra mondiale con il probabile uso di armi chimiche e dell’atomica.
La NATO e l’Europa hanno già detto che non cadranno in questa trappola. Anche Putin non lo farà perché, forse senza rendersene conto, ha aperto quattro fronti che lo costringono al conflitto permanente con mezzo mondo. Il primo riguarda il costosissimo fronte militare aperto con l’invasione dell’Ucraina; il secondo, di tipo economico, provocato dalle sanzioni imposte dall’occidente che porterà, nei prossimi 30 giorni, la Federazione russa al default; il terzo deriva, invece, dalla crisi energetica che pur generando per la Russia molti vantaggi economici nell’immediato, rischia però di farle perdere nel lungo periodo molti dei “clienti” solvibili del contesto europeo. Lo Zar Vladimir deve, inoltre, fare i conti con una crescente e qualificata opposizione interna, aggravata dalle dimissioni e dal dissenso di alcuni rappresentanti del mondo culturale e sportivo, ai quali prima o poi, si aggiungeranno le famiglie dei giovani soldati caduti nella inutile invasione dell’Ucraina.
In questo complesso quadro politico, alla protervia e prepotenza iniziale, nella testa di Putin, anche dopo qualche insuccesso sul campo, è subentrata, secondo il mio modesto parere, la paura e la confusione. Quindi quella che poteva essere la sua forza è diventata una debolezza strutturale. Il suo disegno strategico inizia a vacillare perché in questi ultimi anni, oltre alla invasione dell’Ucraina, l’annessione della Crimea e la protezione di altre province satellite, ha aperto altri fronti di guerra, tra i quali la Siria e vari paesi del Centro-Africa, che la grande Russia non è più in grado di sostenere. Il reclutamento di altri 130.000 militari di leva, la stessa richiesta di aiuto militare (armi e uomini) alla Cina, alla vicina Bielorussia, alla stesso fronte siriano e ad altri probabili alleati, mina in modo irreversibile la grandezza dell’Armata russa riducendola cosi, anche sul fronte mediatico, ad un colosso dai piedi d’argilla. Comportamenti inusuali di un autocrate in difficoltà, tuonano molti analisti onnipresenti sui media.
L’orso grigio Vladimir, nonostante la preponderanza dell’esercito russo rispetto alle forze in campo, sa che con il passare del tempo sta perdendo il confronto con l’Ucraina, e quindi raddoppia la sua aggressività mettendo in campo il sistema Kinzhal con missili aero balistici ipersonici in grado di distruggere, anche a lunga distanza, obiettivi militari e civili. Inoltre usa la propaganda per tacitare una crescente opposizione interna e una solidarietà internazionale a favore della Ucraina mai vista. Tutto ciò è confermato dall’ignobile spettacolo orchestrato a Mosca, per festeggiare l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea alla Federazione russa, in uno stadio che acclama il “liberatore Putin”, vestito come un palombaro per la paura di un attentato contro la sua persona, mentre in Ucraina muoiono oltre alla popolazione inerme, decine di migliaia di militari ucraini e molti “arruolati civili” impegnati in una strenua difesa del loro territorio e della loro libertà.
Sono convinto, pertanto, nonostante la sproporzione delle forze in campo e la ferocia di uno dei contendenti e soprattutto per le numerose vittime, che questo conflitto terminerà con un pareggio assegnando però a Putin una sconfitta politica sia sul fronte interno, sia di fronte al mondo.
E’ necessario, pertanto, che i leader del mondo occidentale ma soprattutto quelli dell’Europa, capiscano che occorre agire in fretta per fermare la ferocia di Putin ed eliminare il massacro quotidiano e le deportazioni perpetrate a danno della popolazione civile. Per poter fare questo è necessario non indebolire Zelensky sul fronte internazionale e assicurare a lungo, mediante un sistema di aiuti, la sopravvivenza dell’Ucraina. Tutto ciò potrebbe determinare però anche un forte indebolimento di Putin, ormai stretto fra un’operazione militare finita nel pantano e un’economia stretta nella morsa delle sanzioni e quindi in caduta libera.
L’impegno deve essere orientato innanzitutto a far cessare il conflitto, costituendo cosi la base essenziale per procedere alla accelerazione della trattative e alla costituzione del tavolo per il vero negoziato finale. Poiché in questo campo le parole hanno un significato molto pesante ne richiamo alcune: armistizio, accordo, tregua, patto, intesa, trattato di pace. Una qualunque di queste cose purché tacciano le armi. Se guardo l’orizzonte non vedo però nulla di tutto questo. Anche noi, come movimenti pacifisti continuiamo ad agitare slogan sul disarmo totale, sulla non violenza contribuendo a confondere l’opinione pubblica sul tema principale di questi giorni e cioè i veri contenuti delle azioni di solidarietà a favore del popolo ucraino e degli aiuti a sostegno della “resistenza ucraina”.
Anche le parole aiutano a capire: dunque parliamone. Accoglienza dei profughi: lo stiamo facendo; sanzioni economiche: ci siamo; manifestazioni di sostegno e solidarietà: ci siamo ma con il contagocce; aiuti in campo militare: non ci siamo; aiuti alla organizzazione della logistica di difesa: non ci siamo; sostegno finanziario all’Ucraina: ci siamo ma con uno scarno contributo; peso dell’Italia nelle trattative e in campo diplomatico: inesistenti;
Potrei anche continuare ma mi fermo qui, anche perché se continuo rischio di essere annoverato tra i guerrafondai dell’ultima ora. Consentitemi però di esprimere alcune valutazioni in libertà anche perché ho la pretesa di farlo, non solo come vecchio pacifista del secolo scorso, ma anche perché appartengo, anche se non lo merito, a quel gruppo di nostalgici che seguono pedissequamente l’art.11 del dettato costituzionale. Consentitemi però una riflessione: noi dobbiamo fare di tutto, ripeto di tutto, perché l’Ucraina non diventi una free zone russofona come pretende Putin. L’Italia ma precipuamente l’Europa hanno bisogno che in quell’area geografica crescano e si attestino, anche sotto l’egida dell’Europa, degli stati democratici che salvaguardino la pace come ha fatto l’Unione Europea negli ultimi 60 anni, seguendo gli orientamenti e i princìpi cardine dei suoi costituenti.
Devo prendere atto però che all’interno del mondo pacifista, non ci sono, salvo su piccoli obiettivi, omogeneità di vedute soprattutto sulle scelte che dovrebbero fare i contendenti in campo, per evitare inutili spargimenti di sangue. I media molto spesso ne danno notizia in modo distorto, però non posso negare che esistono “gli arrendevolisti” i “non interventisti”, ma anche “i pacifisti da salotto”. Naturalmente tutte queste posizioni, condivisibili o non condivisibili, rappresentano delle rispettabilissime opinioni a confronto.
Iniziamo dai primi: cosa facciamo, diciamo a Zelensky di arrendersi per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Questo significa, secondo me, strattonare le più semplici regole diplomatiche e consegnare il popolo ucraino all’Orso grigio Putin, dandogli poi la patente di vincitore di un conflitto che lui ha iniziato invadendo un paese libero e sovrano, che stava cercando, tra l’altro, una collocazione democratica originale nell’ambito dell’Unione Europea.
Ai sostenitori del “non intervento” dico che stiamo lasciando lo spazio alla Cina, a Israele e al turco Erdogan che, attraverso il ruolo di negoziatori, si affacceranno sul fronte ucraino per dividersi la torta della ricostruzione sedimentando anche affari economici nel campo energetico, nel settore agricolo e nell’ambito dei materiali rari ( litio, palladio e altri) ma anche di attestarsi, attraverso l’Ucraina, ai confini dei paesi dell’ex unione Sovietica, escludendo dal Tavolo del negoziato solo l’Unione Europea e la NATO. Mentre Biden, forte del sostegno dato a Zelensky, ci sarà sicuramente.
Oppure continuiamo a fare, qui mi ci metto anche io, “i pacifisti da salotto” o “i radical chic” gridando allo scandalo perchè l’ex presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia, richiamando i princìpi costituzionali, suggerisce di aiutare il popolo ucraino “resistente” e lo stesso Governo Zelensky, anche con mezzi militari di difesa. Credo che sia una posizione da non sottovalutare anche perché la situazione, nonostante la strenua resistenza del popolo ucraino, rischia di precipitare a favore di Putin. Lo dico con convinzione, se non ci pensiamo noi europei a dotare l’Ucraina di sistemi di difesa, ci penseranno le lobby internazionali delle armi che chiederanno al popolo ucraino e soprattutto ai giovani, di ipotecare quote consistenti del loro Prodotto Interno Lordo per i prossimi 30 anni.
Noi dobbiamo, innanzitutto, come italiani e come europei riacquistare spazio e credibilità, chiedendo all’Unione Europea e al suo Presidente pro-tempore Macron, di assumere il ruolo di mediatore/pacificatore per affermare il diritto/dovere di partecipare a pieno titolo a tutte quelle iniziative che portino prima ad una tregua, e poi al Tavolo del negoziato che a breve si aprirà in una delle capitali europee.
La firma di un accordo con l’Ucraina dopo un negoziato chiaro su tutte le questioni, ivi compresa la sua attuazione, potrebbe fermare molto velocemente il corso degli eventi in corso sul fronte del conflitto, ha affermato il portavoce del Cremlino Peskov.
Fine della guerra, garanzie di sicurezza, sovranità, ripristino della integrità territoriale, garanzie e protezione: sonoqueste le priorità indicate da Volodymyr Zelensky. Tuttavia le notizie provenienti dal fronte diplomatico sono altalenanti mentre continuano, anzi si accentuano, i bombardamenti russi soprattutto sulle città definite strategiche da Putin.
Le notizie che arrivano dal fronte non sono incoraggianti. Qualcuno salvi l’Ucraina da questa immane tragedia. In questo momento possiamo solo dire che la diplomazia sembra registrare nelle ultime ore pochi passi in avanti e altri indietro.
Ucraina: un piccolo passo in avanti e due indietro (di Franco Ventroni)
Di CC BY-SA 4.0, Collegamento
Credo che l’orso grigio Putin, quando ha iniziato ad invadere e poi bombardare, l’Ucraina, avesse in mente il disegno ambizioso di unire il Dombass alla Crimea per aprire una finestra sul mondo occidentale occupando le spiagge del Mar D’Azov e del Mar Nero. Quindi sono più che convinto, gli analisti occidentali lo confermano, che l’obiettivo primario dello Zar Vladimir era quello di conquistare, prima di Kiev, le quattro città strategiche che si frappongono ed ostacolano il suo disegno: Volmovacha, Mariupol, Mycolaiv e Odessa. L’esercito russo, infatti, oltre a tenere sotto scacco le più importanti città ucraìne (Kharkiv, Kozacha Lopan, Merefà,Leopoli,Lutsk,Ternopil e la stessa Kiev) concentra gli attacchi su questi quattro obiettivi, che una volta conquistati, consentiranno a Vladimir Putin di dichiarare di aver unito il Dombass alla Crimea ripristinando cosi, soprattutto per quest’ultima regione, le forniture idriche ed elettriche sulla zona occupata dai russi nel 2014 e di avere dalla città di Odessa un affaccio strategico sul Mar Nero.
Qualora tutto ciò avvenga non si tratterà certamente di un trionfo di Putin, ma rappresenterà sicuramente per lui un piccolo trofeo e un obiettivo tangibile da offrire al popolo russo e all’occidente per nascondere la sconfitta rispetto agli obiettivi prefissati e ai tempi d’intervento della campagna di Ucraina che prevedeva di: conquistare in tempi brevissimi l’intero territorio ucraino; nominare a Kiev un Governo fantoccio; segnare nuovi confini per la grande Russia, per poi sedersi al tavolo del negoziato più forte di prima.
Putin, era anche convinto, imitando molti dittatori e aggressori di cui è ricco il nostro pianeta, che schierando sul pianeggiante fronte ucraino i suoi numerosi gruppi tattici mobili, l’artiglieria e l’aviazione, avrebbe potuto conquistare l’Ucraina in pochissime mosse. Niente di tutto questo: il popolo ucraino, guidato dal suo Presidente Zelensky, molto abile nel trovare il sostegno di tutta la popolazione e nel comunicare le sue difficoltà al mondo intero, ha trovato sostegno mediatico e aiuti militari che lo hanno messo in grado di resistere ormai da 27 giorni e di ribattere agli attacchi dell’aggressore.
Consentitemi, però, di dire che in questo conflitto tutto appare inusuale: si parla di guerra quando, invece, si tratta della invasione da parte della Federazione russa di uno stato sovrano e di una aggressione che aveva come presupposto gli obiettivi militari e che invece colpisce la popolazione civile, ignorando le stesse regole di ingaggio previsti dalla normativa e dagli accordi internazionali. Non a caso si parla già di efferati crimini di guerra a carico dell’esercito russo.
Mi domando, a tal fine, ma quali sono le colpe dei bambini ucraini privati delle loro famiglie e in fuga verso l’occidente, oppure quali sono le responsabilità delle mamme e dei bambini che muoiono, insieme ad altri civili, sotto le macerie e per colpa di un’assurda aggressione che ha radici storiche lontane. Che colpe ha Zelensky e il suo Governo se alcuni anni fa, qualcuno si è opposto al disegno di ricomposizione delle etnie russofone in un contesto completamente mutato rispetto al dissolvimento dell’impero sovietico. Senza dimenticare le ignare giovani reclute dell’esercito russo mandati al massacro da un disegno imperialista di espansione economica e politica senza confini: questi ragazzi, in fondo, non solo mancano della formazione necessaria per combattere al fronte, forse non sanno nemmeno dove si trovano e per cosa combattono.
Appare quindi in tutta evidenza che Putin con il suo esercito ha invaso un paese libero per espandere il proprio potere economico e militare e accrescere la propria influenza su territori ai confini dell’occidente, proprio mentre l’Ucraina stava cercando, oltre a migliori assetti istituzionali in Europa, una sua originale strada verso la democrazia.
Non condivido, pertanto, l’idea di coloro che auspicano una resa immediata dell’Ucraina per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Ma sbagliano anche coloro che fanno delle analisi un pochino fantasiose richiamando il fatto che Putin potrebbe, con il suo comportamento aggressivo, innescare nel confine ucraino-polacco qualche scaramuccia per far intervenire la Nato, provocando cosi l’inizio della terza guerra mondiale con il probabile uso di armi chimiche e dell’atomica.
La NATO e l’Europa hanno già detto che non cadranno in questa trappola. Anche Putin non lo farà perché, forse senza rendersene conto, ha aperto quattro fronti che lo costringono al conflitto permanente con mezzo mondo. Il primo riguarda il costosissimo fronte militare aperto con l’invasione dell’Ucraina; il secondo, di tipo economico, provocato dalle sanzioni imposte dall’occidente che porterà, nei prossimi 30 giorni, la Federazione russa al default; il terzo deriva, invece, dalla crisi energetica che pur generando per la Russia molti vantaggi economici nell’immediato, rischia però di farle perdere nel lungo periodo molti dei “clienti” solvibili del contesto europeo. Lo Zar Vladimir deve, inoltre, fare i conti con una crescente e qualificata opposizione interna, aggravata dalle dimissioni e dal dissenso di alcuni rappresentanti del mondo culturale e sportivo, ai quali prima o poi, si aggiungeranno le famiglie dei giovani soldati caduti nella inutile invasione dell’Ucraina.
In questo complesso quadro politico, alla protervia e prepotenza iniziale, nella testa di Putin, anche dopo qualche insuccesso sul campo, è subentrata, secondo il mio modesto parere, la paura e la confusione. Quindi quella che poteva essere la sua forza è diventata una debolezza strutturale. Il suo disegno strategico inizia a vacillare perché in questi ultimi anni, oltre alla invasione dell’Ucraina, l’annessione della Crimea e la protezione di altre province satellite, ha aperto altri fronti di guerra, tra i quali la Siria e vari paesi del Centro-Africa, che la grande Russia non è più in grado di sostenere. Il reclutamento di altri 130.000 militari di leva, la stessa richiesta di aiuto militare (armi e uomini) alla Cina, alla vicina Bielorussia, alla stesso fronte siriano e ad altri probabili alleati, mina in modo irreversibile la grandezza dell’Armata russa riducendola cosi, anche sul fronte mediatico, ad un colosso dai piedi d’argilla. Comportamenti inusuali di un autocrate in difficoltà, tuonano molti analisti onnipresenti sui media.
L’orso grigio Vladimir, nonostante la preponderanza dell’esercito russo rispetto alle forze in campo, sa che con il passare del tempo sta perdendo il confronto con l’Ucraina, e quindi raddoppia la sua aggressività mettendo in campo il sistema Kinzhal con missili aero balistici ipersonici in grado di distruggere, anche a lunga distanza, obiettivi militari e civili. Inoltre usa la propaganda per tacitare una crescente opposizione interna e una solidarietà internazionale a favore della Ucraina mai vista. Tutto ciò è confermato dall’ignobile spettacolo orchestrato a Mosca, per festeggiare l’ottavo anniversario dell’annessione della Crimea alla Federazione russa, in uno stadio che acclama il “liberatore Putin”, vestito come un palombaro per la paura di un attentato contro la sua persona, mentre in Ucraina muoiono oltre alla popolazione inerme, decine di migliaia di militari ucraini e molti “arruolati civili” impegnati in una strenua difesa del loro territorio e della loro libertà.
Sono convinto, pertanto, nonostante la sproporzione delle forze in campo e la ferocia di uno dei contendenti e soprattutto per le numerose vittime, che questo conflitto terminerà con un pareggio assegnando però a Putin una sconfitta politica sia sul fronte interno, sia di fronte al mondo.
E’ necessario, pertanto, che i leader del mondo occidentale ma soprattutto quelli dell’Europa, capiscano che occorre agire in fretta per fermare la ferocia di Putin ed eliminare il massacro quotidiano e le deportazioni perpetrate a danno della popolazione civile. Per poter fare questo è necessario non indebolire Zelensky sul fronte internazionale e assicurare a lungo, mediante un sistema di aiuti, la sopravvivenza dell’Ucraina. Tutto ciò potrebbe determinare però anche un forte indebolimento di Putin, ormai stretto fra un’operazione militare finita nel pantano e un’economia stretta nella morsa delle sanzioni e quindi in caduta libera.
L’impegno deve essere orientato innanzitutto a far cessare il conflitto, costituendo cosi la base essenziale per procedere alla accelerazione della trattative e alla costituzione del tavolo per il vero negoziato finale. Poiché in questo campo le parole hanno un significato molto pesante ne richiamo alcune: armistizio, accordo, tregua, patto, intesa, trattato di pace. Una qualunque di queste cose purché tacciano le armi. Se guardo l’orizzonte non vedo però nulla di tutto questo. Anche noi, come movimenti pacifisti continuiamo ad agitare slogan sul disarmo totale, sulla non violenza contribuendo a confondere l’opinione pubblica sul tema principale di questi giorni e cioè i veri contenuti delle azioni di solidarietà a favore del popolo ucraino e degli aiuti a sostegno della “resistenza ucraina”.
Anche le parole aiutano a capire: dunque parliamone. Accoglienza dei profughi: lo stiamo facendo; sanzioni economiche: ci siamo; manifestazioni di sostegno e solidarietà: ci siamo ma con il contagocce; aiuti in campo militare: non ci siamo; aiuti alla organizzazione della logistica di difesa: non ci siamo; sostegno finanziario all’Ucraina: ci siamo ma con uno scarno contributo; peso dell’Italia nelle trattative e in campo diplomatico: inesistenti;
Potrei anche continuare ma mi fermo qui, anche perché se continuo rischio di essere annoverato tra i guerrafondai dell’ultima ora. Consentitemi però di esprimere alcune valutazioni in libertà anche perché ho la pretesa di farlo, non solo come vecchio pacifista del secolo scorso, ma anche perché appartengo, anche se non lo merito, a quel gruppo di nostalgici che seguono pedissequamente l’art.11 del dettato costituzionale. Consentitemi però una riflessione: noi dobbiamo fare di tutto, ripeto di tutto, perché l’Ucraina non diventi una free zone russofona come pretende Putin. L’Italia ma precipuamente l’Europa hanno bisogno che in quell’area geografica crescano e si attestino, anche sotto l’egida dell’Europa, degli stati democratici che salvaguardino la pace come ha fatto l’Unione Europea negli ultimi 60 anni, seguendo gli orientamenti e i princìpi cardine dei suoi costituenti.
Devo prendere atto però che all’interno del mondo pacifista, non ci sono, salvo su piccoli obiettivi, omogeneità di vedute soprattutto sulle scelte che dovrebbero fare i contendenti in campo, per evitare inutili spargimenti di sangue. I media molto spesso ne danno notizia in modo distorto, però non posso negare che esistono “gli arrendevolisti” i “non interventisti”, ma anche “i pacifisti da salotto”. Naturalmente tutte queste posizioni, condivisibili o non condivisibili, rappresentano delle rispettabilissime opinioni a confronto.
Iniziamo dai primi: cosa facciamo, diciamo a Zelensky di arrendersi per evitare ulteriori spargimenti di sangue. Questo significa, secondo me, strattonare le più semplici regole diplomatiche e consegnare il popolo ucraino all’Orso grigio Putin, dandogli poi la patente di vincitore di un conflitto che lui ha iniziato invadendo un paese libero e sovrano, che stava cercando, tra l’altro, una collocazione democratica originale nell’ambito dell’Unione Europea.
Ai sostenitori del “non intervento” dico che stiamo lasciando lo spazio alla Cina, a Israele e al turco Erdogan che, attraverso il ruolo di negoziatori, si affacceranno sul fronte ucraino per dividersi la torta della ricostruzione sedimentando anche affari economici nel campo energetico, nel settore agricolo e nell’ambito dei materiali rari ( litio, palladio e altri) ma anche di attestarsi, attraverso l’Ucraina, ai confini dei paesi dell’ex unione Sovietica, escludendo dal Tavolo del negoziato solo l’Unione Europea e la NATO. Mentre Biden, forte del sostegno dato a Zelensky, ci sarà sicuramente.
Oppure continuiamo a fare, qui mi ci metto anche io, “i pacifisti da salotto” o “i radical chic” gridando allo scandalo perchè l’ex presidente dell’ANPI Carlo Smuraglia, richiamando i princìpi costituzionali, suggerisce di aiutare il popolo ucraino “resistente” e lo stesso Governo Zelensky, anche con mezzi militari di difesa. Credo che sia una posizione da non sottovalutare anche perché la situazione, nonostante la strenua resistenza del popolo ucraino, rischia di precipitare a favore di Putin. Lo dico con convinzione, se non ci pensiamo noi europei a dotare l’Ucraina di sistemi di difesa, ci penseranno le lobby internazionali delle armi che chiederanno al popolo ucraino e soprattutto ai giovani, di ipotecare quote consistenti del loro Prodotto Interno Lordo per i prossimi 30 anni.
Noi dobbiamo, innanzitutto, come italiani e come europei riacquistare spazio e credibilità, chiedendo all’Unione Europea e al suo Presidente pro-tempore Macron, di assumere il ruolo di mediatore/pacificatore per affermare il diritto/dovere di partecipare a pieno titolo a tutte quelle iniziative che portino prima ad una tregua, e poi al Tavolo del negoziato che a breve si aprirà in una delle capitali europee.
La firma di un accordo con l’Ucraina dopo un negoziato chiaro su tutte le questioni, ivi compresa la sua attuazione, potrebbe fermare molto velocemente il corso degli eventi in corso sul fronte del conflitto, ha affermato il portavoce del Cremlino Peskov.
Fine della guerra, garanzie di sicurezza, sovranità, ripristino della integrità territoriale, garanzie e protezione: sonoqueste le priorità indicate da Volodymyr Zelensky. Tuttavia le notizie provenienti dal fronte diplomatico sono altalenanti mentre continuano, anzi si accentuano, i bombardamenti russi soprattutto sulle città definite strategiche da Putin.
Le notizie che arrivano dal fronte non sono incoraggianti. Qualcuno salvi l’Ucraina da questa immane tragedia. In questo momento possiamo solo dire che la diplomazia sembra registrare nelle ultime ore pochi passi in avanti e altri indietro.
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Redazione Scuola